Dermatologia ed estetica
Decubito
Che cosa è il decubito
Le lesioni da decubito costituiscono da sempre un problema importante nell’assistenza alle persone malate, e il compito di curarle viene spesso affidato quasi esclusivamente ai familiari. Nelle loro forme più gravi possono interessare addirittura le ossa, ma si presentano in prima istanza come un problema di tipo dermatologico. È, infatti, attraverso il cambiamento di alcune caratteristiche della pelle che ci si può rendere conto se si stanno formando delle piaghe, e ciò consente di risolvere quanto prima la situazione.
Molte persone si affidano ancora oggi alla medicina popolare nella gestione di questo problema, utilizzando diversi preparati casalinghi, pomate “miracolose” e unguenti. In realtà tali interventi, anche se vengono effettuati con molta buona volontà, si rivelano quasi sempre inappropriati e, spesso, controproducenti.
In cosa consiste un’ulcera da decubito
Le ulcere da decubito consistono in lesioni da pressione localizzate in prossimità delle prominenze ossee (gomiti, talloni, anche e così via). Queste lesioni interessano la parte superficiale della cute, ma possono arrivare a colpire anche le ossa; la loro formazione è dovuta allo schiacciamento dei tessuti tra due parti rigide (da un lato il letto o la carrozzina, dall’altro le ossa) per un lungo periodo (pari o superiore alle due ore), che determina un blocco dell’afflusso di sangue.
I fattori di rischio sono in grado di produrre nell’individuo tali lesioni sono fondamentalmente di due tipi, che qui verranno chiamati semplicemente fattori interni e fattori esterni.
I fattori interni sono quelli soggettivi, ossia quelli relativi alla singola persona, e sono legati alle malattie croniche presenti nell’individuo, come per esempio febbre, eventuale stato di malnutrizione, coma, età, disturbi neurologici, terapie con psicofarmaci e così via (cioè tutti quei fattori che creano una diminuzione della mobilità e della coscienza).
I fattori esterni, invece, sono costituiti da forze che agiscono in modo dannoso sulla cute, ovvero pressione (la più pericolosa), attrito o frizione, taglio o scollamento e, infine, umidità.
Da ciò si capisce come un unguento o una pomata non possano essere in grado di azzerare tutti questi effetti nocivi; esistono invece delle tecniche specifiche in grado di ridurre considerevolmente i fattori di rischio, in particolare quelli esterni.
Si torni ora a ciò che mette a repentaglio la salute della pelle: molte volte gli ammalati o i loro parenti riferiscono che le lesioni da pressione sono comparse in maniera talmente improvvisa da non saperne interpretare il significato, oppure di avere notato la repentina comparsa di una strana macchia scura sulla pelle. La prima importante osservazione è quindi quella che fa riferimento al tempo necessario affinché si formi una lesione: perché si crei una piaga non sono necessari giorni, ma minuti, all’incirca 120. È in questo brevissimo lasso di tempo che può verificarsi questo grave danno alla pelle.
Cause esterne
Per prevenire questo problema, è possibile intervenire efficacemente sulle variabili esterne (di cui quella più importante è sicuramente la pressione).
L’attrito (frizione) è il risultato dello strofinamento della cute su una superficie ruvida, come per esempio il lenzuolo.
L’effetto non è così dannoso come quello della pressione, ma su una pelle particolarmente sottile e fragile determina lesioni superficiali, erosive, con bordi frastagliati e che risultano molto dolorose.
Le forze di taglio o di scollamento sono provocate dallo scivolamento dei segmenti corporei rispetto alla cute, che resta a contatto del piano d’appoggio (letto o carrozzella) strozzando in questo modo i vasi sanguigni profondi, con conseguente deficit nutritivo dei tessuti locali. Questi sono la conseguenza inevitabile della pressione.
L’umidità, l’ultimo fattore di rischio, non è in grado di creare da sola lesioni gravi o penetranti, però può complicare il quadro generale cutaneo. Solitamente, le zone più colpite sono quelle dei genitali nei soggetti incontinenti: ciò provoca una macerazione locale, che espone la cute a dannose infezioni superficiali.
Cause interne
Le variabili interne sono purtroppo poco modificabili: sull’età, le malattie neurologiche, il coma, la febbre, la malnutrizione, le terapie con psicofarmaci gli interventi degli operatori non possono molto.
La febbre non espone di per sé al rischio di ulcere da decubito. Un ragazzo con l’influenza non corre alcun pericolo: è un’eventuale anomalia della febbre che, provocando un’alterazione dello stato di coscienza, può determinare immobilità e, di conseguenza, la comparsa di piaghe.
L’età influisce sulla struttura di tutti gli organi, compresa la cute, che diventa più sottile, meno resistente alla trazione, tendendo quindi a guarire più difficilmente. Le malattie croniche che riducono la mobilità e la coscienza pongono a rischio l’ammalato. I soggetti in coma sono quindi i più esposti, così come lo sono quanti soffrono di malattie neurologiche. Anche la malnutrizione è un fattore importante, in quanto le carenze di calorie e di proteine sono collegate alla comparsa di lesioni. È necessario ricordare sempre che l’ulcera è l’effetto, non la causa, quindi è bene attuare una corretta prevenzione di questo problema.
