Assistere un familiare
Somministrare la terapia
Terapia endovenosa
Raramente un parente o un volontario si troverà nelle condizioni di effettuare la terapia endovenosa a domicilio, anche se l’assistenza di pazienti cronici prevede talvolta di dover sorvegliare una flebo o sostituire i flaconi. Gli infermieri domiciliari inseriscono le cannule nelle vene e, dopo aver avviato la flebo, si recano da un altro paziente. La mancanza di personale addestrato in ambiente domestico crea spesso preoccupazione tra i parenti, ma è sufficiente un minimo di preparazione.
Attenzione! Si precisa che in queste pagine non si intende insegnare a effettuare punture nelle vene o fornire le conoscenze per inserire un ago a farfalla o una cannula venosa a domicilio. Le informazioni qui fornite servono ad affrontare con serenità eventuali inconvenienti e a spiegare che cosa sono gli accessi venosi.
La via endovenosa viene impiegata per vari scopi: per fornire al malato i liquidi necessari se non è in grado di bere, per somministrare farmaci o per l’infusione di elementi nutritivi.
Le vie d’accesso alle vene possono essere di due tipi: accessi venosi periferici e accessi venosi centrali.
Gli accessi venosi periferici sono vie in cui vengono posizionati i presidi che servono per iniettare farmaci o altre sostanze in vena in una sola somministrazione (a bolo), come aghi e aghi a farfalla (butterfly), o per periodi prolungati, come le cannule venose. Generalmente, il posizionamento dei presidi periferici avviene negli arti superiori e, in caso di scarso patrimonio venoso, negli arti inferiori.
Gli accessi venosi centrali sono invece vie in cui vengono posizionati particolari cateteri venosi che possono permanere in sede da poche settimane ad alcuni mesi.
Questi sistemi possono essere completamente nascosti sotto la pelle (sistemi totalmente tunnellizzati) e in grado di comunicare con l’esterno solamente dopo aver punto la cute con aghi speciali ed essere entrati in un’apposita camera. Altri sistemi sono in parte sotto la pelle e in parte all’esterno della cute (sistemi parzialmente tunnellizzati). Entrambi i sistemi si inseriscono in una vena di grosse dimensioni (succlavia, giugulare) e devono essere impiantati in ospedale dal medico anestesista.
I sistemi venosi periferici vengono posizionati in prevalenza nelle vene della braccia e alcune volte sul dorso delle mani.
Gli infermieri prelevano i campioni di sangue proprio da queste vene attraverso un sistema chiuso di raccolta, chiamato vacutainer, con le relative provette, oppure somministrano i farmaci.
Un inconveniente che frequentemente si verifica dopo un prelievo ematico o dopo un’iniezione endovenosa è la comparsa di lividi, di dimensioni variabili: tale disturbo è essenzialmente imputabile a due motivi:
- rottura della vena durante il prelievo;
- mancata compressione del sito immediatamente dopo il prelievo.
Nel primo caso non resta che rimuovere l’ago e aspettare che il livido si riassorba con il tempo.
Nel secondo caso è importante tenere ben premuta la parte con un batuffolo di cotone per almeno 5 minuti. Se il soggetto è in terapia anticoagulante, è meglio continuare prolungare questa pressione per 10 minuti.
Se al malato è stato applicato un catetere venoso periferico per somministrare i farmaci o le soluzioni durante la giornata, sarà necessario controllare sempre il buon funzionamento del presidio.
L’agocannula è un dispositivo composto da un tubicino di piccole dimensioni in materiale plastico che rimane nella vena per un periodo di 3 giorni e da un ago che viene rimosso immediatamente dopo la puntura. Quando il dispositivo è in vena, raramente può dislocarsi: si tratta quindi di un sistema sicuro per prevenire fuoriuscite di farmaci e inoltre consente al paziente ampia libertà di movimento.
Prima di muovere il braccio, chiedere all’infermiere quale tipo di ausilio è stato utilizzato.
