Primo Soccorso
Emergenze: chiedere aiuto
Combinazione della ventilazione con il massaggio cardiaco
- Verificate se l’infortunato è cosciente (Figura 1) e ponetegli il capo in iperestensione (Figura 2).
- Controllate se respira. Se la persona non respira, insufflate i polmoni 4-5 volte e cercate il polso carotideo (Figura 2).
- Se è presente il polso, continuate la ventilazione al ritmo di 12 insufflazioni al minuto (Figura 3).
- In caso contrario, iniziate il massaggio cardiaco prevedendo 15 compressioni toraciche ogni 2 insufflazioni polmonari (Figura 4).
- Ogni 2 minuti cercate il polso per appurare il ritorno del ritmo spontaneo.
Nel caso in cui la rianimazione cardiopolmonare venga eseguita da 2 soccorritori, il rapporto fra compressioni e insufflazioni è di 5:1 (1 insufflazione ogni 5 compressioni, effettuate al ritmo di 60 al minuto senza pause). I soccorritori dovranno sistemarsi di lato all’infortunato, in modo da potersi scambiare agevolmente i ruoli.
Questa posizione prevede che l’infortunato sia disteso su un fianco, con testa bassa, collo iperesteso e un ginocchio flesso. Ecco le manovre da eseguire per mettere l’infortunato in posizione di sicurezza.
- Allentate gli abiti che stringono, svuotate le tasche dell’infortunato da oggetti che possano danneggiarlo durante le manovre, toglietegli gli occhiali.
- Flettete il ginocchio dell’infortunato dal lato opposto al vostro (Figura 1).
- Mettete il braccio dell’infortunato contro il suo fianco (dal vostro lato), infilandone la mano sotto il gluteo (Figura 2).
- Piegate l’altro braccio sul torace (Figura 3).
- Sottoponete l’infortunato a rotazione completa, fino a portare il ginocchio flesso a terra, sorreggendogli il capo (Figura 4).
- Ponetegli la mano del braccio posto superiormente sotto il mento. Il capo deve essere iperesteso (Figura 5).
- Copritelo perché non prenda freddo (Figura 6).
- Chiamate l’autoambulanza, a meno che non si tratti di semplice svenimento (in tal caso il recupero dei sensi avviene in pochi istanti) o di una crisi epilettica (la persona è già in cura e conosce la causa della perdita di coscienza) o di una crisi isterica (se cercate di sollevare le palpebre avvertirete che il soggetto oppone resistenza).
Con il termine coscienza si intende la consapevolezza dell’esistenza propria e degli oggetti esterni.
L’alterazione o la perdita di questa consapevolezza sono caratteristiche di diverse condizioni, che si differenziano per la presenza o meno di un’associata compromissione delle normali funzioni cardiorespiratorie.
Cause di perdita di coscienza.
- Importanti perdite di sangue da emorragie, fratture o contusioni di grave entità.
- Disturbi del metabolismo o di origine endocrina causati da malattie preesistenti (per esempio, diabete).
- Carenza di ossigeno da attacco cardiaco.
- Incidente vascolare cerebrale.
- Trauma violento (per esempio, cranico).
- Ustioni estese.
- Disturbi nervosi (per esempio, epilessia).
- Intossicazioni (da ossido di carbonio, alcol, farmaci).
- Infezioni (per esempio, meningite).
Cause più frequenti di lipotimia (svenimento)
- Poglicemia.
- Ipotensione.
- Stress nervoso.
Le cause di perdita di coscienza che rendono necessario il trattamento medico d’urgenza sono: ingenti perdite ematiche (ferite, fratture o contusioni gravi) o perdite di liquidi (ustioni); sofferenza cerebrale da trauma violento; squilibri biochimici dell’organismo correlati a malattie croniche come il diabete; carenza di ossigeno causata da disturbi cardiaci o vascolari cerebrali; intossicazioni di varia origine. A provocare una momentanea perdita di coscienza può essere talora lo sbalzo di pressione che si verifica passando rapidamente dalla posizione sdraiata alla stazione eretta. Con tale sintomo si possono peraltro manifestare anche alcune malattie nervose.
