Assistere un familiare
Somministrare la terapia
Gestione delle ferite
Una ferita, di qualsiasi natura essa sia, deve essere trattata secondo criteri adeguati. Poiché ogni lesione della cute ha una causa precisa, è necessario capire la modalità d’insorgenza e procedere con ordine. La ferita è sempre l’evento finale di una causa che sta a monte: questo principio deve essere chiaro.
Una ferita richiede innanzitutto il riconoscimento del problema di base. bisogna chiedersi se il sangue arriva, se si tratta di una ferita creata dalla compressione dei tessuti tra ossa e un piano rigido, se è presente un’infezione e osservare se è presente gonfiore locale (edema).Una volta riconosciuta la causa si deve eliminare il problema alla radice (quando è possibile).
La corretta gestione di una ferita prevede l’impiego di medicazioni adatte a mantenere umido l’ambiente in cui si è formata la lesione, mentre i bordi devono restare asciutti.
L’ambiente umido è il trattamento d’elezione per la cura delle lesioni tranne nei casi in cui la circolazione è compromessa; se la ferita è provocata da ischemia, prima di inumidirla è indispensabile ripristinare la circolazione arteriosa altrimenti si possono scatenare infezioni potenzialmente mortali.
Un’altra controindicazione all’uso dell’ambiente umido è la presenza di lesioni cutanee tumorali, in questo caso si adottano medicazioni normali.
Lesioni da decubito
Le ulcere o lesioni da decubito sono da sempre un problema importante nell’assistenza alle persone malate. La medicina popolare ha ancora oggi un peso enorme: esistono, infatti, tutta una serie di preparati casalinghi condiderati miracolosi (soprattutto pomate e unguenti) e alcune credenze sono ancora difficili da sradicare. La verità è ben lontana da tutto ciò e gli interventi effettuati sono quasi tutti inappropriati e controproducenti.
Le ulcere da pressione sono lesioni che si localizzano in prossimità delle prominenze ossee (gomiti, talloni, anche) e possono sia colpire la parte superficiale della cute sia estendersi ai tessuti sottostanti, fino a raggiungere le ossa; si formano quando i tessuti sono schiacciati tra due parti rigide (letto o carrozzina e ossa), con conseguente interruzione dell’afflusso di sangue, per un periodo pari o superiore a due ore.
Esistono due fattori di rischio in grado di esporre l’individuo allo sviluppo di questo tipo di lesioni, denominati fattori interni (generali) ed esterni (locali).
I fattori interni sono propri della persona e riguardano le malattie croniche, la febbre, la malnutrizione, il coma, l’età, i disturbi neurologici, le terapie con psicofarmaci e tutto ciò che crea una diminuzione della mobilità e della coscienza.
I fattori esterni invece sono rappresentati da forze che agiscono in modo dannoso sulla cute e sono quattro: la pressione (la più pericolosa), l’attrito o frizione, le forze di taglio o scollamento e l’umidità. Da quanto esposto finora si capisce che non esistono unguenti o pomate in grado di azzerare queste variabili, sono invece possibili interventi atti a ridurre considerevolmente i fattori di rischio, soprattutto quelli esterni che saranno analizzati oltre.
Spesso gli ammalati, o i parenti, riferiscono che le lesioni da pressione sono insorte con una rapidità tale da non saperne interpretare il significato, oppure di avere trovato nel giro di alcune ore una strana macchia scura sulla pelle del proprio caro, ne consegue che la prima importante osservazione da fare è proprio relativa al tempo necessario affinché si formi una lesione: credere che siano necessari giorni è del tutto sbagliato dal momento che dopo circa 120 minuti comincia già a verificarsi il danno.
I fattori esterni sui quali è possibile intervenire efficacemente comprendono tutte le succitate forze, cominciando dalla pressione. Volendo rappresentare con un’immagine mentale l’effetto che la pressione produce sui tessuti, si dovrebbe pensare a una pressa che schiaccia al suo interno una bistecca. Tale è la sorte che spetta al tessuto vitale intrappolato tra un piano rigido, quale il letto o la sedia, e la superficie durissima di un osso. Newton ha spiegato bene la legge di gravità e tale regola vale, ovviamente, anche per gli esseri umani, non solo per gli oggetti.
Le ulcere provocate dalla pressione sono, senza dubbio, le più profonde e gravi, nonché le più difficili da guarire.
L’attrito (frizione) è il risultato dello strofinamento della cute su una superficie ruvida quale il lenzuolo. Non ha un effetto così deleterio come la pressione, ma su una pelle sottile e fragile produce lesioni superficiali, erosive, con bordi frastagliati e molto dolorose.
Le forze di taglio o scollamento sono il risultato dell’azione prodotta dallo scivolamento dei segmenti corporei rispetto alla cute che resta aderente al piano d’appoggio (letto o carrozzella), creando una strozzatura dei vasi sanguigni profondi con relativo deficit nutritivo. Tali forze si accompagnano sempre alla pressione.
L’ultimo fattore di rischio esterno è l’umidità, che da sola non crea lesioni gravi o penetranti, ma che può complicare il quadro cutaneo generale. Solitamente, le zone più colpite sono quelle dei genitali nei soggetti incontinenti. La macerazione locale prodotta dall’umidità espone la cute a infezioni superficiali.
