Primo Soccorso
Disturbi generali
Dolore addominale
Il dolore addominale rappresenta un’esperienza molto comune, a cui tutti vanno incontro più volte nella vita (è molto comune, per esempio, il dolore prima o dopo le evacuazioni, che costituisce un fatto pressoché normale). Molto spesso il dolore addominale non è associato a problemi di salute rilevanti, si risolve abbastanza rapidamente e non comporta alcun pericolo; in altri casi, invece, esso dipende da un problema importante, che deve essere riconosciuto e trattato in maniera specifica. La distinzione tra queste due situazioni viene fatta in genere dal medico, eventualmente con l’ausilio di vari tipi di test ed esami. Già il paziente, però, può effettuare una prima valutazione sulla gravità del dolore addominale, utilizzando come parametri essenzialmente l’intensità e la durata del disturbo: un dolore lieve, che si risolve rapidamente, non costituisce in genere un segno di allarme, mentre un dolore intenso, che magari insorge improvvisamente e che non tende a risolversi o ad attenuarsi può essere il segno di un problema più serio. La valutazione della gravità del dolore viene complicata dal fatto che ogni persona presenta una propria soglia di tolleranza a questo sintomo: in genere, chi è affetto da malattie che provocano episodi ricorrenti di dolore tende ad abituarsi a esso e a sopportarlo meglio, ma questa non è una regola generalizzabile.
Nella maggior parte dei casi il dolore addominale è provocato da organi localizzati nell’addome che appartengono al sistema gastrointestinale (esofago, stomaco, intestino, fegato e vie biliari, pancreas), urinario (reni, ureteri, vescica, uretra), riproduttivo (utero e ovaie nella donna, prostata nell’uomo). Spesso il dolore addominale può essere dovuto a un’irradiazione dalle ossa o dai muscoli del torace o della colonna vertebrale. Più raramente esso origina da organi posti fuori dall’addome (come il cuore o i polmoni). È importante inoltre l’associazione del dolore con altri sintomi, come la nausea, il vomito, la diarrea, la difficoltà a urinare, la comparsa di sangue nelle feci o nelle urine.
In linea di massima, un dolore lieve e di breve durata, eventualmente associato a sintomi gastrointestinali comuni (come la nausea, il vomito o la diarrea), non costituisce un evento preoccupante, e molto facilmente può dipendere da malattie lievi e intercorrenti come un’influenza di tipo intestinale o una gastroenterite; questo dolore tende a essere autolimitante e a risolversi con il riposo a letto oppure con rimedi molto semplici come l’apporre sull’addome una borsa dell’acqua calda.
In altri casi il dolore può essere un po’ più intenso, ma sopportabile con l’ausilio di farmaci idonei (per esempio antidolorifici, come il paracetamolo o il tramadolo, oppure antispastici); anche questo tipo di dolore, se tende a rispondere ai farmaci e ad attenuarsi o a risolversi nel giro di qualche ora, non rappresenta un sintomo preoccupante. Viceversa, un dolore acuto, molto intenso, non controllabile con gli antidolorifici o gli antispastici più comuni oppure associato a segni d’allarme (come la comparsa di sangue nelle feci, nelle urine o nel vomito) rappresenta un segno serio, facilmente correlato a una patologia di rilievo e che richiede una rapida valutazione in ospedale e talora un intervento chirurgico. Il dolore addominale cronico, cioè che dura da molto tempo, non rappresenta un’urgenza e viene in genere valutato in ambito ambulatoriale specialistico; sarà lo specialista stesso che fornirà caso per caso le indicazioni terapeutiche al fine di gestire al meglio gli episodi di dolore più intenso. Vediamo le caratteristiche di alcuni tipi di dolore addominale acuto relativamente comuni, per i quali è opportuno rivolgersi al medico:
- colica biliare: il dolore in genere è localizzato nella parte alta dell’addome, a destra oppure al centro; questo dolore insorge improvvisamente, talora dopo un pasto particolarmente abbondante o grasso, e tende a risolversi nell’arco di alcune ore; sono presenti in genere sintomi di accompagnamento come la nausea o il vomito alimentare; per questo tipo di dolore è spesso necessaria una terapia antidolorifica, che potrà essere effettuata in ospedale, dove spesso con semplici esami del sangue e con un’ecografia viene confermata la diagnosi; gli episodi di colica biliare possono essere ricorrenti e talora complicati da eventi seri come colecistiti o pancreatiti e costituiscono quindi un’indicazione ad asportare chirurgicamente la colecisti;