Il rischio maggiore per un soggetto in stato di incoscienza consiste nell’assenza dei normali riflessi della tosse e della deglutizione, da cui deriva il pericolo di soffocamento dovuto alla permanenza nelle vie respiratorie di materiale che non può essere espulso. Inoltre la mancanza di tono dei muscoli del collo e della lingua può provocare la caduta all’indietro di quest’ultima, con conseguente ostruzione della gola.
Cosa fare
- Verificate se la respirazione spontanea è presente. Se sì, ponete l’infortunato in posizione di sicurezza, controllandone con regolarità il polso e il respiro.
Se invece la respirazione è assente, sistemate la persona in posizione orizzontale con torace, capo e collo ben allineati e iniziate la rianimazione; accertatevi che le vie respiratorie siano libere e praticate la respirazione artificiale e il massaggio cardiaco esterno.
- Se c’è una causa evidente dello stato di incoscienza (per esempio un’emorragia), cercate di porvi rimedio.
Cosa non fare
- Non fate bere l’infortunato per alcun motivo (Figura 1).
- Non muovetelo nel caso si sospettati la presenza di lesioni della colonna vertebrale (Figura 2).
- Non lasciate mai sola una persona in stato di incoscienza (Figura 3).
Lo stato di shock è determinato da un’insufficiente irrorazione dei tessuti e degli organi vitali con sangue ossigenato. Costituisce un’emergenza importante e rende necessario il trattamento medico d’urgenza, poiché questa condizione, se non viene trattata in modo appropriato, può essere fatale.
Segni obiettivi di shock.
- Pallore, estremità fredde e livide.
- Cute fredda e sudata.
- Polso debole e rapido.
- Respiro irregolare e affannoso.
- Sete.
- Nausea.
- Agitazione, confusione mentale, a volte perdita di coscienza.
Alla base dell’insorgenza di shock possono esserci diverse condizioni: insufficienza respiratoria, arresto cardiaco, gravi ferite o perdite ematiche, ustioni, traumi con schiacciamento, vomito e diarrea ripetuti, infezioni gravi, intossicazioni. Tutte le aggressioni acute dell’organismo possono condurre a uno stato di shock, ma alcune situazioni sono suscettibili di favorirlo o di aggravarlo: è compito dei soccorritori evitarle o prevenirle.
Che cosa fare
- Chiamate il medico (Figura 1).
- Verificate se l’infortunato è cosciente (Figura 2).
- Se è cosciente, mettetelo supino con i piedi sollevati, a circa 30 cm da terra, e il capo girato di lato (Figura 3). Si tratta della cosiddetta posizione anti-shock, molto utile in diverse circostanze.
- Se sospettate una frattura della colonna vertebrale, delle gambe o del bacino, non muovete la persona per nessun motivo.
- Se sono colpiti la testa, il torace o lo stomaco sorreggete il capo e le spalle dell’infortunato tenendolo in posizione semiseduta (Figura 4). Allentate gli abiti stretti.
- Prevenite gli eventuali fattori che possono aggravare lo shock e, se possibile, contenete le cause scatenanti. Sono considerati fattori aggravanti il dolore, le manovre intempestive, il trasporto in cattive condizioni, il caldo o il freddo eccessivi.
- Tamponate le ferite e immobilizzate le fratture.
- Coprite l’infortunato (per esempio con una coperta) e dategli conforto in attesa dell’autoambulanza. Se la persona ha molta sete bagnatele le labbra, ma non somministrate nulla da bere.
L’attacco cardiaco si presenta quando, a causa di un infarto (morte di parte del tessuto muscolare del cuore) o dell’occlusione di uno dei rami coronarici che nutrono questo organo vitale, si interrompe la funzione di pompa del cuore.
Di seguito si elencano i sintomi, piuttosto caratteristici, dell’attacco cardiaco.
- Improvviso dolore di tipo costrittivo al centro del torace, che può estendersi al braccio sinistro e al dorso o al collo e alla mascella.
- Pallore, abbondante sudorazione, labbra ed estremità livide.
- Vertigini, nausea.
- Fiato corto.
- Ansia, agitazione psicofisica.
- Perdita di coscienza e assenza del polso (non sempre).
Cosa fare
- Chiamate l’autoambulanza specificando già nella telefonata che si tratta di un possibile attacco cardiaco (Figura 1).
