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Le ulcere delle gambe
Trattamento delle ulcere delle gambe: la terapia compressiva
Molti pazienti giungono all’osservazione del medico o dell’infermiere solo dopo molti mesi o addirittura anni di autotrattamento. Parecchi medici consigliano di effettuare le medicazioni in ambiente domestico dopo avere istruito il paziente sulle modalità di effettuazione, consiglio che può in alcuni casi non essere del tutto corretto perché il malato ha la necessità di essere seguito nel tempo.
Esistono moltissime credenze popolari sul modo di trattare le ulcere e sul significato della loro comparsa: capita di incontrare pazienti che preferiscono non intraprendere alcun trattamento mirato alla guarigione di un’ulcera poiché ritengono che i fluidi emessi dalla gamba rappresentino una sicurezza per l’eliminazione di umori cattivi e che, in caso di mancato “sfogo”, si verrebbe a determinare una situazione potenzialmente fatale.
Credenze popolari a parte, è invece opportuno conoscere alcune nozioni fondamentali prima di eseguire bendaggi che in alcuni casi possono esporre i pazienti a gravi danni, talora anche mortali.
Prima di intraprendere qualsiasi bendaggio di una gamba, è necessario indagare le condizioni del sistema circolatorio. Un bendaggio troppo stretto su una gamba con scarso afflusso di sangue (ischemia) può condurre a morte (necrosi) dell’arto nel giro di poche ore, in particolare se il paziente è anziano e non avverte pienamente il dolore o non può comunicarlo. Anche i pazienti diabetici possono non avvertire il dolore a causa della neuropatia sensitiva.
Solitamente, l’analisi del torrente arterioso si effettua mediante eco Doppler o attraverso un piccolo Doppler palmare: provare a reperire i polsi della gamba con la mano è un metodo poco attendibile, che non dimostra se il paziente può sopportare il bendaggio.
È determinante sottolineare che il bendaggio rappresenta la parte più importante del trattamento delle ulcere degli arti inferiori ed è l’unico vero intervento curativo da fornire alle persone che sviluppano questo tipo di lesioni cutanee, sempre che ve ne sia l’indicazione. Nel trattamento delle lesioni degli arti inferiori si possono creare danni enormi, potenzialmente mortali: proprio per questo motivo prima di fare qualsiasi medicazione, bendaggio o altri interventi è necessario leggere attentamente queste pagine.
Il trattamento di un soggetto con ulcere di cui sia stata accertata l’origine venosa richiede prudenza e costanza: agire senza essere opportunamente seguiti da un infermiere o da un medico non è consigliato. La cura locale delle ulcere venose si attua essenzialmente mediante l’applicazione di medicazioni in grado di mantenere costantemente umidala ferita e il confezionamento di un bendaggio compressivo.
A differenza di quanto si possa credere, la pratica di far seccare le ulcere è molto diffusa anche tra gli addetti ai lavori, ma è scorretta in quanto sotto la “crosta” la ferita continua a essere presente. Ciò non significa che si debba lasciare la ferita “aperta” ed esposta all’aria; si devono invece creare le giuste condizioni di umidità, tali da consentire alla natura di fare il suo corso (per maggiori informazioni sulla teoria dell’ambiente umido vedi il capitolo Proteggere la pelle del malato). Le forze esercitate dalle bende devono essere comprese e valutate attentamente, in quanto la pressione finale applicata risulta dall’insieme di tali energie.
Per capire l’interazione dei diversi materiali, è utile ricordare quanto enunciato dalla formula di Laplace applicando questo principio al bendaggio: ne risulta che la pressione è il risultato della tensione compiuta dalla benda ed è influenzata dalla circonferenzadella gamba.
P = T/R
dove P sta per pressione, T per tensione, R per raggio.
P si incrementa con l’aumentare di T ma diminuisce all’aumentare di R.
Ciò significa che la pressione aumenterà quando il raggio è corto (caviglia) e diminuirà quando è ampio (in prossimità del ginocchio). Poiché la pressione viene distribuita in modo differente sui vari segmenti della gamba, è indispensabile fare molta attenzione durante l’applicazione delle bende. La caviglia risente molto di più della pressione perché ha un raggio molto corto, mentre la zona vicino al ginocchio, avendo un raggio più ampio, richiede una maggiore tensione della benda.
Tutte le bende possiedono caratteristiche particolari, ma due specifiche peculiarità meritano di essere approfondite e illustrate: si tratta dell’elasticità e dell’estensibilità.
