Malattie genetiche

Per trattare adeguatamente le malattie genetiche occorre innanzitutto avere un quadro, sia pure schematico, dell’organizzazione e del funzionamento del nostro patrimonio genetico. Ogni cellula del nostro corpo contiene, nel suo nucleo, 46 molecole di DNA (Acido DesossiriboNucleico) dette cromosomi: l’uomo possiede due copie di ciascun cromosoma dall’1 al 22 (cosiddetti autosomi) e due cromosomi del […]



Per trattare adeguatamente le malattie genetiche occorre innanzitutto avere un quadro, sia pure schematico, dell’organizzazione e del funzionamento del nostro patrimonio genetico.

Ogni cellula del nostro corpo contiene, nel suo nucleo, 46 molecole di DNA (Acido DesossiriboNucleico) dette cromosomi: l’uomo possiede due copie di ciascun cromosoma dall’1 al 22 (cosiddetti autosomi) e due cromosomi del sesso, XX nel sesso femminile e XY nel sesso maschile. Il DNA è una molecola lineare che può essere immaginata come il nastro di una cassetta musicale lungo la quale si susseguano, anziché brani musicali, migliaia di geni: considerando gli autosomi e i due cromosomi del sesso, si stima che il genoma umano sia composto da più di 3 miliardi di desossiribonucleotidi (le unità base del DNA) e da circa 25.000-30.000 geni; con quest’ultimo termine si intende un tratto di DNA contenente un’informazione. L’informazione contenuta nei geni e custodita nel DNA nucleare viene “trascritta” in molecole di RNA (Acido RiboNucleico). Circa 23.000 geni del nostro genoma contengono informazioni per costruire proteine e vengono trascritti nei cosiddetti RNA messaggeri (mRNA) che portano tali informazioni ai ribosomi, gli organelli della cellula dove avviene la sintesi delle proteine; altri 4-5000 geni contengono informazioni per costruire RNA dotati di varie funzioni, alcune delle quali ancora ignote.

Con il termine malattie genetiche si intende l’insieme delle malattie causate, in modo esclusivo o parziale, da un difetto del patrimonio genetico. A seconda che tale difetto riguardi un singolo gene, un gruppo di geni vicini tra loro o un intero cromosoma, le malattie genetiche possono essere distinte in geniche, genomiche e cromosomiche.

Anche se il difetto genetico rappresenta la causa principale del loro sviluppo, anche altri fattori (ambientali, dietetici ecc.) possono influire sulla gravità o l’età di insorgenza delle malattie genetiche; quando i fattori ambientali e comportamentali concorrono in maniera significativa a causare una malattia in cui è presente anche una componente genetica, si parla invece di malattia multifattoriale.

Le malattie ereditarie note a tutt’oggi (poco meno di 6000) sono raccolte nel catalogo MIM (Mendelian Inheritance in Man, ereditarietà mendeliana dell’ uomo), disponibile anche sul Web e continuamente aggiornato: di queste, circa 5400 sono riconducibili a difetti genetici di geni o regioni cromosomiche dei cromosomi dall’ 1 al 22, circa 460 sono riconducibili al cromosoma X e meno di una decina al cromosoma Y. 26 malattie genetiche, infine, sono dovute a mutazioni o alla perdita di uno o più geni che si trovano in un piccolo anello di DNA contenuto nei mitocondri, gli organelli cellulari deputati alla produzione di energia: tali malattie sono pertanto definite mitocondriali.


Malattie geniche

Dette anche monogeniche o mendeliane, le malattie geniche sono malattie ereditarie dovute alla mutazione di un singolo gene: quando tale gene si trova su un autosoma la malattia viene detta autosomica, quando invece è localizzato sui cromosomi sessuali si parla di malattia legata al cromosoma X o legata al cromosoma Y. Le malattie geniche vengono ulteriormente distinte in dominanti o recessive : nel primo caso basta una copia del gene mutato per manifestare la malattia (che viene trasmessa da un solo genitore), nel secondo è invece necessaria la presenza di due copie mutate del gene (che vengono trasmesse da entrambi i genitori portatori sani).