- Sistemate la vittima in posizione semiseduta, muovendola il meno possibile, e copritela se avverte freddo.
- Slacciate gli indumenti stretti, tranquillizzate la persona e incoraggiatela a fare respiri lenti e profondi.
- Non somministate alcuna bevanda (Figura 2).
- Se la vittima manifesta la sensazione che il cuore si sia fermato, ma è ancora in stato cosciente, invitatela a tossire subito in maniera energica 1 volta al secondo, inspirando profondamente ogni 2 colpi di tosse (Figura 3).
Si tratta di una manovra che può risultare utile per mantenere la persona cosciente fino all’arrivo dell’ambulanza; tutte le persone che sono colpite da arresto cardiaco, anche in assenza di soccorritori, dovrebbero tenerla a mente e, se possibile, metterla in atto. - Se la persona non respira, iniziate la respirazione artificiale (Figura 4).
- Se il polso carotideo è assente, cominciate il massaggio cardiaco. È fondamentale tenere presente che il massaggio cardiaco deve essere praticato esclusivamente quando il cuore è fermo, ovvero quando il polso carotideo è assente; negli altri casi questa procedura è assolutamente controindicata. Pertanto, se è presente il polso, pur se debolissimo, non iniziate il massaggio.
- Se la persona ha perso i sensi, mettetela in posizione di sicurezza.
Se ci si imbatte in un incidente stradale è importante agire con prontezza senza lasciarsi prendere dal panico: il rischio che si corre è infatti quello di peggiorare le condizioni degli infortunati e di mettere in pericolo altre vite umane.
Per prevenire ulteriori incidenti si dovrà innanzitutto:
- spegnere le sigarette e vietare ai presenti di fumare;
- spegnere il motore del veicolo, togliere le chiavi dal blocco di accensione e tirare il freno a mano;
- segnalare con gli appositi cartelli la presenza dell’incidente o incaricare qualcuno dei presenti di fare delle segnalazioni ai veicoli in arrivo;
- avvertire il soccorso pubblico (per esempio chiamando il 118), precisando luogo dell’incidente, numero dei veicoli coinvolti e numero di persone che necessitano di un intervento d’urgenza.
Quanto alle vittime, occorre valutare rapidamente l’entità delle lesioni che esse presentano per stabilire l’ordine di priorità dell’intervento. È importante tenere sempre presente che il principio di incendio, l’emorragia grave e il pericolo di soffocamento sono le sole situazioni che richiedono un intervento immediato per liberare la vittima dall’abitacolo del veicolo. Diversamente, un soggetto con lesioni gravi non deve mai essere spostato, salvo nei casi in cui ciò sia indispensabile per le procedure di rianimazione o per evitare ulteriori incidenti o che le sue condizioni peggiorino sensibilmente.
Cosa fare
- Allontanate la folla.
- Verificate se l’infortunato respira spontaneamente e se le vie aeree sono libere (Figura 1); cercate di fermare eventuali emorragie. Fate un esame approssimativo delle sue condizioni: vie respiratorie, stato di coscienza, respiro, polso, presenza di ferite, emorragie, fratture.
- Solo se strettamente necessario, estraete la vittima dall’abitacolo evitando di flettere, ruotare o iperestenderne la testa. Per l’estrazione procedete nel modo seguente. Mettetevi alle spalle della persona e, passandole le braccia sotto le ascelle, afferrate un avambraccio; accostatelo al torace facendo leva su di esso e trascinate l’infortunato fuori dall’abitacolo indietreggiando (Figura 2).
Durante la manovra cercate di muovere il meno possibile gli arti lesi e di mantenere torace, testa e collo della vittima allineati, facendovi aiutare, se possibile, da un secondo soccorritore.
Se sospettate una frattura della colonna vertebrale, immobilizzate la persona legandola al sedile del veicolo ed estraete quest’ultimo.
- Mettete la vittima in una posizione adatta alle lesioni che presenta; in attesa dell’ambulanza, confortatela e proteggetela dal freddo, evitando ogni manovra che potrebbe provocarle dolore. Ogni ferito o traumatizzato grave è da considerarsi potenzialmente in stato di shock. Per questo motivo sono da evitare tutti i fattori che possono peggiorare o precipitare la situazione (freddo, dolore, trasporto mal eseguito). Non somministrate nulla da bere, tantomeno alcolici.