I fattori interni, invece, sono poco modificabili dagli interventi degli operatori: l’età, le malattie neurologiche, il coma, la febbre, la malnutrizione, le terapie con psicofarmaci. La febbre di per sé non espone al rischio di ulcere da decubito: un giovane di 15 anni con l’influenza non ha nulla da temere, però, se insieme alla febbre compare un’alterazione dello stato di coscienza che causa immobilità, il rischio di ulcere da decubito diventa reale. È imperativo ricordare sempre la seguente regola: l’ulcera è l’effetto e non la causa, quindi l’impegno deve essere tutto rivolto alla prevenzione. L’organismo umano è un miracolo di ingegneria, esiste infatti un meccanismo fisiologico preziosissimo che ci consente di muoverci nel sonno senza la nostra volontà ed è solo ed esclusivamente il suo danneggiamento temporaneo o definitivo a esporre i soggetti al rischio di ulcere da decubito. La seconda regola da ricordare è questa: i fattori interni sono la causa scatenante, quelli esterni la causa precipitante. Analizzando brevemente i fattori interni, si può senz’altro affermare che l’età (o meglio, l’invecchiamento) di per sé non è una malattia, ma influisce sulla struttura di tutti gli organi compresa la cute che, assottigliandosi, diventa meno resistente alla trazione e guarisce meno facilmente. Le malattie croniche che riducono la mobilità e la coscienza mettono a rischio l’ammalato. Ad altissimo rischio sono poi i pazienti in coma, poiché tale stato azzera del tutto mobilità e coscienza. La malnutrizione meriterebbe un capitolo a parte, in quanto il deficit di calorie e proteine è collegato alla comparsa di lesioni. Anche le malattie neurologiche, infine, riducono mobilità e coscienza esponendo i soggetti al rischio di comparsa di lesioni da pressione. Non è necessario aspettare la comparsa dell’ulcera per cominciare gli interventi assistenziali, bisogna capire chi è a rischio e chi non lo è, utilizzando semplici scale di valutazione.
Le scale di valutazione sono in grado di dirci con esattezza chi svilupperà una piaga. Sono costituite da alcune voci quali mobilità, stato di coscienza, deambulazione e incontinenza. A ogni voce viene assegnato un punteggio (subtotale) e alla fine dalla somma di tutte le voci si ricava il totale. Nella letteratura sull’argomento esistono moltissimi indici di valutazione, ma i più accreditati sono due: indice di Norton e indice di Braden. Il primo è nato in ambito geriatrico ed è semplice e rapido nella compilazione; il secondo possiede alcune voci in più ed è maggiormente dettagliato e preciso.
Segni e sintomi delle lesioni da decubito
Le lesioni da pressione esordiscono in modo silente proprio a causa dell’alterazione della coscienza; come già accennato, sono sufficienti circa due ore di immobilità per arrecare un danno considerevole al paziente. Si è soliti classificare le ulcere in base alla profondità raggiunta utilizzando i parametri di valutazione internazionale NPUAP (National Pressure Ulcer Advisory Panel). Si distinguono quattro stadi a cui accenneremo solo per completezza:
- lesione di primo stadio: eritema che non scompare alla digitopressione, preannuncia l’ulcerazione;
- lesione di secondo stadio: perdita parziale di tessuto cutaneo, coinvolge l’epidermide e il derma;
- lesione di terzo stadio: perdita totale di spessore cutaneo, con necrosi del tessuto sottocutaneo che non raggiunge i muscoli;
- lesione di quarto stadio: lesione a tutto spessore con distruzione estesa e coinvolgimento di articolazioni e ossa.
Nella pratica le lesioni si riconoscono valutando alcuni semplici parametri. Per prima cosa è importante saper riconoscere gli arrossamenti cutanei, chiamati in gergo medico eritemi, che non scompaiono alla digitopressioneî (pressione esercitata sulla pelle con le dita). L’arrossamento cutaneo che ritroviamo nelle pre-ulcerazioni, infatti, può avere due caratteristiche precise:
- può scomparire quando si esercita una pressione con le dita per pochi secondi e ricomparire subito dopo averle tolte;
- può non scomparire dopo avere esercitato pressione con le dita.
Questa è la prima manovra semplicissima da compiere per verificare se il danno è avvenuto oppure se si tratta solo di un innocuo arrossamento. Se l’eritema non scompare dopo la pressione, si è di fronte a una lesione di primo stadio; attenzione perché inizialmente sembrano macchie innocue e poi con il tempo modificano il colore da rosso a viola scuro, indizio di un danno profondo. Le lesioni di secondo stadio hanno l’aspetto di una sbucciatura o di una vescica piena di liquido. Le lesioni di terzo stadio hanno un aspetto a cratere, sono molto profonde ed essudanti, non arrivano però ai muscoli e sono la conseguenza di una pressione profonda. Il quarto e ultimo stadio è caratterizzato da lesioni molto profonde, molto essudanti e maleodoranti che raggiungono le ossa e le articolazioni, mettendo a rischio la vita delle persone se non trattate correttamente o se il soggetto in questione ha una salute compromessa. In alcuni casi cis itrova di fronte a estese ulcere con briglie di fibrina (tessuto giallo) che oltrepassano le fasce muscolare e aggrediscono il compartimento osseo.
