Alimentazione
Diete: famose e stravaganti
Già Ippocrate (460-357 a.C.) parlava di “quantità giuste di nutrimento e di esercizio, non troppo e non troppo poco”.
Oggi l’attenzione nei confronti della dieta e del modo in cui essa influenza la salute è cresciuta enormemente. Spesso, però, si attribuisce a questa parola il significato di limitazione dell’assunzione di cibo e non – più correttamente – quello di regime alimentare globale.
Per il linguaggio corrente, quindi, quando si parla di dieta ci si riferisce a un’alimentazione ipocalorica adottata con lo scopo di perdere peso. Circa il 50% della popolazione del mondo cosiddetto evoluto è “a dieta”, e questo spiega perché l’argomento continui a stimolare da circa un secolo le ricerche e la fantasia di tanti medici, scienziati, appassionati e guru del benessere, che con fortune alterne non hanno voluto far mancare all’umanità quanto da loro sperimentato, scoperto o semplicemente intuito.
Stare a dieta fa male
Il nostro corpo percepisce la restrizione volontaria dell’introito alimentare come qualcosa di sbagliato e non fisiologico. Nell’evoluzione della specie umana si sono selezionati in positivo (cioè riuscivano meglio a sopravvivere) quegli individui che sapevano approfittare dei periodi di abbondanza di cibo facendo scorta di energia (grasso sottocutaneo) ed economizzavano spendendo meno nelle fasi di carestia. Questa teoria del genotipo del risparmio (thrifty genotype), elaborata dal genetista James Neel nel 1962, anche se vi sono recenti ipotesi alternative, incontra molti consensi nella comunità scientifica e spiega molto bene perché alcune popolazioni vissute in ambienti più ostili rispetto all’area del Mediterraneo siano più a rischio dell’uomo europeo nello sviluppare le cosiddette malattie del benessere.
Classico è l’esempio degli indiani Pima d’America, che erano perfettamente adattati nell’ambiente delle grandi praterie secondo i ritmi della natura e le migrazioni dei bisonti e hanno poi iniziato ad ammalarsi con grande frequenza di diabete e aterosclerosi da quando hanno adottato le abitudini dei colonizzatori, con una incidenza di malattia molto più alta rispetto ai bianchi.
Se è vero che nel nostro organismo esistono meccanismi di controllo dei depositi e del dispendio energetico che tendono al pareggio di bilancio, è altrettanto vero che questi meccanismi sono molto più precisi e attenti quando l’energia introdotta diminuisce (per cui tendiamo a recuperare rapidamente quanto perduto), mentre sono più imprecisi sul versante dell’introito calorico, per cui è abbastanza semplice accumulare qualche chilo di grasso nell’arco di un anno.
I medici che si occupano di dietetica clinica, cioè sul campo, sanno bene che, spesso, importanti aumenti di peso sono preceduti o innescati da rapidi dimagrimenti: non importa quale sia la causa (una malattia, lo stress, la depressione o semplicemente l’impossibilità di accedere al cibo), il risultato non cambia; la malnutrizione fa scattare nel nostro organismo meccanismi di risparmio energetico e quando il cibo torna normalmente disponibile, o gradito, accade che il nostro corpo tende ad accumulare scorte e accetta ancora più faticosamente di prima di interrompere il pasto per raggiunta sazietà.
Se dimagrire con una dieta è difficile, mantenere il peso raggiunto lo è perfino di più, visto che nell’85% dei casi si recupera entro 5 anni. Per questo motivo lo stare a dieta non è mai fisiologico; lo si deve ritenere il male minore quando le condizioni mediche lo impongono. Inoltre, se le restrizioni alimentari diventano drastiche e stravolgono ritmi e abitudini, possono trasformasi in un boomerang che ci si ritorce contro, provocando recuperi di peso superiori a quanto perso.
Altro inAlimentazione -Diete: famose e stravaganti