Tra le intossicazioni acute da narcotici, la più comune è l’overdose da eroina. Il soggetto si presenta in coma o sub-coma, con serie difficoltà respiratorie e talvolta cianosi.
Cosa fare
1. Chiamate subito il medico (Figura 1).
2. Raccogliete quante più informazioni possibili riguardo a: tipo di sostanza utilizzata, eventuale associazione di più sostanze (barbiturici, alcol, eroina), tempo intercorso dall’assunzione della sostanza. Tali notizie metteranno il medico in condizione di intervenire in modo mirato e rapido.
3. Iniziate cautamente le manovre di rianimazione.
Le persone affette da diabete assumono di norma alcune sostanze che hanno attività di controllo sulla concentrazione dello zucchero nel sangue (per sopperire alla carenza di insulina, l’ormone deputato a questa funzione), e sono tenute a controllare la quantità di zuccheri assunta con la dieta.
Tuttavia può accadere che, in seguito a un periodo di digiuno o al variare del fabbisogno di insulina, si registri un abbassamento anomalo del tasso di zucchero nel sangue: questa situazione, se non trattata, può portare al coma ipoglicemico. I sintomi che caratterizzano il coma ipoglicemico sono confusione mentale, shock e perdita di coscienza, capogiri, debolezza, vertigini, difficoltà nell’esecuzione dei movimenti e nel parlare, agitazione, nervosismo, pallore, sudori freddi. Una carenza di insulina o un’eccessiva assunzione di zuccheri possono invece provocare, in una persona diabetica, un pericoloso aumento del tasso di glucosio nel sangue inducendo il coma iperglicemico. Questa condizione si manifesta in modo più graduale con cute secca e congesta, alito che odora di acetone (solvente per unghie) e perdita di coscienza.
Cosa fare
- Se la persona è incosciente, mettetela in posizione di sicurezza (Figura 1). Non somministratele nulla, neppure zucchero, per evitare il pericolo di soffocamento.
- Chiamate subito il medico o l’ambulanza.
- Se la persona è cosciente e dichiara di essere affetta da diabete, occorre accertare se la crisi sia da attribuire a uno stato di ipoglicemia o di iperglicemia.
Ipoglicemia In questo caso bisogna compensare la carenza glicemica somministrando al più presto zuccheri a rapido assorbimento (zucchero in zollette o miele).
Iperglicemia In questo caso è fondamentale intervenire tempestivamente somministrando la sostanza ipoglicemizzante orale o l’insulina, seguendo le istruzioni fornite dalla persona colta da malore. Incidenti di questo tipo coinvolgono spesso soggetti molto giovani che faticano a rispettare le severe restrizioni dietetiche imposte dalla loro malattia, pertanto è importante indagare approfonditamente sull’eventuale assunzione di “cibi proibiti”; se è il caso, occorre portare il bambino al più vicino ospedale o, se si dispone di indicazioni precise, somministrargli l’insulina. Possono andare incontro a crisi iperglicemiche molto gravi anche soggetti anziani con diabete particolarmente scompensato. È fondamentale, in tali casi, accertarsi che sia avvenuta l’assunzione quotidiana di insulina e richiedere poi con urgenza l’intervento del medico.
Una crisi epilettica non costituisce un’emergenza medica, fatta eccezione per la prima volta che si verifica in un soggetto. In quest’ultimo caso si rendono necessari accertamenti clinici per stabilire l’origine della crisi e per impostare una terapia medica adeguata. Negli altri casi sarà sufficiente evitare che la persona colpita si ferisca cadendo o che qualcuno cerchi di impedire la crisi.
Come si presenta
In una crisi epilettica possiamo distinguere varie fasi.
- La persona cade a terra priva di sensi (talvolta dopo aver emesso un grido).
- Per alcuni secondi il corpo è rigido, il respiro assente, il viso cianotico.
- Compaiono le convulsioni, ovvero delle contrazioni involontarie e incontrollate dei muscoli del corpo; la persona si contorce e talvolta si morde la lingua; alla bocca compare una schiuma rosa e si ha emissione di urina. Questa fase dura 1 o 2 minuti.