Prevenzione e trattamento delle lesioni da decubito
Obiettivi principali della prevenzione sono la riduzione e lo scarico della pressione, perciò tutti i soggetti ritenuti a rischio (previa valutazione con la scala di Norton) devono essere sottoposti a regolari cambi di postura a letto e in sedia a rotelle (almeno ogni due ore e soprattutto di notte).
Cambiare postura significa modificare l’assetto del corpo su una superficie, ciò può avvenire autonomamente o grazie a terzi (parente, operatore sanitario). Il cambio di postura deve rispettare la normale fisiologia corporea, quindi è fondamentale evitare posizioni viziate.
Le principali posture sono: la posizione supina, laterale destra e sinistra, prona, seduta o semiseduta. Il decubito laterale dovrebbe essere mantenuto da cuscini o cunei di gommapiuma e tutte le prominenze ossee dovrebbero essere protette da spessori per evitare che tocchino l’una con l’altra. Mai sistemare la persona con il bacino a 90° rispetto al piano rigido poiché la pressione sarebbe troppo alta, meglio a 30°. La posizione supina deve essere mantenuta seguendo un preciso schema. L’inclinazione della testiera del letto non deve essere superiore a 30°, questo perché il paziente tende a scivolare verso il basso e ad aggravare così la pressione sacrale. I talloni devono essere mantenuti in scarico posizionando un cuscino sotto le gambe in modo che i calcagni restino a penzoloni nell’aria. Non esistono sistemi validi per scaricare la pressione sui talloni, per esempio talloniere. Per mantenere correttamente il corpo in asse e scaricare la pressione su singole parti si utilizzano ausili specifici quali materassi, cuscini, cunei di gommapiuma (poliuretano); in commercio troviamo superfici semplici, complesse e molto costose; partendo dai sovramaterassi si arriva ai materassi a pressione alternata, a cessione d’aria fino ai letti fluidizzati, rinvenibili solo negli ospedali. Gli spostamenti nel letto dovrebbero essere effettuati mediante ausili che impediscano al corpo di sfregare contro la superficie del letto e facilitino il lavoro e la sicurezza di chi opera con il malato; ne esistono molti: teli ad alto scorrimento, tavolette per i passaggi da letto a carrozzina e così via.
Tutte le lesioni dovrebbero avere un ambiente adatto alla loro guarigione; nell’ultimo ventennio la teoria della guarigione in ambiente umido ha rivoluzionato il modo di curare le ferite.
L’idea che le ulcere guariscano meglio e più rapidamente in un ambiente umido è venuta al dottor George Winter il quale, durante la preparazione della sua tesi, si accorse casualmente che le ferite provocate su maiali e curate con una pellicola trasparente per alimenti erano guarite molto più celermente rispetto a quelle curate con creme e medicazioni usuali. La crosta che ricopre le ulcere, infatti, rallenta la guarigione e offre meno protezione nei confronti dell’insorgenza di infezioni.
Alla luce di questi studi sono state progettate e distribuite molte medicazioni (avanzate) in grado di offrire differenti performance in varie circostanze.
Tutte le medicazioni si possono classificare secondo la capacità d’assorbimento, l’occlusività, il controllo della proliferazione dei germi ecc.
Le principali categorie di medicazioni realizzate per la cura di lesioni specifiche sono: pellicole trasparenti, alginati, schiume, idrocolloidi, medicazioni al carbone, all’argento, medicazioni attive e medicazioni al silicone. Ciò che più importa sottolineare è la marginalità che rivestono nella cura delle lesioni, esse offrono un ambiente adatto alla guarigione ma non sostituiscono l’assistenza, che è fondamentale.
Va rimarcato che le nuove tecnologie hanno fornito agli operatori medicazioni straordinarie, in grado di rimanere attive anche alcuni giorni, ma è scorretto focalizzare troppo l’attenzione sulla capacità taumaturgica della medicazione: le ulcere guariscono davvero solo quando si adottano tutte le misure del caso.
Le piaghe esordiscono quasi sempre con una zona necrotica (cute devitalizzata) di un colore tra il giallo e il nerastro, che si trasforma col tempo in un tessuto duro, coriaceo, simile al cuoio. Questo tessuto deve essere rimosso in quasi tutte le circostanze e la metodica di rimozione prende il nome di debridement (sbrigliamento) di cui esistono differenti tipi in base all’agente o al metodo utilizzato: enzimatico, autolitico, whirpool, wet-to-dry, biologico o chirurgico.
Lo scopo è, in tutti i casi, la rimozione rapida del tessuto necrotico e la creazione dell’ambiente adatto alla rigenerazione cellulare. una volta rimosso il tessuto necrotico, si riesce a intravedere un fondo rossiccio e sano.
Per il trattamento delle ulcere si utilizzano le medicazioni più appropriate a ogni stadio.
Se le lesioni sono di primo stadio, solitamente, è sufficiente rimuovere la causa che ha scatenato il problema per ripristinare la circolazione: posizionare correttamente il paziente, scaricando ove possibile la zona colpita, curare l’igiene, applicare delle creme idratanti o delle medicazioni sottili, chiamate film poliuretanici o idrocolloidi.
