Alimentazione
I mattoni degli alimenti
I macronutrienti
I macronutrienti sono i carboidrati, i lipidi e le proteine. I primi due rappresentano le principali fonti di energia per l’organismo: svolgono cioè una funzione energetica, consentendo ai vari sistemi e apparati di disporre del “carburante” necessario per adempiere a tutte le proprie funzioni. Le proteine apportano il materiale che serve per il mantenimento e la crescita delle strutture organiche: si dice quindi che svolgono una funzione plastica. In realtà, anche carboidrati e lipidi svolgono in piccola parte funzioni strutturali; infatti, così come le proteine, possono essere impiegati dalle nostre cellule per ottenere energia.
Carboidrati
Sono chiamati anche zuccheri o idrati di carbonio. Il loro potere energetico è di 4 chilocalorie per grammo. In alcuni casi sono costituiti da piccole molecole formate da un basso numero di atomi di carbonio, ossigeno e idrogeno: si tratta degli zuccheri semplici, per esempio il fruttosio (zucchero della frutta), il glucosio (presente anche nel sangue), il saccarosio (il comune zucchero che usiamo per dolcificare, ottenuto dalla barbabietola o dalla canna da zucchero) e il lattosio (zucchero del latte).
In altri casi, i carboidrati sono costituiti da molecole molto grandi, risultato dell’unione di migliaia di molecole di glucosio: si tratta dei polimeri, lunghe ripetizioni di zuccheri semplici, che prendono il nome di polisaccaridi o carboidrati complessi. Tra questi, la sostanza più importante ai fini nutrizionali è l’amido.
Perché l’amido e gli altri zuccheri complessi possano essere assorbiti dall’intestino, è necessario che vengano frammentati nelle singole molecole di glucosio di cui sono costituiti: ciò è possibile grazie all’azione degli enzimi, le cosiddette amilasi, prodotte soprattutto dal pancreas ma presenti in quantità diverse lungo gran parte del canale enterico, dalla bocca al piccolo intestino.
Alimenti contenenti amido sono quelli a base di cereali (pane, pasta, polenta, riso e così via) e vegetali come patate, legumi e banane.La differenza tra zuccheri semplici e complessi viene spesso enfatizzata, ritenendo i primi fonte di danno per la salute e i secondi, al contrario, benefici. È proprio basandosi su questo schematismo che alcune linee guida raccomandano che gli zuccheri semplici non costituiscano più del 10% delle calorie giornaliere (cioè non oltre i 50-60 g al giorno). Come tutte le semplificazioni, anche questa è fonte di errori: per esempio, un eccessivo ricorso ad alimenti contenenti zuccheri raffinati in qualità di edulcoranti innalza il rischio di carie dentaria, predispone a un’eccessiva introduzione calorica (soprattutto in forma di bevande zuccherate) e in più favorisce l’incremento nel plasma dei trigliceridi e dell’acido urico. È bene tenere presente, poi, che latte, verdura e frutta contengono quantità importanti di zuccheri semplici (lattosio, fruttosio, glucosio), per cui un’assunzione significativa di vegetali e una razione quotidiana di latte conducono facilmente a superare il 10% di calorie giornaliere ottenute da questo tipo di zuccheri. Ma ciò, ben lungi dal costituire un comportamento rischioso, è addirittura auspicabile.
Alcuni polisaccaridi hanno una composizione tale da non poter essere degradati dalle amilasi, per cui risultano indigeribili: si tratta della fibra alimentare, come la cellulosa, di cui sono ricchi i vegetali. Pur non essendo utilizzabili come fonti di calorie, tali polisaccaridi sono molto utili perché concorrono alla formazione della massa fecale e perché forniscono nutrimento alla flora batterica intestinale. In un’alimentazione equilibrata, i carboidrati devono apportare circa la metà delle calorie giornaliere. Per una persona adulta normale con moderata attività fisica sono quindi necessari circa 300-350 g di carboidrati al giorno. Quando l’attività fisica aumenta occorre incrementare anche l’assunzione di carboidrati; al contrario, in caso di diete dimagranti, il loro apporto viene ridotto, così come quello dei lipidi.
I carboidrati, soprattutto quelli complessi, vengono in piccola parte fermentati dalla flora batterica intestinale, con produzione di gas. Tale fenomeno può essere percepito come un fastidio e può indurre a limitare l’assunzione di alimenti come pane, pasta e legumi. In realtà si tratta di un evento del tutto fisiologico e utile all’organismo: infatti, microrganismi quali i lattobacilli e i bifidobatteri si nutrono di questi zuccheri, che quindi svolgono un ruolo prebiotico, ossia la loro presenza contribuisce a prevenire la proliferazione di batteri patogeni e a potenziare le difese immunitarie intestinali.