- Segue la fase di rilassamento con ricomparsa del respiro; per diversi minuti permane lo stato di incoscienza.
- Al risveglio, la persona prova grande spossatezza, torpore e confusione mentale e non ha alcun ricordo della crisi.
Cosa fare
- Non cercate di impedire la crisi, né di fermarla in alcun modo.
- Spostate gli oggetti che la persona potrebbe urtare ferendosi.
- Attutite la caduta gettando a terra indumenti o cuscini e proteggete soprattutto la testa della persona
(Figura 1).
- Ponete, se possibile, un fazzoletto appallottolato tra i denti dalla vittima per evitare che si morsichi la lingua (Figura 2). In caso di resistenza, tuttavia, non forzate in alcun modo l’apertura della bocca.
- Quando il soggetto si rilassa, slacciategli gli indumenti, pulitegli la bocca e rimuovete eventuali protesi mobili; dopodiché mettetelo in posizione di sicurezza (Figura 3) facendo attenzione a non svegliarlo.
- Non appena riprende i sensi, controllate che la vittima non si sia ferita nella caduta e confortatela fino al completo recupero. Tenete presente che le persone affette da epilessia conducono, al di fuori delle crisi, esistenze del tutto normali, e che l’epilessia è una malattia perfettamente curabile.
Sebbene le probabilità di assistere a un parto imprevisto siano molto esigue, può essere utile avere alcune nozioni di base su questo evento per evitare manovre inopportune e controllare il panico in situazioni di emergenza.
Innanzitutto si deve tenere presente che il parto è un evento naturale e che di norma si svolge in un lasso di tempo considerevole: non ha pertanto alcun senso lasciarsi trasportare dal panico o dalla fretta.
La principale preoccupazione del soccorritore deve essere quella di tranquillizzare e sostenere la partoriente di fronte alle difficoltà del momento, oltre a preparare tutto quanto è necessario per assistere il neonato nei primi istanti di vita.
I sintomi che devono far sospettare un parto imminente sono:
- inizio delle contrazioni uterine ritmiche;
- perdita di sangue e muco (tappo mucoso) dalla vagina;
- cosiddetta rottura delle acque.
Il travaglio è il periodo precedente la nascita nel quale i tessuti che costituiscono il canale del parto si dilatano e il bambino progredisce fino ad affacciarsi ai genitali materni; ha una durata variabile a seconda dei casi (maggiore per il primo figlio e minore per i parti successivi) e vi si possono individuare tre periodi.
Primo periodo
Inizia con le contrazioni che condurranno alla dilatazione del collo e dell’orifizio dell’utero. Queste sono percepite dalla partoriente come dei crampi che dal fondo della schiena si irradiano all’addome.
La frequenza iniziale delle contrazioni è di 1 ogni 15-20 minuti; col passare del tempo questa aumenta, come la forza delle contrazioni. Durante la gravidanza un tappo mucoso chiude l’orifizio uterino isolando il bambino dall’ambiente esterno. Quando questo orifizio si dilata, il tappo si perde, con fuoriuscita di liquido roseo e colloso dalla vagina. Tale perdita è un indicatore dell’inizio del travaglio.
La dilatazione procede per un certo periodo con contrazioni facilmente sopportabili (fino ai 4-5 cm), dopodiché, avvicinandosi alla dilatazione completa, queste si fanno sempre più violente e incontrollabili, si sovrappongono e si susseguono senza sosta.
Questa è la cosiddetta fase di transizione, che segna il passaggio dalla dilatazione all’espulsione del bambino. Si tratta del momento più critico di tutto il travaglio poiché la donna è affaticata, ha la sensazione di perdere il controllo, sente il bisogno di spingere ma non può ancora farlo poiché la dilatazione non è sufficiente. Si possono verificare sbalzi di temperatura, nausea, vomito e alterazioni dell’umore con aumento dell’irritabilità.
Al culmine di questa fase vi è un improvviso sgocciolamento di liquido roseo e colloso dalla vagina: si tratta della rottura delle acque, fenomeno del tutto normale che segna il passaggio al secondo periodo del travaglio.