L’organismo umano è un miracolo di ingegneria: esiste infatti un meccanismo fisiologico preziosissimo che ci consente di muoverci nel sonno senza la nostra volontà ed è il suo danneggiamento, temporaneo o definitivo, all’origine dello sviluppo di ulcere da decubito.
È necessario ricordare, infine, che i fattori interni sono la causa scatenante, ma quelli esterni, se non tenuti sotto controllo, fanno precipitare la situazione.
Valutazione e intervento
Gli interventi assistenziali vanno avviati prima della comparsa dell’ulcera, ma bisogna capire chi è a rischio e chi no. In questo senso possono essere utili semplici scale di valutazione, capaci di indicare con esattezza chi svilupperà una piaga. Queste sono costituite da alcune voci (mobilità, stato di coscienza, deambulazione, incontinenza), a ognuna delle quali si assegna un punteggio (subtotale); la somma delle voci fornisce il totale. Esistono molti indici di valutazione, ma quelli più accreditati sono due: l’indice di Norton, semplice e rapido nella compilazione, e quello di Bradenche, che analizza un numero maggiore di parametri ma è più dettagliato e preciso.
Segni di decubito
La comparsa delle lesioni da pressione è silente e rapida, soprattutto se è presente un’alterazione dello stato di coscienza; possono bastare anche due ore per determinare un danno considerevole.
La classificazione delle ulcere viene fatta in base alla loro “profondità”, utilizzando parametri di valutazione condivisi a livello internazionale (NPUAP, National Pressure Ulcer Advisory Panel).
Quando un arrossamento è a rischio
Prima di tutto è necessario saper riconoscere gli eritemi (arrossamenti cutanei), che non scompaiono alla pressione esercitata sulla pelle con le dita.
La prima manovra che si può attuare per verificare la presenza di un eventuale danno o se invece si tratta di un innocuo arrossamento è molto semplice e immediata: è sufficiente premere la cute con le dita per pochi secondi e poi rilasciare.
L’arrossamento cutaneo presente nelle situazioni di preulcerazione ha infatti sue peculiarità: può scomparire quando si preme con le dita per pochi secondi e ricomparire subito dopo averle tolte, oppure non scomparire affatto quando si compie quest’operazione di pressione più il rilasciamento. Se si verifica una di queste due condizioni, si è di fronte a una lesione di primo stadio. È necessario fare un’attenta valutazione di tali lesioni, perché inizialmente sembrano macchie innocue, ma poi, con il passare del tempo, cambiano colore da rosso a viola scuro, e questo è il segnale che si sta verificando un danno più profondo.
Le lesioni di secondo stadio sembrano delle sbucciature o delle vesciche piene di liquido.
Le lesioni di terzo stadio hanno un aspetto “a cratere”: sono particolarmente profonde e sembrano bagnate (in termine medico essudanti), ma non determinano un danneggiamento dei muscoli e sono la conseguenza di una pressione profonda.
Il quarto stadio è quello più grave ed è caratterizzato da lesioni molto profonde, che arrivano fino alle ossa e alle articolazioni. Queste sono molto essudanti e maleodoranti e, se non vengono trattate nel modo adeguato o se il soggetto in questione non è in buona salute, possono essere rischiose per la vita.
Il cambiamento di posizione consiste nel modificare l’assetto del corpo su una superficie: ciò può avvenire in modo autonomo o mediante l’aiuto di terze persone (parenti o operatori sanitari). Tale cambiamento deve rispettare la normale fisiologia corporea, ed è bene quindi evitare posizioni non corrette. Le principali posture in cui una persona può trovarsi sono supina, laterale destra e sinistra, prona, seduta o semiseduta.
Al fine di mantenere correttamente il corpo in asse e scaricare la pressione dalle singole parti vengono utilizzati ausili specifici, come per esempio materassi, cuscini, cunei di gommapiuma (poliuretano); in commercio sono disponibili superfici semplici, complesse e molto costose; partendo dai sovramaterassi, si giunge ai materassi a pressione alternata, a quelli a cessione d’aria, fino ai letti fluidizzati, solitamente presenti solo negli ospedali.
Gli spostamenti dei malati nel letto dovrebbero essere effettuati in modo da impedire al corpo di sfregare contro la superficie del letto, attraverso l’utilizzo di teli ad alto scorrimento, tavolette letto/carrozzina e così via.
La posizione seduta è quella più a rischio per la comparsa di decubiti: è quindi importante che il sedile della carrozzella sia dotato di un cuscino per lo scarico della pressione, possibilmente a bolle d’aria, che sia alto almeno 10 cm e adeguatamente gonfiato.