- colica renale: è caratterizzata da un dolore generalmente molto intenso, localizzato al fianco o alla schiena, spesso irradiato verso l’inguine e che tipicamente non si attenua in nessuna posizione; la durata del dolore è variabile, da una a 24 ore; può essere associato a nausea e vomito e talora ad alterazioni della diuresi (riduzione delle minzioni o comparsa di minzioni molto abbondanti, talvolta con tracce di sangue);
- appendicite: in questo caso il dolore, all’inizio, è localizzato centralmente nell’addome, per poi spostarsi nella parte bassa destra; sono possibili anche localizzazioni diverse, per esempio posteriormente a livello dorso-lombare; il dolore è caratterizzato da fitte ricorrenti e qualche volta si associa a nausea e vomito; richiede in genere un trattamento in ospedale, di tipo medico o chirurgico;
- ulcera gastrica e duodenale: provocano un dolore di entità variabile, che talvolta si aggrava di notte e viene alleviato dall’assunzione di cibo, localizzato in genere nella parte centrale alta dell’addome; ciò che spesso spinge il paziente a rivolgersi al medico o al Pronto soccorso è la comparsa di vomito o feci con sangue (in questo caso le feci sono generalmente nere, untuose e maleodoranti e assomigliano un po’ alla pece);
- ostruzione intestinale: il dolore ha intensità alternante e tende a peggiorare nel tempo; tipicamente non si ha l’emissione né di feci né di gas dall’ano (anche se in alcuni casi può essere presente una diarrea paradossa); si possono associare gonfiore addominale improvviso, nausea e vomito (talvolta con caratteristiche fecaloidi).
Alcuni tipi di dolore piuttosto comuni che non richiedono in genere un accesso in ospedale sono quelli correlati alle gastroenteriti (cioè delle infezioni batteriche o virali dell’intestino, che talora provocano un dolore molto intenso e che tendono a risolversi spontaneamente nel giro di qualche giorno) o alla sindrome del colon irritabile (che provoca un dolore cronico, associato spesso ad alterazioni dell’alvo come la stipsi o la diarrea, ma che non corrisponde a lesioni intestinali vere e proprie).
Mal di denti
Con il termine generico di mal di denti si intende un dolore con caratteristiche variabili, localizzato a un solo dente o settore della bocca oppure diffuso, a volte molto intenso, prolungato e resistente ai comuni analgesici, conseguente a un’infiammazione dei tessuti molli (polpa) e/o dei tessuti di sostegno (parodonto) dei denti. Nella maggior parte dei casi è provocato da due fattori:
Altre possibili cause sono rappresentate da:
- traumi;
- difficoltosa eruzione dei denti (cosiddetta disodontiasi), soprattutto dei terzi molari;
- usura eccessiva dei tessuti duri dentari per abrasione meccanica o erosione chimica;
- contatti eccessivi tra le arcate dentarie (traumi occlusali);
- surriscaldamento dei tessuti duri dentari in corso di terapie odontoiatriche;
- applicazione di sostanze irritanti e/o tossiche in prossimità della polpa dentaria;
- esposizione di tessuto dentinale vitale al di sotto di protesi decementate;
- applicazione di forze eccessive in corso di terapie.
Cosa fare
Dolore di origine pulpareÈ conseguente all’irritazione delle fibre nervose sensitive della polpa dentaria, cioè della zona più interna del dente.
- Nelle fasi iniziali dell’infiammazione (pulpite reversibile), il contatto con sostanze acide, dolci o fredde può provocare un dolore acuto, difficilmente localizzabile a un singolo dente e diffuso a tutta l’emiarcata corrispondente, più raramente riferito all’emiarcata antagonista, che cessa con l’allontanamento dello stimolo. Generalmente, un’accurata detersione della cavità del dente colpita da carie e la sua otturazione consentono il mantenimento della vitalità del dente e la completa, anche se spesso graduale, remissione dei sintomi.