L’elasticità è prodotta dal numero di fibre elastiche presenti nella benda e ha la funzione di una sorta di “memoria” che consente alla benda di ritornare nella posizione di riposo o di partenza.
L’estensibilità è la capacità della benda di allungarsi (capacità di allungamento), misurabile in percentuale; la si trova specificata sulla confezione della benda. Nella pratica comune si adottano le definizioni “corta estensibilità” o short stretch e “lunga estensibilità” o long stretch.
L’estensibilità di una benda ha comunque un limite: il punto oltre il quale non è più possibile estenderla viene chiamato punto d’arresto.
Come già accennato, la capacità di estendersi può essere misurata in percentuale: le bende short stretch si bloccano dopo il 70% dell’allungamento mentre le long stretch si bloccano oltre il 140% di estensione. Nella scelta del tutore è fondamentale decidere quale tipo di forza si vuole esercitare perché, per ottenere buoni risultati, è necessario individuare le bende adatte per ogni singolo caso.
La scelta delle bende dipende anche dal tipo di pressione che si intende ottenere sull’arto malato. La pressione esercitata, infatti, varia in base alle peculiarità della benda utilizzata ed è di due tipi: pressione di lavoro e pressione di riposo.
La pressione di lavoro è il risultato della compressione del muscolo contro una benda non in grado di modificarsi, quasi sempre una benda a corta estensibilità. È sottointeso che la persona deve poter camminare, perché vi sia una forza è necessaria infatti l’attività muscolare. Per il soggetto deambulante è sicuramente indicato questo tipo di pressione, che produce anche un effetto particolarmente utile al circolo profondo in quanto, oltre a dare benefici a livello superficiale, aiuta lo svuotamento delle vene di grosso calibro che sono situate più in profondità. L’azione penetrante della benda si fa particolarmente pericolosa se sono presenti ostruzioni arteriose.
Assieme all’attività pressoria esercitata durante la marcia, un altro aspetto positivo di tali bendaggi è l’inattività nei periodi di riposo: ciò fa sì che durante la notte l’assistito non accusi costrizione alla gamba. Anche per questo motivo le bende a corta estensibilità rappresentano la prima scelta per il paziente che cammina.
La pressione di riposo si ottiene applicando bende long stretch, il cui effetto si esplica generalmente a un livello più superficiale. La natura elastica ed estensibile determina una compressione costante di giorno e di notte: le bende tendono a riacquistare sempre la lunghezza che avevano prima di essere tirate (memoria della benda); tale caratteristica genera una pressione anche a letto (in posizione clinostatica), quindi durante il sonno le bende non smettono di tirare, procurando disagio ed esponendo il paziente al rischio di sviluppare lesioni sulle prominenze ossee, in mancanza della difesa muscolare.
Questa azione si fa sentire maggiormente sul circolo superficiale.
Ogni benda, dunque, produce una pressione quando viene applicata su un arto, per cui è importantissimo capire quale tipo di pressione si deve esercitare per ottenere i risultati desiderati, dal momento che le due pressioni si influenzano reciprocamente e un solo tipo di benda non è in grado di fornire entrambe le forze.
Lo schema seguente aiuta a capire i rapporti che intercorrono tra pressione di lavoro e pressione di riposo.
La tecnica per eseguire un buon bendaggio deve essere applicata da personale esperto; nulla però vieta a una persona comune di fare una semplice fasciatura senza incorrere in errori grossolani, specie in situazioni di emergenza, oppure nel caso in cui il servizio infermieristico non sia presente.
Per la corretta applicazione di un bendaggio è necessario tenere in considerazione quattro fattori fondamentali:
- struttura e proprietà delle bende;
- grandezza e forma dell’arto;
- capacità ed esperienza dell’operatore;
- mobilità del paziente.
La pressione esercitata dal bendaggio dipende essenzialmente dal tipo di materiale utilizzato, dal numero di strati utilizzati e dalla forma della gamba, che influenza moltissimo l’effetto delle bende.
La capacità di bendare risente molto dell’esperienza acquisita e probabilmente i primi bendaggi non saranno perfetti; è importante ricordare che un bendaggio mal posizionato può ferire e creare danni. Se il paziente cammina sarà necessario un tipo di bendaggio, se non cammina si utilizzeranno altri modelli di bende.
Le linee guida internazionali affermano che i bendaggi ad alta compressione contenenti più strati, con sufficiente imbottitura e capaci di sostenere la compressione per almeno una settimana, dovrebbero essere la prima linea di trattamento per le ulcere venose semplici dell’arto. Di conseguenza, i bendaggi giornalieri non sono consigliati o almeno devono essere adottati solo in alcuni casi (infezioni conclamate, bassa aderenza alla terapia).
