Alimentazione
Educazione alimentare
Modelli alimentari e mutamenti economici e sociodemografici
Nel corso della sua storia l’uomo non ha potuto seguire un modello alimentare unico perché ha dovuto agire, di volta in volta in modo diverso, in base alla necessità di far fronte al reperimento di cibo, utilizzando i metodi meno costosi e contemporaneamente più produttivi. Ciò significa che l’alimentazione variava, e continua a variare, a seconda del luogo di stanziamento e quindi delle ricchezze del territorio. Un ambiente poco produttivo (per clima, terreno arido, scarsità di animali e di vegetazione) è sempre stato immediatamente scartato.
Attualmente, il modello alimentare italiano è il risultato di tradizioni e culture regionali contaminate o arricchite, dipende dai punti di vista, dalle scelte e dagli indirizzi imposti dall’industria alimentare mondiale.
Negli ultimi tempi stiamo assistendo a una modifica delle leggi del mercato. Al di là della sempre più drastica riduzione dei negozi o botteghe alimentari e in contrapposizione all’invasione sempre maggiore di centri commerciali ricchi di prodotti, quello che sta cambiando sono le dinamiche di acquisto. Oggigiorno nella grande distribuzione non esiste solo la legge della domanda e dell’offerta ma anche quella dell’offerta e della domanda, nata grazie al boom della persuasione pubblicitaria. Si può arrivare al paradosso che le persone non comprano e consumano ciò che effettivamente desiderano e di cui hanno bisogno, ma quanto propongono gli equilibri interni del mercato. Se vogliamo fare una fotografia della società attuale possiamo notare alcuni aspetti sociodemografici che hanno caratterizzato e continuano a influenzare determinate scelte e abitudini alimentari. Lo stile di vita è molto legato ai ritmi lavorativi(orari continuati o viceversa frammentazione del tempo lavorativo, turni) che spingono a consumare i pasti fuori casa (mense aziendali e scolastiche, fast food, bar, tavole calde, pizzerie). Il ruolo della donna, rispetto all’epoca preindustriale, si è modificato: non più o non solo casalinga, ma anche figura preparata e informata sui processi di produzione, vendita e acquisto dei prodotti alimentari. Ne consegue un ridimensionamento del ruolo della cucina casalinga, con riduzione del tempo dedicato ai pasti e alla convivialità e, per contro, una crescita delle strutture per la ristorazione collettiva e di massa dove molto spesso vigono standard qualitativi di tipo industriale, con il risultato di una complessiva omologazione del gusto. La percentuale delle persone che consumano il pranzo nei ristoranti o nelle trattorie e nei bar è cresciuta molto più al Centro-Nord (in particolare nell’aera nord-ovest del Paese) e meno nel Mezzogiorno, anche se pure al Sud si registra una tendenza in aumento. La corsa al tempo porta il diffondersi di pause pranzo veloci, consumate in prossimità del posto di lavoro. Secondo l’indagine ISMEA-ACNielsen, le preferenze dei consumi fuori casa sono particolarmente orientate per la prima colazione (al bar), il pranzo di lavoro (bar, ristoranti di cucina italiana, mense aziendali e scolastiche) e la cena, mentre hanno una minore preferenza i pranzi conviviali e le pause pomeridiane. Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana, inoltre, determinerà un orientamento verso diete legate alle esigenze di salute proprie della popolazione più anziana e l’attitudine verso cibi più sicuri e più salubri. Questo implica la centralità delle scoperte scientifiche fatte (o potenziali) in tale direzione, come per esempio quelle per produrre prodotti su misura (novel food), leggeri (light) e con funzioni terapeutiche. Un altro cambiamento è quello che riguarda la composizione delle famiglie. Secondo un’indagine multiscopo, dal titolo Famiglie e soggetti sociali (ISTAT, 2003), in Italia le famiglie tendono ad avere una struttura mononucleare (i single