I film offrono la possibilità di ispezionare la cute sottostante in quanto, essendo trasparenti, possono restare applicati alcuni giorni senza doverli rimuovere per verificare le condizioni della pelle. Devono essere asportati con attenzione poiché possono danneggiare la cute, specialmente quella delle persone anziane.
Le lesioni di secondo stadio devono essere trattate come quelle di primo stadio, ma l’obiettivo in questo caso è la riparazione cutanea. La ferita deve essere detersa (pulita) con soluzione fisiologica e va applicata una medicazione adatta (idrocolloidi, schiume sottili) previa asciugatura della cute attorno alla ferita.
In presenza di lesioni di terzo stadio, la strategia terapeutica mira a sostenere l’intera economia generale del paziente (scarico della pressione, nutrizione, controllo del dolore), alla rimozione della necrosi (escara) e a creare le condizioni per la formazione di un tessuto nuovo e vitale.
Il quarto stadio costituisce una fonte di pericolo per il paziente: l’esposizione e l’eventuale contaminazione delle ossa da parte di materiali esterni (feci e urina) può favorire l’insorgenza di gravi infezioni (osteomielite), inoltre, l’abbondante fuoriuscita di secrezioni può causare disidratazione e perdita di proteine e sali minerali, aggravando ulteriormente il quadro generale.
L’intervento terapeutico deve essere aggressivo e mirato a mantenere la sicurezza generale del paziente, possono essere effettuate terapie con antibiotici, nutrizione artificiale, infusione di proteine (albumina), trasfusioni; le medicazioni devono controllare l’infezione e favorire la formazione di tessuto sano. Quando le ulcere sono molto profonde si applicano prima medicazioni che riempiono lo spazio vuoto, in grado di assorbire l’essudato, e successivamente medicazioni esterne in schiuma. Sono necessari cambi frequenti a causa delle grandi quantità di liquido che fuoriescono dalle piaghe. La consulenza di un professionista esperto è vivamente consigliata.
Ausili antidecubito
Materassi e sovramaterassiI materassi antidecubito vengono utilizzati per ridurre il rischio di insorgenza delle piaghe da decubito, ma purtroppo non possono azzerarlo.
Quando il malato viene considerato a rischio (vedi indice di Norton) si posiziona un materasso o un sovramaterasso in grado di diminuire la pressione tra il piano del letto e la persona (pressione d’interfaccia). È opinione molto diffusa, ma erronea, che la superficie utilizzata sia in grado di prevenire le lesioni, in realtà nessun materasso è in grado di azzerare l’effetto della gravità. I presidi in commercio possono solo attenuare le forze che producono il guasto cutaneo, la vera prevenzione si effettua attraverso i cambi di postura, cioè girando il malato ogni due ore circa. Questi interventi sono determinanti per prevenire le piaghe.
Le superfici per lo scarico della pressione devono essere impiegate quando il rischio è accertato.
Prima di ricorrere a sistemi sofisticati, è necessario possedere un buon materasso in poliuretano (gommapiuma) con un’altezza minima di 10 cm, meglio ancora se l’altezza è compresa tra 16 e 20 cm. Tutte le superfici devono accogliere e sostenere il peso del paziente senza che questi tocchi il fondo del letto. Infilando una mano sotto il materasso, le dita devono potersi muovere verso l’alto senza toccare i corpo dell’ammalato.
Un cenno rapido a un presidio largamente utilizzato: il vello di pecora. Capita spesso di vedere i malati a letto sdraiati sopra un “tappetino peloso”, magari su consiglio del vicino di casa che lo usava con la madre; tale sistema casalingo non ha nessuna valenza scientifica, anzi l’utilizzo del vello di pecora è sconsigliato perché ha il potere di aumentare il calore locale e di trattenere i batteri, inoltre è difficilmente lavabile. I materassi antidecubito statici mantengono inalterate le loro caratteristiche e non sono alimentati dalla rete elettrica. La trama del materasso è costituita da formazioni cubiche di poliuretano assemblate. Esistono tipi di poliuretano che si modificano con il calore del corpo chiamati termosensibili o viscoelastici. I sistemi dinamici, invece, modificano le loro caratteristiche e sono alimentati dall’energia elettrica. Non sono molto graditi dai malati in quanto sono rumorosi e muovendosi disturbano il sonno. I principali funzionano a pressione alternata, un compressore gonfia e sgonfia in modo regolare le celle che lo costituiscono. Deve essere fatta una precisazione importante per evitare confusione: molte volte il termine materasso viene impiegato impropriamente, i principali sistemi di scarico che si vedono a casa degli ammalati sono sovramaterassi. Tutti i sistemi dinamici non devono essere rimboccati dalle lenzuola in quanto se ne vanifica l’effetto, meglio utilizzare un lenzuolo unico steso sopra al sovramaterasso.
Sistemi più complessi sono rinvenibili negli ospedali.
Cuscini antidecubito per sedia a rotelle
La posizione seduta è la più a rischio per la comparsa di decubiti, pertanto il sedile della carrozzella dovrebbe essere dotato di un cuscino, possibilmente a bolle d’aria, alto almeno 10 cm e gonfiato al punto giusto, per lo scarico della pressione sui glutei. Un ausilio largamente usato, ma che risulta essere molto dannoso per la sua innata tendenza a creare congestione venosa, è il cuscino con il foro centrale (ciambella) da posizionare sulla sedia a rotelle. Particolare importanza riveste l’allineamento posturale della colonna vertebrale: la schiena dovrebbe essere in asse, sempre perpendicolare al pavimento e il piano d’appoggio spetta alle due natiche e non a una sola.