Quando un soggetto non dispone di una quantità di enzimi intestinali sufficiente a digerire particolari zuccheri si verificano manifestazioni di intolleranza: molto nota, perché piuttosto diffusa, è quella al lattosio, sostanza costituita da due zuccheri (glucosio e galattosio), che non può essere assorbita come tale ma deve subire la degradazione nelle due molecole costituenti a opera della lattasi intestinale. Se questa è carente, come frequentemente avviene negli adulti, l’ingestione di alimenti contenenti lattosio provoca disturbi addominali e diarrea. La diagnosi di questo tipo di intolleranza è molto semplice, si basa sull’anamnesi del paziente e può essere avvalorata dall’esame del respiro (breath test), che misura la quantità, contenuta nell’aria espirata, di idrogeno prodotto dalla flora intestinale a partire dal lattosio indigerito.
Lipidi
La caratteristica principale dei grassi è quella di non sciogliersi nell’acqua. La maggior parte dei lipidi presenti negli è costituita da sono trigliceridi, sostanze formate da un alcol, il glicerolo, unito a tre molecole di acidi grassi. Molte delle caratteristiche fisiche, organolettiche e metaboliche dei lipidi sono dovute alla natura degli acidi grassi che li compongono. I lipidi sono i nutrienti energetici per eccellenza, infatti apportano ben 9 chilocalorie per grammo e dovrebbero rappresentare, in una dieta equilibrata, circa il 30% delle calorie quotidiane assunte. Svolgono poi alcune altre funzioni, come quelle strutturale e regolatoria, in quanto fanno parte delle membrane cellulari e sono precursori di molecole attive in numerosi meccanismi fisiopatologici. Alimenti composti quasi esclusivamente di grassi sono gli oli (gli unici che a temperatura ambiente assumono una forma liquida), le margarine, il burro, il lardo e lo strutto. Ne contengono percentuali elevate i formaggi, alcuni salumi, la maionese e molte preparazioni dolciarie. A causa del tenore lipidico questi sono tutti alimenti particolarmente calorici.
Le diverse caratteristiche chimiche degli acidi grassi sono alla base della nota distinzione tra saturi e insaturi. Questa fa riferimento all’esistenza o meno nella molecola di doppi legami, cioè di una particolare modalità di unione tra due atomi di carbonio adiacenti nella catena dell’acido grasso; si parla quindi di:
- acidi grassi saturi se non vi sono doppi legami;
- acidi grassi monoinsaturi se c’è un solo doppio legame;
- acidi grassi polinsaturi se ci sono due o più doppi legami.
Maggiore è il livello di insaturazione, più il grasso tende a presentarsi liquido. Un olio può essere reso solido aggiungendo idrogeno per saturare i doppi legami tra gli atomi di carbonio: si ottengono così, per esempio, le margarine. In questo processo, alcuni legami saturati tornano spontaneamente insaturi, perdendo l’idrogeno ma assumendo una forma nuova e innaturale, la forma trans (i doppi legami naturali presentano una conformazione detta cis). Le margarine, quindi, sono grassi idrogenati che, a meno di particolari accorgimenti industriali, contengono grassi trans, considerati pericolosi per la salute perché inducono l’aumento della colesterolemia. I grassi saturi si ritrovano prevalentemente negli oli di cocco e di palma e nel latte; questi presentano molecole comprese tra i 12 e i 16 atomi di carbonio (acidi laurico, miristico e palmitico) e possono provocare un aumento del colesterolo plasmatico. Olio di cocco, olio di palma e grassi idrogenati sono ampiamente utilizzati come ingredienti dei prodotti da forno industriali (cracker, biscotti, fette biscottate, merendine, dolci) e nei gelati.
Nel caso di latte e derivati occorre ricordare che un eventuale modesto aumento della colesterolemia è ampiamente compensato dagli effetti di protezione cardiovascolare evidenziati da questi prodotti. Anche le carni, soprattutto di derivazione bovina, contengono grassi saturi ma a catena leggermente più lunga e costituiti da acido stearico (18 atomi di carbonio). Quest’ultimo, una volta ingerito, viene in parte trasformato nel suo monoinsaturo equivalente, l’acido oleico, e non provoca aumenti della colesterolemia.