nel 1995 rappresentavano circa il 21% dei nuclei, nel 2003 hanno raggiunto la soglia del 26%). Questi andamenti hanno provocato, in maniera differenziata nelle diverse aree del Paese, un cambiamento nelle abitudini alimentari, in quanto la forte presenza dei single e il diffondersi di un nuovo modello familiare (coppie senza figli, non coniugate, monogenitori e ricostituite) ha favorito il maggior consumo di alimenti fuori casa, di cibi precotti e in monodose. Anche l’incremento dell’immigrazione comporta modifiche della cultura alimentare. L’Italia, infatti, negli ultimi dieci anni ha subito gradualmente un’inversione di tendenza, trasformandosi da Paese con alti flussi di emigrazione in Paese d’immigrazione. È stato rilevato, inoltre, un cambiamento strutturale della popolazione immigrata, in quanto sono aumentate le richieste di permessi di soggiorno per congiungimento familiare. Ne consegue una maggiore presenza di giovani donne straniere, le quali hanno contribuito al diffondersi di un’alimentazione diversificata. Questo fenomeno sta incidendo notevolmente sulle nostre abitudini alimentari, provocando l’introduzione di cibi che non facevano parte della nostra tavola. Ne consegue la diffusione di comportamenti alternativi a quello tipico italiano, che stimolano una domanda sempre più differenziata e orientata verso cucine extranazionali. Ciò ha determinato un aumento, soprattutto tra le nuove generazioni, del consumo di cibo tipo il sushi, la bistecca argentina, gli hot dog, il ketchup, il chili messicano, le specialità orientali e altri piatti tipici del bacino del Mediterraneo quali il kebab, il cous cous, il pane arabo, il prosciutto jamon iberico. In termini di nuove tecnologie questo accresce l’importanza delle tecniche di conservazione degli alimenti e di imballaggio.
Un altro fenomeno rilevante è quello dell’affermarsi di un consumatore più consapevole e più attento alla qualità. Tale fattore è da una parte strettamente legato all’investimento sul capitale umano e sul livello di istruzione, dall’altra al verificarsi nel nostro Paese, in particolare negli ultimi vent’anni, di una serie di scandali o allarmi (vino al metanolo, BSE, pollo alla diossina, influenza aviaria) che hanno provocato una maggiore sensibilità del consumatore ai rischi alimentari, rendendolo più attento alle diverse forme di informazione e di etichettatura. Questo ha comportato l’affermarsi di più elevati standard qualitativi e della rintracciabilità degli alimenti (procedura che permette di ricostruire fin dall’origine e per tutto l’iter produttivo le principali tappe della filiera per risalire a eventuali irregolarità o frodi, in relazione alle normative di controllo sulla sicurezza alimentare). Anche le condizioni economiche della famiglia determinano la scelta degli alimenti. Sempre l’ISTAT fa emergere che, sotto la pressione dell’inflazione, in particolare dopo l’entrata dell’euro, e del ridotto potere di acquisto che ne è conseguito, si scelgono sempre più prodotti di prezzo inferiore. Nel nostro Paese, però, accanto alla presenza di famiglie che vivono sotto la soglia di povertà, esistono anche situazioni di evidente agiatezza. In questo secondo caso l’acquirente tende a ricercare beni di elevatissima qualità, il che determina una notevole pressione sui settori di produzione, ma anche importanti sfide sul piano del progresso tecnologico. Per concludere, quindi, il comportamento di consumo dei prodotti alimentari è orientato principalmente su due fattori: la qualità e il prezzo. Un altro elemento che ha contribuito a cambiare le abitudini alimentari degli italiani è la rincorsa al corpo magro e perfetto, sbandierato sulle copertine dei giornali e in molte pubblicità. Si tratta di nuovi canoni estetici fuorvianti e con effetti deleteri sulla salute psicofisica soprattutto dei più giovani.
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