Molti centri specializzati nella cura delle ulcere utilizzano vari metodi per il bendaggio: due strati, senza imbottitura, tre o quattro strati.
Il dibattito sull’applicazione dei bendaggi a quattro strati è tutt’ora aperto: i problemi più grandi sono causati dalla difficoltà di quantificare l’esatta pressione esercitata dall’insieme delle bende.
Studi clinici hanno dimostrato cha la guarigione delle ulcere è più rapida nei pazienti che indossano bendaggi a quattro strati. In commercio si possono reperire sistemi preconfezionati per il bendaggio, oppure si possono acquistare bende separate che devono poi essere ricombinate secondo le esigenze del paziente.
I bendaggi a quattro strati sono composti da:
- ovatta idrofila (cellulosa, viscosa);
- crêpe di cotone;
- bendaggio a lunga estensibilità;
- bendaggio a corta estensibilità.
I rischi legati alla mancata individuazione di un’eventuale malattia a carico del sistema circolatorio possono dare luogo a eventi avversi anche molto gravi; oltre alla già citata arteriopatia, tra i fattori che possono rappresentare una controindicazione assoluta al bendaggio, quando chi fornisce assistenza non è un addetto ai lavori, è necessario tenere in considerazione anche quanto segue:
- la struttura dell’arto: un arto che presenta sporgenze ossee può subire lesioni a causa della pressione delle bende;
- la qualità della cute: una pelle delicata, specialmente quella degli anziani, può ferirsi facilmente per effetto della compressione;
- le malattie neurologiche: l’assenza di una risposta al dolore, come avviene nella neuropatia sensitiva, può esporre l’arto a gravi rischi (ischemia);
- le malattie cardiache: modificazioni brusche dei liquidi presenti in altri distretti corporei (gambe) possono aumentare notevolmente l’afflusso di liquidi rispetto alle capacità cardiache (precarico cardiaco) e creare scompenso cardiaco acuto.
Dopo aver individuato il problema di fondo con il supporto di personale specializzato, resta da scegliere se utilizzare un bendaggio mobile o un bendaggio fisso.
Il bendaggio mobile ha una durata massima di 12-24 ore, si utilizza su pazienti che collaborano poco o se bisogna ispezionare frequentemente l’area. Non è molto utilizzato nella cura delle ulcere venose, per ovvi motivi (accessi troppo frequenti, alti costi, rischio di contaminare la ferita, gestione “familiare”); può essere proposto quando vi siano lesioni molto superficiali. Sebbene presenti questi inconvenienti, viene tuttora consigliato.
Il bendaggio fisso viene confezionato per una durata massima di sette giorni. È il trattamento di prima scelta per le ulcere venose.
Come effettuare il bendaggio
Preparare il materiale necessario:
- garze pulite;
- soluzione fisiologica;
- siringa da 35 ml con ago 18G;
- guanti monouso non sterili;
- traversa monouso impermeabile;
- ossido di zinco in pasta;
- bende.
L’ambiente in cui viene effettuato il bendaggio deve essere confortevole, ben illuminato e riscaldato.
Il paziente deve potersi sdraiare sul letto a un’altezza adatta a favorire il lavoro dell’operatore.
Per valutare l’evoluzione della ferita, può essere molto utile misurarla con un righello (o altra scala graduata), senza toccarla: così facendo si può fare una comparazione nell’arco delle settimane. Se è disponibile una macchina fotografica, effettuare uno scatto ogni volta che si medica la lesione.
Prima di ogni medicazione, inoltre, bisognerebbe lavare la gamba con acqua e sapone e asciugarla tamponando delicatamente, mentre la ferita deve essere pulita come descritto oltre.
Alcune volte il paziente può trarre beneficio dall’applicazione di uno strato di pasta all’ossido di zinco (25%) sulla pelle vicino alla ferita, per prevenire la macerazione dei bordi.
I fluidi emessi dalla lesione bagnano le bende e possono creare un ambiente troppo umido, soprattutto quando il bendaggio rimane posizionato per una settimana; tale circostanza rende la pelle fragile e la espone a fenomeni erosivi. Se le ferite sono molto estese può essere ragionevole sostituire la medicazione due volte alla settimana.
Dopo avere effettuato la detersione dell’arto e della lesione, applicare sulla ferita la garza impregnata tenendola da un lato con i guanti puliti e procedere poi al bendaggio come segue.