Grassi insaturi sono presenti negli oli vegetali. L’acido oleico monoinsaturo con 18 atomi di carbonio caratterizza l’olio d’oliva, che contiene anche numerose sostanze di natura non lipidica. L’insieme conferisce a questo grasso indiscusse proprietà salutari, soprattutto nella prevenzione delle patologie cardiovascolari. Gli oli di semi contengono polinsaturi della classe omega 6, i cui effetti sono controversi. Infatti il loro consumo favorisce una modesta riduzione della colesterolemia ma anche lo sviluppo di calcolosi biliare e processi infiammatori. Quest’ultimo effetto si spiega con il fatto che gli acidi grassi omega 6 sono i precursori di alcune molecole coinvolte nei meccanismi dell’infiammazione. I lipidi contenuti nel pesce sono ricchi di acidi grassi polinsaturi della serie omega 3, ai quali si attribuiscono importanti proprietà nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Integratori alimentari e farmaci a base di acidi grassi omega 3 sono utilizzati efficacemente per la riduzione dei trigliceridi plasmatici. Per tali proprietà è raccomandato il consumo di almeno 2 porzioni di pesce la settimana.
Va però ricordato che solo il pesce grasso pescato in mare, come quello azzurro, apporta significative quantità di omega 3, mentre il pesce magro e quello di allevamento ne presentano quantità esigue. I prodotti della pesca, però, suscitano preoccupazioni a causa dell’inquinamento marino, responsabile talora della presenza di pericolosi inquinanti quali il mercurio, le diossine e i policlorobifenili, a livelli al di sopra della soglia di sicurezza, in particolare nelle specie di grossa taglia.
Proteine
Le proteine sono polimeri costituiti da aminoacidi, che sono i mattoni del nostro organismo e rappresentano infatti i singoli tasselli delle strutture biologiche.
Il nostro organismo riesce a produrre in proprio solo 12 dei 20 aminoacidi che servono alla sintesi delle proteine: gli altri 8, detti essenziali, li deve attingere dall’esterno. Poiché le proteine sono continuamente degradate e i loro aminoacidi eliminati, occorre rimpiazzare quelli essenziali con la dieta; per tale motivo sono considerate nutrienti plastici. Il nostro fabbisogno di proteine è di poco inferiore a 1 g per ogni chilo di peso corporeo. Se ne vengono assunte quantità maggiori, queste sono utilizzate per ottenere energia o trasformate in grasso di deposito. Le proteine apportano 4 kcal per grammo.
Alimenti ricchi di proteine sono le carni, il pesce, le uova, il latte, i formaggi. I vegetali contengono proteine di minore pregio perché povere di aminoacidi essenziali. Tuttavia i legumi, in particolar modo la soia, presentano proteine di buona qualità, particolarmente ricche dell’aminoacido lisina, mentre difettano di aminoacidi solforati (cisteina e metionina). I cereali hanno proteine di scarsa qualità ma sono ricchi di aminoacidi solforati. Le combinazioni di legumi e cereali integrano le rispettive carenze, dando origine a un insieme di aminoacidi completo. Da questa osservazione è nato il concetto di piatto unico, come per esempio la pasta e fagioli, dove in una sola specialità gastronomica si ritrovano le proprietà di un intero pasto, con un numero complessivo di calorie decisamente inferiore.
La carenza proteica, evento purtroppo facilmente osservabile nei paesi del Terzo Mondo e in alcune categorie di soggetti anche nel mondo occidentale (per esempio gli anziani istituzionalizzati), provoca gravi conseguenze. Gli aspetti più vistosi sono la riduzione delle difese immunitarie, che predispone alle patologie infettive, e il calo dei livelli di proteine circolanti nel plasma, che provoca la comparsa di edemi.
Anche l’eccessiva introduzione di proteine può comportare conseguenze indesiderate. La questione è di attualità, in quanto le diete iperproteiche sono diventate da alcuni anni di moda. Le nostre abitudini alimentari quotidiane ci portano già ad assumere più proteine del necessario: mediamente, un uomo adulto ne ingerisce 80-90 g al giorno contro i 60-70 raccomandati.
Troppe proteine impegnano eccessivamente i reni nella loro opera di depurazione dell’organismo dalle sostanze azotate originate dal metabolismo degli aminoacidi e tale iperattività esaurisce anzitempo la capacità del rene, che funziona proprio come un filtro, e quindi più lavora prima si intasa. La dieta iperproteica, inoltre, aumenta la perdita di calcio con le urine e acidifica il sangue. Si tratta di fenomeni destinati a produrre, nel tempo, l’impoverimento della componente minerale dell’osso, fino allo sviluppo di un’osteoporosi conclamata. Recentemente è stato osservato che l’assunzione di elevate quantità di proteine incrementa la presenza di alcuni fattori di crescita, sostanze prodotte dall’organismo e capaci di stimolare lo sviluppo di diversi tipi di cellule, comprese quelle neoplastiche. È quindi sconsigliabile seguire diete a elevato contenuto proteico, a meno che non vi siano ragioni valide e il parere positivo di un medico.