Secondo periodo
Detto anche periodo espulsivo in quanto caratterizzato dalla progressione del bambino lungo il canale del parto, questo stadio richiede la partecipazione attiva della madre, la quale spingendo aiuta la progressione del bambino e ne regola la velocità.
Le contrazioni durano ora circa 60 secondi e insorgono ogni 2-3 minuti; sono forti e comprimenti e inducono la partoriente a spingere.
La madre può rallentare un’espulsione troppo veloce controllando le spinte e facendo respiri frequenti e superficiali, oppure può rendere più efficaci le contrazioni, accelerando quindi la nascita, contraendo a sua volta i muscoli addominali e rilassando i muscoli pelvici.
Terzo periodo
Nel terzo e ultimo periodo si verificano la nascita del bambino e l’espulsione della placenta dall’utero.
La prima parte del neonato che fuoriesce dal canale del parto affacciandosi alla vulva è di norma la testa. All’inizio essa appare al momento della contrazione e scompare una volta che questa è terminata, per riapparire a quella successiva: questo movimento “altalenante” permette ai tessuti elastici che costituiscono i genitali materni di dilatarsi al massimo.
Non appena compare la testa del bambino, la madre deve cessare di spingere e fare respiri superficiali, a bocca aperta, per evitare che la testa venga espulsa troppo rapidamente con il rischio di lacerare il perineo. Una volta che la testa è fuoriuscita, è necessario verificare che il cordone ombelicale non sia avvolto attorno al collo del bambino. Nel caso, lo si deve far scorrere sopra la testa del bambino, svolgendolo con delicatezza. In nessun caso si deve esercitare trazione o compressione sul cordone, per evitare che questo si laceri o che si producano gravi conseguenze sia per il bambino sia per la madre. Se la testa risulta circondata da una qualche membrana è necessario romperla con le dita per consentire al neonato di respirare.
Il peso della testa ormai espulsa renderà agevole la liberazione di una prima spalla e successivamente dell’altra. Il resto del corpo scivola fuori senza fatica e di norma non è necessario intervenire in alcun modo; si tenga presente che non bisogna mai cercare di accelerare i tempi tirando il cordone ombelicale o qualsiasi altra parte del corpo del bambino, né, viceversa, cercare di ritardare la nascita spingendo indietro la testa o il corpo del bambino quando vengono espulsi.
Cosa fare
Primo periodo
L’inizio del travaglio è estremamente variabile poiché può manifestarsi con contrazioni leggere e graduali o viceversa con l’improvvisa rottura delle acque; in ogni caso è fondamentale restare calmi e confortare la partoriente. Procedete in questo modo.
1. Chiamate il medico (o l’ostetrica) oppure l’ambulanza (Figura 1), senza lasciare sola la donna. Se siete certi che i soccorsi non tarderanno ad arrivare potrete rallentare l’evoluzione del parto facendo sdraiare la partoriente, ma mai cercare di spingere indietro il bambino che sta per nascere; se il soccorso tarda, preparatevi ad assistere al parto.
2. Iniziate a predisporre gli oggetti che potrebbero servire (Figura 2):
- panni puliti e una coperta in cui avvolgere il neonato;
- 1 paio di forbici e 3 pezzi di spago di circa 15 cm, che dovrete sterilizzare mediante bollitura per 10 minuti; dopo la bollitura lasciateli in ammollo nella stessa acqua fino al momento del bisogno;
- 2 pentole piene di acqua calda che avete in precedenza fatto bollire;
- garze sterili, pannolini.
I panni puliti servono per ripulire e asciugare madre e neonato subito dopo la nascita. A tale scopo è da impiegare anche l’acqua bollita, che va tenuta nelle pentole coperte fino al momento del bisogno. Lo spago sterilizzato serve per legare il cordone ombelicale; questo viene tagliato, dopo legatura, utilizzando le forbici sterilizzate. È della massima importanza che tutte le operazioni si svolgano nel rispetto delle norme di igiene, perché ogni trascuratezza potrebbe essere all’origine di infezioni. Lavatevi bene le mani con acqua e sapone e spazzolatevi le unghie sotto l’acqua corrente per alcuni minuti.