Le malattie monogeniche vengono trasmesse secondo le leggi di Mendel dell’ereditarietà e per questo vengono anche definite mendeliane; in particolare, sono dovute alla presenza di una mutazione del DNA che altera in modo permanente la funzione del gene stesso. Le mutazioni del DNA possono determinare la perdita di funzione del gene di modo che questo non è più in grado di determinare la sintesi di una proteina funzionante: la proteina corrispondente al gene mutato può quindi essere assente, prodotta in quantità ridotta, risultare tronca o presentare la sostituzione di un aminoacido importante che la rende non funzionante. In altri casi, invece, le mutazioni possono determinare un guadagno di funzione del gene: la corrispondente proteina viene allora prodotta in maggiore quantità oppure presenta la sostituzione di un aminoacido importante che le conferisce una nuova funzione o un funzionamento eccessivo.

Malattie autosomiche dominanti

Sono originate da una mutazione in un gene localizzato sui cromosomi dall’1 al 22. Un genitore, spesso malato, trasmette il gene mutato al figlio mentre l’altro genitore, sano, trasmette un gene funzionante. Poiché gli individui affetti possiedono una copia mutata del gene e una copia normale, il rischio di trasmissione alla prole di una malattia autosomica dominante è del 50% (ovvero 1 su 2). A volte l’individuo malato ha entrambi i genitori sani: questo fenomeno può essere dovuto all’insorgenza di una nuova mutazione, che comunque potrà essere trasmessa alla generazione successiva con un rischio prossimo al 50%. Le malattie dominanti possono presentare un’espressività variabile (cioè vari livelli di gravità) in base sia all’effetto biologico di mutazioni diverse sia all’interazione tra il difetto genetico e fattori ambientali o costituzionali. Viene invece definita penetranza la percentuale degli individui portatori del difetto genetico che effettivamente sviluppano la malattia: in particolare, nelle malattie dominanti dette a penetranza completa tutti gli individui che ereditano il difetto genetico svilupperanno la malattia, mentre in quelle dette a penetranza incompleta la malattia può non s vilupparsi pur in presenza del difetto genetico, oppure può insorgere a un’età più tardiva. Appartengono alla categoria delle malattie autosomiche dominanti:

Malattie autosomiche recessive Sono dovute alla presenza di una mutazione in entrambe le copie di un gene localizzato sui cromosomi dall’1 al 22: l’individuo affetto eredita da entrambi i genitori, di solito portatori sani, una copia mutata del gene. Per una coppia di portatori sani, il rischio di avere un figlio affetto è del 25%, ovvero 1 su 4 (25% di avere un figlio sano, 50% di avere un figlio portatore). Un individuo affetto avrà sempre figli portatori sani: solo se anche il coniuge è portatore ci sarà la possibilità di avere figli affetti. Solitamente la frequenza dei portatori sani di malattie recessive nella popolazione generale è piuttosto bassa, pertanto tali malattie risultano molto rare, con individui affetti talvolta nati da matrimoni tra consanguinei. Appartengono alla categoria delle malattie autosomiche recessive:

  • la fibrosi cistica;
  • i difetti dell’emoglobina quali la betatalassemia e l’anemia falciforme;
  • la maggior parte dei difetti congeniti del metabolismo;
  • la forma più comune di sordità di tipo genetico (da mutazione del gene della connessina 26) e altre decine di forme di sordità.

Le malattie recessive meno rare in Italia (1 su 2500-3500 nati) sono la fibrosi cistica e la betatalassemia: i portatori sani di fibrosi cistica hanno una frequenza di circa 1 su 25-28 individui (3,5-4% della popolazione), mentre la percentuale dei portatori di betatalassemia varia a seconda delle regioni, con una frequenza di 1 su 10 (10%) nelle aree dove un tempo era diffusa la malaria (Sardegna, delta del Po e alcune regioni del Meridione) e una frequenza di 1 su 30 (3% circa) nelle altre regioni.