Chi non riesce a cambiare la postura autonomamente dovrebbe essere aiutato a compiere piccoli spostamenti ogni 15 minuti e non superare le due ore nella stessa posizione. Alcune carrozzine (basculanti) sono dotate di una funzione speciale per inclinare schienale e sedile, questa posizione è particolarmente vantaggiosa per lo scarico della pressione a livello sacrale.
Le skin tears sono particolari ferite che colpiscono la cute del soggetto anziano, sono prodotte da insulti banali: rimozione di un cerotto, sfregamento della cute contro un piano rigido (sedia a rotelle) o durante i cambi di postura a letto. Si tratta di ferite che lacerano la pelle e formano un lembo che mantiene la cute attaccata, in alcuni casi invece si verifica la rimozione parziale o totale del lembo.
L’età è il primo fattore responsabile di questo disturbo che però può essere causato anche da alcune malattie, dall’uso cronico di cortisonici e dall’assunzione di farmaci quali aspirina e anticoagulanti.
Le parti più colpite sono le braccia, in particolare gli avambracci, e le gambe.
Gli arti inferiori, specialmente se gonfi possono esporre a rischio di cronicizzazione tali ferite, con evoluzione verso l’ulcera.
Secondo il sistema di classificazione elaborato da Regina Payne e Marie Martin, le ferite a lembo si possono suddividere in tre grandi gruppi in base al grado di perdita di tessuto.
Un’ulteriore variabile riguarda il grado di profondità della ferita. Si definisce lesione a spessore parziale la ferita caratterizzata dallo scollamento della pelle dalla parte superficiale rispetto al derma, mentre è definita ferita a spessore totale quella in cui si verifica il distacco dell’epidermide e del derma dai tessuti sottostanti.
Prevenzione e trattamento delle skin tears
Il primo passo per la prevenzione delle skin tears (ovvero le ferite a lembo) è rappresentato dall’individuare precocemente i soggetti maggiormente esposti al rischio, che sono gli anziani, i pazienti in terapia cronica con cortisone, i pazienti con arti gonfi (edemi) e le persone in stato confusionale.
Il passo successivo consiste nell’imbottire tutte le sporgenze potenzialmente pericolose (carrozzine, tavolini, manici delle padelle, braccioli), utilizzando cotone in rotoli e fissandolo con bende coesive. L’applicazione regolare di una crema idratante ed emolliente ottenuta mischiando vaselina, lanolina e olio di mandorle in parti uguali è un valido aiuto per prevenire la secchezza cutanea, che è causa di ulteriore fragilità della pelle.
Gli spostamenti devono essere effettuati con molta cura evitando di afferrare il paziente per le braccia o le gambe; nel caso si debba spostare l’ammalato utilizzare teli ad alto scorrimento e rimuovere i monili dalla mani poiché possono ferire.
Si raccomanda vivamente di non incollare cerotti direttamente sulla pelle, soprattutto le pellicole trasparenti che, avendo un’altissima adesività, quando vengono rimosse asportano anche i tessuti.
Se le gambe sono gonfie, è opportuno fare indossare calze contenitive che riducano l’edema; in tutti i casi è preferibile coprire le gambe e le braccia con pantaloni o maglie tubolari leggere.
Controllare l’allineamento degli arti quando si spinge la carrozzina: molte volte i pazienti tengono i gomiti esposti, che regolarmente urtano contro gli spigoli, oppure restano impigliati nei poggiapiedi.
Per quanto riguarda il trattamento delle lesioni cutanee, sarebbe opportuna la valutazione del medico nelle primissime ore (massimo 6) dall’evento traumatico, in quanto il lembo che si è sollevato può ancora essere riavvicinato alla lesione e saldarsi, mentre con il tempo diventa poco irrorato dal sangue (ischemico).
Il trattamento chirurgico prevede la sutura, ove sia possibile, o un innesto cutaneo se la lesione è molto estesa (quasi impraticabile); la sutura è comunque messa in discussione per vari motivi (tensione sulla ferita, infezione e necrosi dei lembi già traumatizzati). In linea di massima, si preferisce utilizzare medicazioni che favoriscano la riepitelizzazione.
Il primo intervento che si deve compiere nell’immediato è il riavvicinamento dei lembi e l’applicazione di cerottini che sostituiscono il filo di sutura. Questi cerotti devono essere lasciati almeno una settimana senza essere rimossi. In generale, il lembo che si è sollevato non deve essere riportato esattamente sopra la ferita ma lasciato un po’ separato, per consentire la fuoriuscita dei fluidi che altrimenti si raccoglierebbero sotto creando tensione e impedendo la chiusura.
Sulle ferite in cui si è verificato un completo distacco del lembo, è necessario applicare medicazioni non aderenti, in questi casi si dice che la guarigione avviene quindi “per seconda intenzione”.
Le principali medicazioni utilizzabili sono le garze vaselinate applicate in numero di almeno 5-10 strati altrimenti si corre il rischio che si attacchino.