Se il soggetto ha una parte del corpo paralizzata, è preferibile chiedere all’infermiere di non utilizzare il braccio dominante per inserire la flebo. Il divieto di utilizzare l’arto paralizzato per la terapia endovenosa è una pratica scorretta e non supportata da evidenze scientifiche; tale abitudine non solo non ha alcun fondamento razionale ma, limitando il movimento, costringe il paziente a restare fermo per ore senza motivo.
Una volta inserita, l’agocannula viene fissata con una medicazione adesiva trasparente chiamata film in poliuretano. Tale membrana possiede indubbi vantaggi quali maneggevolezza, trasparenza, adesività, leggerezza, e consente la traspirazione cutanea e la visibilità della pelle intorno alla cannula.
Tuttavia, in fase di rimozione, la pellicola trasparente può causare asportazione della fragilissima cute tipica delle persone anziane, quindi non è consigliabile utilizzarla per pazienti geriatrici.
In rari casi, se non vengono rispettate le norme igieniche e il periodo di permanenza, le cannule venose possono provocare infiammazione e infezione locale con una gamma di segni abbastanza precisi:
- rossore in prossimità della cannula;
- fuoriuscita di secrezioni giallastre o verdastre dalla pelle intorno alla cannula;
- gonfiore;
- calore;
- stria rossa lunga il braccio che in alcuni casi arriva fino all’ascella, dolente al tatto, chiaro segno di flebite;
- febbre.
Nel caso si rilevi la presenza di tali segni, se deve informare il personale preposto alle cure e se il soggetto accusa dolore durante l’infusione è bene sospenderla.
Anche i farmaci iniettati possono contribuire a causare infiammazione della vena (flebite).
Se invece si deve applicare un ago a farfalla per infondere piccole quantità di liquidi, è necessario tenere fermo il braccio. Il rischio che il farmaco possa fuoriuscire, tuttavia, rimane comunque molto elevato. Dato che alcuni farmaci irritano i tessuti, l’impiego di aghi a farfalla è assolutamente controindicato per la loro somministrazione. Per esempio, i chemioterapici non devono essere assolutamente somministrati senza avere prima reperito una vena di grosso calibro con un’agocannula ed essersi accertati del buon funzionamento del dispositivo. Gli accessi venosi centrali sono sistemi che vengono impiantati con sempre maggiore frequenza, in quanto consentono di somministrare liquidi e farmaci con una certa maneggevolezza, in modo continuo o intermittente, diminuendo il rischio di infezioni e formazione di coaguli di sangue; inoltre questa tecnica ha il pregio di preservare le vene periferiche.
I cateteri venosi centrali sono posizionati in una vena di grosso calibro (vena cava superiore) e la punta del catetere arriva in prossimità del cuore.
I cateteri parzialmente tunnellizzati possono avere la punta chiusa oppure aperta. Essi, inoltre, possiedono una cuffia che viene imbrigliata nel tessuto in modo da garantire stabilità al sistema; alcune cuffie hanno anche un sistema per la liberazione d’argento: oltre a mantenere fermo il catetere, la cuffia previene quindi l’insorgenza di infezioni.
Alcuni tipi di cateteri venosi centrali possono anche non essere tunnellizzati (parzialmente o totalmente) ma solitamente vengono inseriti quando il tempo di permanenza è molto breve, quindi raramente si trovano a domicilio. La loro sede di inserimento è, in genere, la giugulare. I cateteri totalmente tunnellizzati sono completamente nascosti sotto la pelle e possiedono una porta d’ingresso con una membrana di silicone autosigillante (reservoir) verso l’esterno, che richiede l’accesso tramite un ago chiamato gripper e la puntura della cute. La gestione del catetere viene effettuata da personale esperto, in quanto le norme igieniche devono essere rispettate con rigore e la procedura d’accesso richiede abilità ed esperienza.
Oltre che per la somministrazione di terapie e soluzioni infusionali, questi dispositivi si possono utilizzare anche per effettuare prelievi di sangue. La porta d’ingresso del reservoir è solitamente posizionata sul torace, in prossimità del pettorale, ed è palpabile dall’esterno. Quando si impianta un sistema centrale, è necessario medicare ogni 24 ore il sito d’inserzione.