L’allineamento posturale è particolarmente importante: la schiena dovrebbe essere in asse e perpendicolare al pavimento, e si devono appoggiare entrambe le natiche, e non una sola.
Chi ha difficoltà a cambiare posizione in modo autonomo dovrebbe essere aiutato a eseguire piccoli spostamenti ogni 15 minuti; in ogni caso non si dovrebbero superare le due ore nella stessa posizione.
Trattamento
Negli ultimi venti anni la teoria della guarigione “in ambiente umido” ha completamente cambiato il modo di curare le ferite.
L’idea che le ulcere guariscano meglio e in maniera più rapida in un ambiente umido venne al dottor Winter durante l’università, mentre preparava la sua tesi di laurea. Egli si accorse che le ferite provocate sui maiali e curate mediante una pellicola trasparente per alimenti guarivano più velocemente rispetto a quelle trattate con creme e medicazioni.
Si è visto, in seguito, che la “crosta” che ricopre le ulcere in realtà ne rallenta la guarigione e, tra l’altro, protegge meno dalle infezioni.
Alla luce di questi studi sono state progettate e distribuite molte medicazioni avanzate, in grado di offrire differenti performance.
I vari materiali impiegati per le medicazioni si possono classificare relativamente alla capacità d’assorbimento, all’occlusività e così via, oppure possono essere raggruppati in categorie più specifiche (film trasparenti, alginati, schiume, idrocolloidi, medicazioni al carbone, all’argento, medicazioni attive, al silicone ecc.), ma va comunque sottolineato il fatto che sono marginali nella cura delle lesioni. In effetti, tali materiali possono creare un ambiente adatto alla guarigione, ma non sono importanti quanto l’assistenza, che resta comunque l’intervento fondamentale.
Le nuove tecnologie hanno messo a disposizione degli operatori medicazioni straordinarie, che possono essere lasciate in sede anche per alcuni giorni, ma in ogni caso le ulcere guariscono solo se si adottano contemporaneamente tutte le misure del caso.
Le piaghe esordiscono quasi sempre con una zona di cute devitalizzata (detta necrotica) di colore giallo/nerastro, che si trasforma, col passare del tempo, in un tessuto duro simile al cuoio; questo va quasi sempre rimosso con una tecnica chiamata debridement (sbrigliamento).
La guarigione della lesione può avvenire grazie alla rapida rimozione del tessuto necrotico e, quindi, alla creazione di un ambiente adatto alla rigenerazione cellulare. Nel trattamento delle ulcere si utilizzano medicazioni appropriate a ogni stadio.
Nelle lesioni di primo stadio, di solito, sono sufficienti la rimozione della causa scatenante, il corretto posizionamento del paziente, scaricando ove possibile la pressione dalla zona colpita, la cura dell’igiene e l’applicazione di creme idratanti o medicazioni sottili (film poliuretanici o idrocolloidi). I film, dato che sono trasparenti, permettono di ispezionare la cute sottostante: si possono quindi applicare per alcuni giorni senza rimuoverli per verificare le condizioni della pelle; è molto importante, però, asportarli con attenzione, soprattutto nelle persone anziane, in modo tale da evitare un danneggiamento cutaneo.
Le lesioni di secondo stadio vanno trattate come quelle del primo, ma in questo caso si deve puntare anche alla riparazione della cute. La ferita va detersa mediante una soluzione fisiologica ed è necessario applicare una medicazione adatta (idrocolloidi, schiume sottili) dopo aver asciugato la pelle circostante.
Nellelesioni di terzo stadiosi deve intervenire contemporaneamente su molti fattori contemporaneamente: scarico della pressione, ottimizzazione dello stato di nutrizione del paziente, controllo del dolore, rimozione della zona necrotica (escara) in modo da creare le condizioni per la formazione di un tessuto nuovo e vitale.
Il quarto stadio costituisce una fonte di pericolo per la vita del paziente, e l’esposizione, oltre all’eventuale contaminazione delle ossa da parte di materiali esterni (feci e urina), può determinare gravi infezioni (per esempio una osteomielite).
Inoltre, l’abbondante fuoriuscita di secrezioni può essere all’origine di un ulteriore aggravamento del quadro generale del paziente a causa di fenomeni di disidratazione, di perdita di proteine e di sali minerali.
L’intervento terapeutico deve essere intensivo e avere come obiettivo il mantenimento della sicurezza generale dell’ammalato; in queste condizioni possono rivelarsi necessarie terapie a base di antibiotici, nutrizione artificiale, infusione di proteine (albumina), trasfusioni; le medicazioni locali devono essere in grado di controllare l’infezione e di favorire, inoltre, la formazione di tessuto sano.
Quando le ulcere sono molto profonde, si applicano medicazioni allo scopo di riempire lo spazio vuoto e in grado di assorbire l’essudato e, successivamente, delle medicazioni esterne. Sono necessari cambi frequenti per via delle grandi quantità di liquido che fuoriescono dalle piaghe. La consulenza di uno specialista in questi casi è vivamente consigliabile.
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