Si possono utilizzare anche poliuretani sottili non adesivi o medicazioni in silicone. Dopo l’applicazione, la medicazione può essere lasciata sulla ferita anche per parecchi giorni consecutivi a meno che non sia infetta.
Tutte le medicazioni devono essere fissate con una benda leggera o una maglia tubolare e mai con i cerotti.
La lesione non deve restare all’aria e seccare.
Ustioni
Le ustioni sono lesioni che interessano la cute e possono estendersi molto in profondità, creando danni enormi e mettendo a repentaglio la vita della persona. Possono essere provocate da molte cause, la più frequente è quella termica (per esempio olio bollente, sostanze infiammabili). La classificazione delle ustioni individua quattro stadi in base alla profondità della lesione:
- primo grado: eritema, che si manifesta come rossore cutaneo e interessa lo strato superficiale della pelle;
- secondo grado: formazione di vescicole (le classiche bolle piene di liquido);
- terzo grado: distruzione dell’epidermide, del derma e del tessuto sottocutaneo;
- quarto grado: carbonizzazione dei tessuti profondi (articolazioni, muscoli, ossa).
Oltre al grado di profondità, bisogna tenere in considerazione anche l’estensione dell’ustione.
Per valutare l’estensione si adopera una mappa del corpo in cui vengono espresse le percentuali di superficie corporea TBSA (Total Body Surface Area, superficie totale ustionata del corpo) interessata dall’ustione.
Un’unità di misura generale, molto grossolana, è rappresentata dal pugno o dal palmo del soggetto ustionato: la superficie della mano con le dita chiuse rappresenta circa l’uno percento della superficie corporea. Nell’adulto le ustioni superiori al 15% del TBSA richiedono un trattamento ospedaliero urgente, nel bambino la percentuale scende al 10%.
Le ustioni devono essere valutate da professionisti perché sono pericolose se prese alla leggera. Il trattamento delle ustioni deve coniugare arte, scienza ed esperienza. La terapia ideale, supportata da studi scientifici di qualità, resta per ora un’area grigia. L’ustione deve essere valutata sia nell’immediato sia successivamente, in quanto a volte tende a modificarsi in senso negativo, passando da uno stato superficiale a uno più profondo.
La valutazione corretta deve tenere in considerazione quattro variabili ben precise:
- profondità
- estensione
- zona colpita
- tipologia di paziente.
La scelta di inviare un paziente in un centro specializzato dipende da alcuni criteri che sono stati stabiliti abbastanza precisamente dall’Associazione americana per le ustioni (ABA, American Burn Association) di seguito riportati:
- ustioni profonde che interessano più del 10% della superficie corporea (il palmo della mano è circa l’uno per cento);
- interessamento di faccia, mani, perineo e genitali;
- ustioni profonde (3° e 4° grado) in qualsiasi fascia d’età;
- ustioni da inalazione;
- ustioni chimiche;
- ustioni del bambino;
- ustioni concomitanti a traumi e fratture.
Le altre ustioni di primo e secondo grado possono essere trattate in ambulatorio o a casa, ma sempre sotto il controllo di un medico e di un infermiere.
Trattamento delle ustioni superficiali
La cura generale delle piccole ustioni prevede:
- la valutazione del dolore
- controllo delle infezioni
- cura della cute.
Il controllo del dolore è un aspetto molto importante che rende necessario conferire con il medico per individuare la terapia più idonea. Le ustioni possono infettarsi con una certa facilità: sarà compito dell’infermiere e del medico rilevare precocemente i segni dell’infezione e porvi rimedio. La cura della cute ustionata si realizza grazie all’impiego di medicazioni adatte a favorirne la guarigione.
Il trattamento delle ustioni di primo grado prevede prima il raffreddamento della parte interessata dall’ustione con acqua fredda per almeno dieci minuti e, in seguito, l’applicazione di una crema emolliente priva di sostanze profumate. La guarigione avviene dopo circa una settimana e non lascia cicatrici.
Le ustioni di secondo grado creano la caratteristica bolla o vescica (flittene) causata dalla separazione dell’epidermide dal derma, alcune volte possono arrivare fino al derma. Questa sorta di “camera” contenente liquido può avere piccole dimensioni o interessare una vasta porzione corporea.
Il trattamento è controverso in quanto mancano indicazioni precise supportate da evidenze scientifiche che possano indirizzare verso la migliore cura.
Alcune scuole di pensiero sostengono che è preferibile lasciare la bolla chiusa, mentre altre ritengono che sia più conveniente rimuoverla.
Anche sulla pulizia delle ustioni non esistono indicazioni chiare e precise, molti consigliano di non lavare la ferita, altri invece sostengono che sia sufficiente l’acqua del rubinetto o la soluzione fisiologica.
La medicazione ideale deve comunque tenere conto del principio di guarigione in ambiente umido, quindi possono essere indicate le medicazioni sottili in schiuma poliuretanica, idrocolloidi (sostanze assorbenti e autoadesive che a contatto con l’essudato della ferita producono un gel che mantiene l’ambiente equilibratamente umido), garze grasse da 4 a 8 strati (altrimenti tendono ad attaccarsi alla lesione) e film trasparenti.
Se la lesione è molto essudante si possono impiegare prodotti come gli alginati (composti naturali ottenuti dalle alghe marine) o le schiume.