Malattie legate al cromosoma X Sono causate da una mutazione in un gene localizzato sul cromosoma X. I soggetti di sesso femminile possiedono due cromosomi X (cariotipo 46, XX) mentre i soggetti di sesso maschile ne possiedono uno solo (cariotipo 46, XY): le femmine ereditano quindi un cromosoma X dalla madre e un cromosoma X dal padre, mentre i maschi ricevono dalla madre un cromosoma X e dal padre un cromosoma Y. Per compensare la differenza di “dose” dei geni presenti sul cromosoma X, negli embrioni di sesso femminile allo stadio di morula (stadio in cui le cellule sono in tutto meno di 100) avviene un’inattivazione casuale di un cromosoma X tale per cui ogni donna è una specie di mosaico di cellule che hanno “attivo” solo il cromosoma X materno o quello paterno. La maggior parte delle malattie dovute a mutazioni di geni presenti sul cromosoma X sono di tipo recessivo, per cui si manifestano quasi esclusivamente nel sesso maschile e vengono trasmesse da madri “portatrici” (sane o con segni minimi di malattia) al 50% dei figli maschi (le figlie saranno sane o portatrici al 50%). Qualora la malattia legata al cromosoma X consenta una normale vita riproduttiva, i maschi affetti avranno solo figli maschi sani e figlie portatrici. Appartengono a questa categoria di malattie monogeniche:

Malattie legate al cromosoma Y Sono dovute alla presenza di un difetto genetico localizzato sul cromosoma Y. Poiché questo cromosoma è presente solo nei soggetti di sesso maschile, i geni in esso contenuti sono per lo più deputati allo sviluppo embrionale in senso maschile e al controllo della spermatogenesi.

Sono note diverse forme di sterilità maschile dovute alla perdita o delezione di geni specifici del cromosoma Y, spesso associate ad assenza completa o grave riduzione degli spermatozoi nel liquido seminale. A causa della sterilità, questo tipo di malattia genetica non è trasmissibile ai figli maschi ed è per lo più dovuta a nuove mutazioni.


Malattie mitocondriali

Sono un gruppo particolare di malattie genetiche dovute alla mutazione di un singolo gene o alla perdita di un gruppo di geni, eventi che si verificano a livello dei mitocondri: questi organelli rappresentano una sorta di “centrali energetiche” delle cellule, che contengono centinaia di mitocondri e migliaia di molecole di DNA mitocondriale. Poiché tutti i mitocondri derivano dalla cella uovo materna, le malattie mitocondriali vengono trasmesse solo dalla madre ai figli (sia maschi sia femmine). La gravità delle malattie mitocondriali dipende dal numero di mitocondri che contengono DNA mutato: solo quando viene raggiunta una determinata soglia di molecole anomale di DNA mitocondriale si manifesta la malattia, e ciò ne spiega la particolare rarità. Le malattie genetiche mitocondriali colpiscono principalmente il sistema nervoso, i muscoli e le cellule endocrine.


Malattie cromosomiche

Sono causate da un’alterazione del numero o della struttura dei cromosomi: sono presenti in circa un individuo su 160, tuttavia le più frequenti hanno effetti modesti sulla salute.

Anomalie di numero dei cromosomi Viene definita trisomia la presenza di un cromosoma in più (per esempio trisomia 21 nella sindrome di Down) e monosomia la presenza di un cromosoma in meno (per esempio la sindrome di Turner con cariotipo 45, X). Vengono inoltre definite poliploidie le condizioni con 23 o multipli di 23 cromosomi in più, per esempio la triploidia (69 cromosomi totali) o la tetraploidia (92 cromosomi totali). Poiché ciascun cromosoma contiene centinaia o migliaia di geni, la maggior parte delle anomalie di numero dei cromosomi non sono compatibili con la vita, quindi i concepimenti di questo tipo esitano in aborto spontaneo nel primo trimestre di gravidanza; possono viceversa essere compatibili le anomalie di numero “a mosaico”, in cui cioè coesistono nello stesso individuo cellule trisomiche o monosomiche con cellule a cariotipo normale.

Le monosomie degli autosomi non a mosaico non sono compatibili con la vita; l’unica monosomia vitale è quella di un cromosoma del sesso, la sindrome di Turner (cariotipo 45, X) anche se il 99% di questi concepimenti viene abortito spontaneamente. La maggior parte delle trisomie degli autosomi è incompatibile con la vita, con l’eccezione delle trisomie dei cromosomi 21 (sindrome di Down), 13 (sindrome di Patau) e 18 (sindrome di Edwards) ovvero quelle degli autosomi a minor contenuto di geni. Per la sindrome di Down esiste una forte pressione selettiva della natura, con l’80% circa dei concepimenti che esitano in aborto spontaneo. Lo stesso dicasi per le trisomie 18 (1:7000 nati vivi) e 13 (1:10.000 nati vivi), che determinano aborto spontaneo nel 95% dei casi e mortalità nel primo anno di vita nella maggior parte dei casi giunti alla nascita. Sono invece più frequenti le trisomie dei cromosomi del sesso quali la sindrome di Klinefelter (47, XXY), la femmina triplo X (47, XXX) e il maschio doppio Y (47, XYY), presenti in circa 1 su 1000 nati, che non presentano ritardo mentale e malformazioni ma sterilità e ipogonadismo, nel primo caso, o ridotta fertilità nel secondo caso.