- Preparate il letto coprendolo con vecchie lenzuola e invitate la partoriente a svuotare vescica e intestino ogni ora. Consentitele di muoversi per casa con la massima libertà e aiutatela a trovare le posizioni meno dolorose (Figura 3), assecondandola nei movimenti e dandole conforto.
Durante la delicata fase di transizione, tranquillizzatela e ricordatele che questo periodo segna l’imminente nascita del bambino. In caso di sete, è possibile bagnarle le labbra o darle un pezzetto di ghiaccio da succhiare; massaggiatele la schiena e l’interno delle cosce.
- Aiutate la partoriente ad alleviare il dolore facendole assumere posizioni che favoriscano la dilatazione.
Se la donna è sdraiata sul dorso, il bambino grava sull’osso sacro provocando dolore alla schiena; al contrario, stando in ginocchio o in piedi, il bambino preme sulla cervice dell’utero e questo ha modo di dilatarsi più rapidamente (Figure 4, 5, 6).
Secondo e terzo periodo
- Accertatevi che la partoriente sia in una posizione comoda. Invitatela ad appoggiare la schiena contro una pila di cuscini, a flettere le gambe e ad aggrapparsi sotto le ginocchia (Figura 7).
A ogni contrazione la donna dovrà inspirare, espirare, quindi inspirare nuovamente e trattenere il respiro, flettendo il capo in avanti, per facilitare la progressione del bambino (Figura 8).
- Incoraggiate la partoriente a rilassarsi, per esempio adagiando il capo e la schiena sui cuscini nell’intervallo fra una contrazione e l’altra. Non è infrequente che si verifichino delle perdite di urine o di feci; in questo caso occorre ripulire e asciugare accuratamente la regione attorno allo sbocco del canale del parto (Figura 9).
3. Non appena si può vedere la sommità del capo del neonato, incoraggiate la donna a cessare le spinte; con una mano avvolta da un fazzoletto pulito dovete pinzare fra le dita la pelle tra vagina e ano, premendo con forza. L’interruzione delle spinte, insieme a questa manovra, servirà a evitare lacerazioni poiché in questo modo si rallenta l’espulsione e si dà modo ai tessuti materni di sopportare la trazione.
4. Sostenete la testa del neonato durante l’espulsione, senza cercare di accelerarne la nascita (Figura 10).
- Verificate che il cordone ombelicale non sia avvolto intorno al collo del bambino: se così è, fatelo scorrere in maniera delicata sopra al capo e svolgetelo. Fate attenzione a non esercitate alcuna trazione o compressione sul cordone ombelicale (Figura 11).
- Se il viso del bambino è avvolto da una qualche membrana dovrete romperla con le dita e scostarla per consentirgli di respirare (Figura 12).
Tutto il corpo del bambino piano piano verrà espulso. Sostenetelo e afferratelo saldamente da sotto le ascelle per evitare che possa scivolare a causa della sostanza viscida che lo circonda (vernice caseosa).
- Ripulite immediatamente il naso e la bocca del bambino dai residui di muco e sangue; quindi posatelo, con la faccia rivolta verso il basso, sull’addome della madre: in questa posizione il muco ancora presente nella gola del bambino viene espulso e si ha l’emissione del primo vagito (Figura 13).
- Se invece il bambino non comincia a respirare, controllate che le sue vie respiratorie non siano ancora ostruite dal muco: se è così, ponete una garza su naso e bocca del bambino e aspiratene il muco.
- Non schiaffeggiate il neonato per indurlo a respirare, bensì soffiategli nel naso e nella bocca con sbuffi leggeri ogni 3 secondi e massaggiategli la schiena o le piante dei piedi.
9. Con lo spago che avrete prima sterilizzato legate il cordone ombelicale a una distanza di 15 cm dalla pancia del bambino; fate un altro nodo 5 cm oltre questo punto (ovvero a 20 cm dal bambino), senza aver fretta di tagliarlo: lo farete, utilizzando le forbici sterilizzate e tagliando il cordone tra i due nodi, soltanto quando l’ultimo nodo eseguito avrà smesso di pulsare e avrà perso il suo colore (Figura 14).