Medicazioni a base di nanocristalli di argento, infine, possono controllare molto bene la proliferazione batterica.
L’applicazione locale di pomate a base di antibiotici è controversa e la disinfezione regolare con antisettici pare non essere utile. Risulta chiaro che in trattamento ideale deve essere scelto e valutato per ogni singolo caso.
L’ustione non deve essere mai sottovalutata ed è necessario rivolgersi sempre al medico.
Gestione della cute secca e desquamata
La pelle secca, rinvenibile spesso nell’anziano, è un disturbo che deve essere trattato rapidamente poiché favorisce l’insorgenza di screpolature e tagli (ragadi).
La presenza di cute secca e desquamata (ipercheratosi) sulle gambe e la formazione di macchie e scaglie sul torace (ipercheratosi seborroica) sono alterazioni che si riscontrano frequentemente nella persona anziana. Le scaglie di desquamazione diventano spesso terreno di coltura per i batteri che vi si annidano proprio al di sotto, scatenando infezioni cutanee che possono condurre verso l’ulcerazione cronica, specialmente quando sono localizzate sulle gambe. La rimozione delle scaglie deve avvenire in modo appropriato, evitando manovre imprudenti o aggressive.
Le gambe dell’anziano sono soggette a gonfiore (edema) e l’eczema può determinare screpolature con fuoriuscita di essudato; questa condizione spesso culmina in un’ulcera della gamba. Tali disturbi possono essere curati con l’applicazione di creme specifiche e con il riscorso al bendaggio.
La pelle secca (xerosi) tende a dare molto prurito, colpisce in prevalenza le gambe e gli avambracci, ma talvolta anche le mani. Se non si interviene tempestivamente per ripristinare il normale equilibrio cutaneo, si assiste molto spesso al peggioramento della zona, con fissurazioni e tagli (eczema craquelé).
L’eczema craquelé scatena un intenso prurito e le relative lesioni da grattamento possono infettare la cute, specialmente quella fragile dell’anziano.
Le sostanze grasse e l’acido salicilico (vaselina salicilica al 5%) sono in grado di ammorbidire la cute secca e di farla cadere senza che vi sia la necessità di intraprendere manovre pericolose.
La vaselina salicilica, un prodotto innocuo confezionato in farmacia su prescrizione del medico, deve essere applicata e rimanere sulla pelle per non più di 24 ore; in seguito, deve essere rimossa delicatamente con acqua e sapone e la cute deve essere idratata con una buona crema. I termini idratante ed emolliente vengono spesso confusi anche se il loro significato non lascia molto spazio a interpretazioni: per idratante si intende una sostanza che trasmette acqua alla cute, mentre con il termine emolliente si in dica un composto in grado di trasmette grasso, che serve ad ammorbidire la pelle e a renderla più elastica.
Dopo la detersione, un latte fluido o una buona crema possono restituire alla pelle il normale equilibrio.
Disinfettanti e antisettici cutanei: indicazioni e controindicazioni
Il campo dei disinfettanti cutanei è molto vasto e spesso viene fatta confusione tra disinfettante e antisettico.
Il disinfettante è una sostanza che si utilizza sulla cute integra, in linea di massima prima di particolari procedure quali, per esempio, iniezioni intramuscolari o endovenose. Vista la sua tossicità sui tessuti feriti, è assolutamente da evitare l’applicazione su lesioni della pelle e delle mucose (bocca, vagina, glande). Molte volte i disinfettanti (primo fra tutti l’alcol etilico a 90°, quello rosa che si tiene in casa) sono utilizzati direttamente sulle ferite, arrecando un dolore insopportabile al malcapitato. L’impiego di un disinfettante piuttosto di un altro deve essere determinato da alcune precise considerazioni:
- composizione;
- tipo d’utilizzo;
- tipo di microbi da trattare.
Le concentrazioni sono importanti in quanto viene a modificarsi l’effetto battericida, anche il tempo di contatto e la corretta conservazione prima e dopo l’apertura sono fondamentali per una disinfezione efficace. In particolare, la bassa tossicità ha un ruolo fondamentale nella scelta del disinfettante ideale per il trattamento della cute lesa. Il disinfettante può anche essere impiegato per igenizzare superfici come i mobili, i lettini ecc.
Gli antisettici si utilizzano invece su tessuti lesionati o sulle mucose. In genere, si utilizzano soluzioni acquose e mai alcoliche. Nonostante siano stati concepiti per l’utilizzo sulle ferite o sulle mucose, l’impiego degli antisettici è a ancora discusso. Molti studi scientifici hanno analizzato l’effetto di queste sostanze sulle cellule e i risultati dimostrano chiaramente che esplicano un’azione lesiva sulla riproduzione cellulare, cioè sono tossici per le cellule e per i tessuti (citotossici e istotossici). Oltre a un impiego non sempre corretto dei disinfettanti e degli antisettici, capita molte volte che le modalità di conservazione e di applicazione di queste sostanze siano del tutto sbagliate. Si raccomanda pertanto di evitare le seguenti pratiche:
- tenere in un armadio per mesi, o anche anni, un contenitore di disinfettante già aperto (un errore molto comune);
- acquistare confezioni che contengono grandi quantità di prodotto (per esempio, bidoni da 5 litri);
- utilizzare un disinfettante conservato in un contenitore e, una volta terminato, rabboccarlo con un nuovo prodotto;
- aprire un contenitore e non chiuderlo dopo l’uso;
- contaminare la parte interna del tappo toccandolo o appoggiandolo su un piano;
- toccare con il cotone la parte esterna del contenitore.