- Con il progredire del processo infiammatorio (pulpite irreversibile), il dolore diventa più intenso e spontaneo, pulsante, continuo o intermittente, irradiato a varie regioni della testa (auricolare, temporale o sottorbitaria). Aumenta stando in posizione coricata e in seguito alla stimolazione del dente (soprattutto con il caldo, mentre il freddo può dare sollievo), cessata la quale il dolore persiste sotto forma di una dolenzia sorda e profonda. I comuni farmaci analgesici-antinfiammatori (FANS) possono soltanto alleviare in parte il dolore, in attesa dell’intervento del dentista, che provvederà a “devitalizzare” il dente in anestesia locale (terapia endodontica).
- Sintomi dolorosi simili a quelli determinati dalla pulpite reversibile possono derivare non da una lesione cariosa, ma semplicemente dalla stimolazione dei tubuli dentinali (ipersensibilità dentinale), che risultano esposti in caso di recessioni gengivali (la gengiva si ritrae) o di usura dello smalto. Quest’ultima evenienza può essere determinata da uno spazzolamento errato e troppo aggressivo o da digrignamento notturno dei denti, o ancora da erosione chimica da parte di sostanze acide. L’ipersensibilità può essere alleviata utilizzando quotidianamente dentifrici, collutori e gel desensibilizzanti a base di fluoro. A seconda dei casi, il dentista potrà intervenire consigliando le corrette manovre di igiene orale, suggerendo di modificare eventuali abitudini alimentari nocive, correggendo possibili malocclusioni, prescrivendo l’utilizzo notturno di appositi apparecchi mobili di protezione (cosiddetti bite) o applicando sui denti dei prodotti specifici con azione sigillante dei tubuli dentinali. A volte, nei casi più gravi, il perdurare nel tempo degli stimoli irritativi può portare a un quadro di pulpite irreversibile e quindi alla necessità di una terapia endodontica.
- Un dolore acuto, di breve durata ma molto intenso, provocato sia dalla masticazione sia dagli stimoli termici, è riferibile alla cosiddetta sindrome del dente incrinato o fratturato. Generalmente il dente (di solito un molare o un premolare) presenta un grosso restauro, al di sotto del quale si è formata l’incrinatura o la frattura. Il dentista valuterà caso per caso se il dente può essere conservato o se deve essere estratto.
Dolore di origine parodontale È causato dall’infiammazione dei tessuti di sostegno del dente; se ne riconoscono diversi tipi.
- Parodontite apicale Una pulpite non curata porta alla distruzione della polpa dentaria; per un periodo di tempo variabile da alcune settimane ad alcuni mesi (o anni) il dente non fa più male, in quanto non è più in grado di trasmettere gli stimoli dolorosi, finché il contenuto infetto del canale radicolare provoca un’infiammazione della zona circostante l’apice della radice, determinando la comparsa di un dolore sordo e continuo, accentuato dalla pressione che si esercita sul dente con la masticazione. La situazione può evolvere in un’infiammazione cronica oppure può insorgere un ascesso acuto, con accentuazione del dolore e comparsa di arrossamento e gonfiore delle gengive. Il dente è dolente alla pressione, mobile e leggermente sollevato; può esserci un ingrossamento delle ghiandole linfatiche (per esempio nella zona sottomandibolare), a volte con febbre. L’assunzione di antibiotici e FANS serve a circoscrivere l’infiammazione e ad attenuare temporaneamente i sintomi, ma la guarigione definitiva è ottenibile soltanto curando il dente. Nei casi più gravi può rendersi necessaria l’incisione della mucosa orale per permettere la fuoriuscita del pus.