- L’applicazione della benda deve avvenire secondo un ordine prestabilito, solitamente in senso circolare e verso l’esterno rispetto al segmento da fasciare; la benda ancora avvolta deve trovarsi al di sopra della fascia già svolta.
- Il piede deve sempre essere fasciato per primo, non si deve mai partire dalla caviglia.
- La fascia non deve essere piegata o fare grinze durante lo svolgimento; nel caso si verifichi questo inconveniente è bene ricominciare daccapo.
Se il bendaggio viene effettuato con il kit di quattro bende (tipo PROFORE®), procedere come segue.
- Applicare il cotone in rotolo partendo dal piede, srotolandolo verso l’esterno e sovrapponendo gli strati uno sull’altro esattamente a metà fino ad arrivare al ginocchio, senza fasciarlo.
- Applicare la seconda benda, partendo dal piede fino al ginocchio e non oltrepassando il cotone. Fissare la seconda benda con il cerotto in modo che non rischi di srotolarsi.
- Applicare la terza benda, che in questo caso può essere elastica, estendendola fino al 50% della sua lunghezza; è consigliabile fasciare con la tecnica “a 8”, cioè salendo e scendendo, possibilmente senza tornare indietro.
- L’ultima benda deve essere applicata con una sovrapposizione del 50%; in genere si tratta di una benda coesiva (si incolla su se stessa) e quindi non è il caso di fissarla con i cerotti.
La concomitante presenza di più bende aumenta gli effetti specifici di ogni tutore, quindi se da un lato i kit a quattro strati hanno il vantaggio di essere particolarmente efficaci, dall’altro, questa validità è contrastata dall’aumento dei pericoli e dall’esigenza di una maggiore perizia dell’infermiere o di chi applica l’ausilio.
Se non si dispone di un apposito kit, acquistare in farmacia l’occorrente.
- Uno o due rotoli di cotone per bendaggi, meglio se idrofili.
- Una benda per il fissaggio.
- Una benda a corta estensibilità nel caso che il soggetto cammini o a lunga estensibilità nel caso non cammini. Le bende a lunga estensibilità devono essere stirate al massimo fino al 50%.
- Se si acquistano bende che si fissano con le graffette fare attenzione a non ferire la cute!
- La sequenza da seguire per il bendaggio è simile a quella già descritta: cotone sulla pelle, benda per il fissaggio, benda terapeutica. Si otterrà così un bendaggio in tre strati.
Alcune considerazioni sul bendaggio
- Il soggetto deve essere comodo e l’operatore anche, quindi è opportuno trovare una sistemazione appropriata per entrambi (altezza giusta).
- Durante il bendaggio il piede del paziente deve essere tenuto a martello (deve cioè formare un angolo di 90° con la gamba), altrimenti durante la marcia la benda si “accartoccia” sulla caviglia provocando dolore.
- Se si bendano persone anziane è indispensabile proteggere bene la tibia, il tendine d’Achille e le sporgenze ossee con il cotone perché molte volte compaiono delle ulcere provocate dalle bende.
- I pazienti che non possono comunicare devono essere sorvegliati attentamente: se il bendaggio è troppo stretto non sono nelle condizioni di comunicarlo!
- Se il soggetto fasciato lamenta eccessivo senso di costrizione è preferibile allentare il bendaggio oppure rimuoverlo.
- Il tempo medio per la guarigione di un’ulcera di piccole dimensioni è di 12 settimane, ulcere più grandi possono richiedere anche 9 mesi di trattamento.
- Il 25% delle ulcere non si rimargina a 2 anni di distanza, nonostante che il trattamento sia stato effettuato correttamente.
- Le pomate a base di antibiotici non sono indicate sulle ferite, così come le polveri a base di penicillina.
- Se si assiste alla formazione della crosta non significa che l’ulcera sia guarita.
- Alcune volte la pelle intorno all’ulcera si presenta arrossata e con molte piccole pustole: in questi casi può essere indicata una pomata cortisonica, che deve essere prescritta dal medico.
- Se il cotone è macchiato di una sostanza di colore verdastro significa che la lesione è infetta.
- Anche l’odore ha la sua importanza, nel caso sia molto pungente dovrebbe far sospettare un’infezione.
- Alcuni disturbi della pelle (eczemi varicosi) possono richiedere un trattamento con bendaggi medicati; in commercio si possono ritrovare bende impregnate con ossido di zinco e bende con ittiolo e ossido di zinco.
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