Come qualsiasi altra sostanza, anche i disinfettanti si contaminano. Un’idea molto diffusa è che al loro interno i batteri non crescano o non si moltiplichino: nulla di più sbagliato. I disinfettanti aperti e conservati per un lungo periodo possono essere colonizzati da miliardi di batteri che poi vengono trasferiti sulla pelle.
Principali antisettici
Iodio povidoneÈ una sostanza che contiene iodio, ha una colorazione marrone intensa, è confezionato in soluzione acquosa; quando si utilizza sulle mucose bisogna accertarsi che non abbia alcol. Possiede un ampio spettro d’azione, cioè è attivo su molti batteri, virus e funghi. Questo prodotto è ampiamente utilizzato anche in circostanze non necessarie. Le principali indicazioni sono: disinfezione di piccole ferite, disinfezione della cute prima di incannulare una vena in particolari pazienti, disinfezione delle ferite chirurgiche.
Si applica su garza sterile e si stendere sulla cute, facendo attenzione a non ripassare sulla zona precedentemente disinfettata. Lasciare asciugare. Sulla cute lesionata provoca senso di bruciore.
Può interferire sulla funzionalità tiroidea e le applicazioni continue creano dermatite.
Clorexidina La clorexidina è un antisettico utilizzato per moltissimi scopi, ha un ottimo effetto battericida; l’alcol ne potenzia l’effetto.
Si applica sulle mucose (in soluzione acquosa) e sulle ferite ed è spesso utilizzata per la disinfezione dell’apparato urogenitale prima di cateterismi. In soluzione alcolica, si utilizza per disinfettare la cute prima di una iniezione endovenosa; non sempre è facile reperirlo nelle farmacie. Esiste anche sotto forma di collutorio per l’igiene orale.
Presenta una bassa tossicità, ma può provocare dermatiti; non si utilizza nell’orecchio (campo otologico), colora in modo transitorio i denti.
Acqua ossigenata (perossido d’idrogeno)L’acqua ossigenata è un antisettico blando molto utilizzato. Il suo uso dovrebbe essere limitato alle ferite sporche per favorirne il lavaggio e rimuovere i detriti.
Esiste in varie concentrazioni ma la più utilizzata è quella al 3%, cioè 10 volumi, concentrazioni maggiori sono corrosive e ustionano.
Si utilizza irrorando la ferita con il getto, il suo effetto non si protrae nel tempo. Non deve essere mischiata con altri disinfettanti, per esempio lo iodio. Non deve essere usata per effettuare lavaggi in cavità o in tragitti fistolosi per il rischio di creare embolie gassose.
Le concentrazioni superioriori a 10 volumi sono ustionanti e pertanto non devono essere impiegate.
Clorossidante elettroliticoQuesto prodotto è composto da sodio ipoclorito, sostanza simile alla varechina; possiede azione battericida.
In base alla diluizione viene impiegato per vari scopi: disinfezione di sanitari, di frutta e verdura e anche di ferite. Si inattiva abbastanza rapidamente a contatto con il sangue, il pus e materiale organico e se esposto a temperature elevate; se ingerito, è tossico.
AlcoliLe nuove disposizioni di legge vietano l’utilizzo dell’alcol etilico denaturato (il comune alcol di colore rosa) per la disinfezione. L’alcol etilico puro a 70° non denaturato è ampiamente utilizzato in molti ambiti. Viste la sua altissima evaporabilità e l’azione battericida, lo si impiega in associazione con altri prodotti (clorexidina, cloramina) per disinfettare la cute sana prima delle punture. L’alcol rosa è impiegato anche per scopi igienizzanti: pulizia di superfici, vetri ecc.
Si utilizza inumidendo un batuffolo di cotone e si procede con movimenti circolari dall’interno verso l’esterno, lasciare asciugare.
Non è utilizzabile su ferite ed ustioni per il suo effetto irritante e disidratante, oltre che per il bruciore che scatena al contatto con la cute ferita. È consigliabile preferire i composti a base di clorexidina e alcol.
Alcune considerazioni su disinfettanti e antisettici
Prima di effettuare la disinfezione, è bene ricordarsi sempre di pulire con acqua e sapone la sede da trattare. La pulizia abbassa notevolmente la carica batterica. Questi prodotti possiedono aspetti positivi ma anche negativi, dunque il loro utilizzo deve essere attentamente vagliato. Visto l’effetto nocivo sulle cellule e la loro dubbia efficacia sui tessuti feriti, prima di utilizzare gli antisettici (iodio, acqua ossigenata, clorexidina e simili) chiedere consiglio al medico o all’infermiere. I prodotti a base di mercurio non sono consigliabili a causa del metallo di cui oggi è nota la tossicità. Una buona pulizia con soluzione fisiologica o acqua di rubinetto è, in genere, più che sufficiente a ridurre la carica batterica. È preferibile non utilizzare pomate a base di antibiotici sulle ferite e in ogni caso è sempre consigliabile chiedere il parere del medico.
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