- Ascesso parodontale acuto Presenta spesso sintomi sovrapponibili a quelli dell’ascesso periapicale. Il drenaggio del pus attraverso una fistola mucosa o dal solco parodontale normalmente fa scomparire il dolore, che però può riacutizzarsi qualora le tossine batteriche compromettano la vitalità della polpa. La terapia prevede l’incisione dell’ascesso e altre tecniche che comprendono la levigatura meccanica delle radici e l’applicazione di gel antibiotici. Nei casi di coinvolgimento della polpa dentaria, il dentista eseguirà anche una terapia endodontica. Quando però il dente risulta compromesso, è inevitabile l’estrazione.
PericoronariteInfiammazione dei tessuti molli gengivali che circondano un dente parzialmente spuntato. Si verifica soprattutto a carico dei terzi molari (cosiddetti denti del giudizio), con una netta prevalenza per quelli inferiori. La gengiva è gonfia, arrossata e dolente alla pressione; può comparire tumefazione all’angolo della mandibola, accompagnata da un ingrossamento delle ghiandole linfatiche nella zona sottomandibolare dello stesso lato, con difficoltà ad aprire la bocca. Talvolta è presente la febbre. La terapia consiste essenzialmente nell’estrazione, dopo la risoluzione della fase acuta mediante somministrazione di farmaci antinfiammatori e antibiotici.
Sindrome del setto interdentale Situazione caratteristica dei bambini con molari da latte cariati. Considerata la loro particolare forma anatomica, il cibo (soprattutto le fibre della carne) si insacca nella cavità che si crea tra due denti adiacenti (carie interprossimale), provocando un dolore acuto che insorge in corrispondenza dei pasti. La semplice pulitura della cavità, con successiva otturazione, permette la completa scomparsa del dolore.
Cause, anche se considerate più rare, di dolore oro-facciale sono: infiammazioni delle mucose orali (in particolare quelle da protesi rimovibili e quelle di origine fungina o virale: mughetto, stomatite aftosa ed erpetica), dei seni mascellari (sinusiti), delle ghiandole salivari (scialoadeniti), delle ossa mascellari (in particolare dopo un’estrazione), di cisti mascellari; la calcolosi dei dotti salivari (scialolitiasi), le neoplasie maligne in stadio avanzato, la nevralgia essenziale del trigemino ecc.
Traumi dentali
I traumi dentali hanno un’incidenza dello 1,5-1,7% nella popolazione totale, ma fino al 30% nella fascia di età compresa tra 3 e 16 anni. In seguito a cadute, traumi durante il gioco o le attività sportive e incidenti stradali, un dente può fratturarsi, dislocarsi o addirittura essere integralmente avulso (staccato) dalla sua sede naturale, l’alveolo.
- Nel primo caso (frattura) i frammenti, una volta recuperati, possono essere agevolmente incollati al dente dal dentista mediante tecniche adesive, con ottimi risultati estetici.
- In caso di avulsione completa, il dente deve essere recuperato, facendo attenzione a non toccarne la radice, e lavato delicatamente con acqua (da evitare saponi e disinfettanti). Se possibile, il dente deve essere rimesso immediatamente nell’alveolo e mantenuto in posizione con le dita; altrimenti deve essere conservato in un liquido adatto (saliva del paziente, soluzione fisiologica, latte), mentre ci si reca con rapidità dal medico odontoiatra. Questi, avvisato telefonicamente della situazione, potrà ricollocare il dente nella sua sede, solidarizzandolo con gli elementi contigui, e prescrivere una terapia analgesica e antibiotica.
- Bisogna sottolineare che il tempo trascorso (al massimo 30-60 minuti) e la condizione di permanenza (ambiente umido) al di fuori dell’alveolo sono i fattori critici per il successo del reimpianto, che richiede in seguito controlli periodici per almeno 2 o 3 anni e che presenta una percentuale di successo a lungo termine intorno al 50%. Anche pochi anni di permanenza in bocca del dente naturale giustificano in ogni caso questo tipo di trattamento.
- A differenza di quelli permanenti, i denti da latte (cosiddetti decidui) avulsi non devono essere reimpiantati. In circa il 40% dei casi un trauma a carico di un dente deciduo coinvolge il sottostante germe dentale del dente permanente in via di sviluppo, il quale potrà presentare difetti di mineralizzazione, alterazioni di forma e/o sede, fino all’arresto dello sviluppo.
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