Espulsione della placenta
La placenta, dopo la nascita del bambino, si stacca dalla parete uterina e i vasi che prima la collegavano all’utero si contraggono e si chiudono. In un lasso di tempo variabile da pochi minuti a mezz’ora la placenta viene quindi espulsa. Ecco come gestire questa fase:
- lasciate che la placenta si stacchi completamente dall’utero e invitate la donna a spingere per favorirne l’espulsione; non esercitate per nessun motivo alcuna trazione sul cordone perché potreste provocare una grave emorragia;
- conservate la placenta espulsa in un recipiente: il medico la esaminerà per accertare che non ne siano rimasti residui all’interno dell’utero;
- dopo l’espulsione pulite i genitali della donna con acqua tiepida.
I movimenti di pulizia devono essere eseguiti dalla vagina verso l’ano per evitare che la vagina si infetti. Coprite i genitali con pannolini igienici.
Cure igieniche al neonato
Dopo aver legato il cordone ombelicale, controllate che le vie aeree del neonato siano libere e che il suo stato di salute generale sia buono; se l’ambiente è abbastanza caldo, si può procedere al primo bagnetto.
- Preparate un catino con acqua a temperatura corporea (36-37°).
- Con il neonato tenuto su un braccio, prendete nella mano le natiche e, facendogli poggiare il capo sul vostro avambraccio, accostatelo gradualmente all’acqua fino a immergerlo; con una manopola lavatelo a partire dalla testa. È possibile utilizzare un detergente, anche se questo non è fondamentale. Se il neonato ha emesso le prime feci (meconio) detergete prima di tutto la zona anale e quindi procedete al bagnetto.
- Terminato il bagnetto, asciugate bene e idratate la pelle del neonato con olio a base di vaselina o altro prodotto idratante, partendo dalla testa e andando verso il basso, senza mai ritornare su un’area già coperta e facendo attenzione a evitare il moncone ombelicale.
- Questo deve essere medicato con alcol (che facilita lo staccamento); avvolgetelo con una garza, adagiate sull’addome del bambino il moncone rivolto verso l’alto e fissate la medicazione con fascia tubolare (Figura 15).
- Vestite il neonato e dategli calore.
- Contattate l’ostetrico e il medico; è necessario sottoporre al più presto il neonato a visita medica.
Essere abili nuotatori è certamente necessario per soccorrere una persona a rischio di annegamento, ma questo non basta. Il soccorritore deve essere in grado di valutare se la persona da soccorrere è a una distanza tale da poter essere percorsa 2 volte (andata e ritorno) senza alcuna difficoltà; deve inoltre poter valutare se dispone di forza sufficiente per trascinarla in salvo.
Se così non fosse, il soccorritore deve piuttosto cercare di allungare all’infortunato una pertica a cui egli possa aggrapparsi oppure lanciargli un salvagente, un pezzo di legno o un pallone, oggetti con cui può tenersi a galla controllando la paura, finché non sarà possibile raggiungerlo con un’imbarcazione.
Una volta a riva, va iniziata immediatamente la rianimazione, senza perdere tempo nell’inutile tentativo di far espellere alla vittima l’acqua penetrata nelle vie respiratorie; questa, infatti, verrà eliminata con la tosse non appena la persona riprenderà a respirare. Le manovre di rianimazione vanno continuate per almeno 1 ora prima di desistere.
Cosa fare
- Se l’infortunato respira o tossisce, va messo nella posizione di sicurezza (Figura 1): risulterà così facilitata l’eliminazione dell’acqua penetrata nelle vie aeree.
- Se la persona non respira spontaneamente va iniziata la respirazione artificiale, con metodo bocca-bocca (Figura 2).
- Quando l’infortunato riprende a respirare, va sistemato nella posizione di sicurezza. Controllate regolargente respiro e polso (Figura 3, 4); se necessario ricominciate la rianimazione.
- Appena possibile, asciugate la persona e cambiatele gli indumenti; copritela con una coperta (Figura 5).
Sono la conseguenza di ingestione, inalazione o contatto con sostanze tossiche.
Sono trattati in questa sede gli avvelenamenti da funghi, le intossicazioni da alimenti alterati o infetti, l’ingestione di antiparassitari impiegati per il trattamento di frutta e verdura, l’assunzione accidentale o volontaria di sostanze nocive.
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