Nei sistemi totalmente impiantati si devono rimuovere i punti di sutura dopo alcuni giorni. Nei sistemi parzialmente tunnellizzati, la parte di cannula venosa che fuoriesce dalla cute deve essere medicata con regolarità utilizzando medicazioni trasparenti e seguendo delle procedure ben codificate.
Medicazione del sito di inserimento delle cannule venose centrali
La medicazione deve essere effettuata da personale sanitario, seguendo precisi protocolli previsti in tutte le aziende sanitarie.
In linea di massima, ciò che è importante sono le norme igieniche come il lavaggio delle mani e le tecniche no-touch, ovvero metodiche che devono servire a evitare di toccare le zone a rischio di contaminazione.
Per la disinfezione della cute da cui emerge la cannula vengono impiegati antisettici come lo iodio povidone. L’applicazione finale delle medicazioni trasparenti garantisce la possibilità di visualizzare la sede. In assenza di altre indicazioni, le medicazioni si sostituiscono ogni sette giorni.
L’applicazione di sistemi centrali non è una pratica esente da rischi. I problemi maggiori si verificano soprattutto nel posizionamento di accessi venosi nella vena succlavia e tra i rischi principali che tale procedura comporta ricordiamo:
- rischio di pungere il polmone (pneumotorace);
- rischio di pizzicamento del catetere (pinch off);
- rischio di pungere inavvertitamente le arterie;
- rischio di sanguinamento polmonare (emotorace).
Alcune considerazioni sulla terapia endovenosa
Molte volte si incontrano difficoltà nella gestione delle infusioni in ambito domiciliare: esistono infatti molte paure e idee strane sulla terapia infusionale.
Tra le più frequenti ansie che i pazienti e i familiari manifestano è la paura che l’aria entri nelle vene. Spesso si è colti dalla fobia delle piccole bolle d’aria che si possono formare all’interno dei sistemi d’infusione (deflussori), ma queste innocue particelle d’aria non comportano alcun pericolo per il malato. Anche se nei film gialli si vede l’assassino che uccide il malato iniettando aria nelle vene, è bene sapere che per provocare questo tipo di morte sarebbero necessari in realtà grandi quantitativi d’aria.
Altra fonte di forte preoccupazione è il momento in cui la flebo si esaurisce e l’aria comincia a entrare nel deflussore, ma anche in questo caso la soluzione arriva fino a un certo punto e poi si ferma: è sufficiente chiudere il morsetto del deflussore. Se la persona utilizza un accesso venoso centrale, è bene non far finire il liquido d’infusione prima dell’arrivo dell’infermiere, poiché il rischio che la cannula possa occludersi è reale!
I sistemi venosi periferici possono essere utilizzati in modo continuo o a intermittenza; in quest’ultimo caso si è soliti effettuare il lavaggio con soluzione fisiologica al termine dell’infusione. Alcuni protocolli utilizzano la soluzione fisiologica pura, altri consigliano l’uso di soluzione fisiologica e di eparina, sostanza anticoagulante in grado di prevenire l’aggregazione delle piastrine e di occludere il sistema.
Anche i sistemi venosi centrali devono essere trattati per prevenire l’occlusione, in alcuni casi è sufficiente il lavaggio con soluzione fisiologica, in altri è d’obbligo l’impiego di soluzione fisiologica e di eparina.
Come parenti o operatori, raramente si dovrà lavare un catetere venoso centrale, mentre è possibile che gli infermieri vi preparino una siringa per il lavaggio dei sistemi periferici.
Tale pratica non richiede abilità specifiche: è sufficiente lavare le mani, inserire l’ago nel raccordo multiperforabile ed esercitare una pressione adeguata per iniettare il contenuto. Si rammenta che in questo caso bisogna ritirare l’ago dal raccordo mantenendo una pressione positiva, cioè continuando a iniettare: così facendo, si previene il reflusso di sangue nel sistema. Alcune cannule venose centrali sono mantenute stabili mediante punti di sutura; in alcuni casi, è possibile che provochino infezione o producano un fenomeno “va e vieni” della cannula, ovvero il dispositivo comincia a uscire e poi a rientrare dal foro d’ingresso. Se si nota l’insorgenza di problemi correlati ai punti di sutura, è necessario farlo presente all’infermiere o al medico.
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