Anomalie di struttura dei cromosomi Vengono distinte in sbilanciate o bilanciate a seconda che vi sia o meno un cambiamento della quantità di materiale genetico. Le anomalie di struttura bilanciate comprendono le traslocazioni reciproche (due cromosomi si sono spezzati scambiandosi reciprocamente il tratto di DNA a valle del punto di rottura), le traslocazioni cosiddette robertsoniane (due cromosomi acrocentrici, ovvero 13, 14, 15, 21 e 22, sono fusi tra loro in corrispondenza del centromero), le inversioni (un cromosoma si è spezzato in due punti ed è stato riparato con inversione del tratto di DNA compreso tra i due punti di rottura) e le inserzioni (due cromosomi si sono rotti in due punti e un tratto di DNA di un cromosoma è stato inserito nell’altro). Nella maggior parte dei casi le anomalie bilanciate non producono alcuna malattia nel soggetto portatore: possono però “sbilanciarsi” nella formazione dei gameti (oociti e spermatozoi) determinando sterilità, aborti ripetuti o nascita di un bimbo con anomalia cromosomica sbilanciata. Raramente le anomalie bilanciate sono causa di malattia: ciò avviene se viene interessato uno specifico gene nel punto di rottura (in questo caso si svilupperà la specifica malattia monogenica) oppure se l’anomalia è solo apparentemente bilanciata, mentre in realtà si ha la perdita o la duplicazione di tratti di DNA nei punti di rottura. Qualora venga identificata in diagnosi prenatale un’anomalia cromosomica apparentemente bilanciata occorre controllare il cariotipo dei genitori, in quanto la presenza della stessa anomalia in uno di questi suggerisce che possa trattarsi di un difetto genetico privo di significative conseguenze sulla salute. Le anomalie di struttura sbilanciate si associano alla perdita o alla duplicazione di materiale genetico nei punti di rottura dei cromosomi e comportano, pertanto, lo sviluppo di specifiche malattie cromosomiche o del cosiddetto fenotipo cromosomico, che consiste nella presenza di malformazioni spesso multiple degli organi interni, dismorfismi (caratteri del volto diversi dalla norma) e ritardo di crescita e psicomotorio. Tra le anomalie sbilanciate vi sono le delezioni (perdita di geni) e le duplicazioni parziali, che possono coinvolgere qualsiasi cromosoma: le conseguenze sulla salute variano a seconda della loro grandezza, quindi del numero di geni coinvolti. Le anomalie sbilanciate possono essere eventi casuali con rischio di ricorrenza estremamente basso.


Malattie genomiche

Sono causate dalla perdita o dalla duplicazione di una serie di geni che si trovano vicini tra loro in una determinata regione dei cromosomi. Le regioni “delete” o duplicate non sono visibili a una normale analisi cromosomica al microscopio ottico. Durante la formazione dei gameti, alla meiosi, avviene l’appaiamento dei cromosomi omologhi con scambio di materiale genetico (fenomeno detto crossing over) tra i cromosomi di origine materna e quelli di origine paterna. La presenza delle regioni ripetute del genoma può favorire l’appaiamento non corretto dei cromosomi omologhi e, al momento del crossing over, generare un cromosoma deleto e uno duplicato per il tratto di DNA compreso tra le due regioni ripetute; si tratta solitamente di eventi casuali e poco frequenti.

Appartengono alla categoria delle malattie genomiche la sindrome velocardiofacciale (o sindrome di Di George, colpisce 1 su 5000 nati); la sindrome degli occhi di gatto, la sindrome di Williams-Beuren (1 su 10.000-20.000 nati), la sindrome di Miller-Dieker, la malattia di Charcot-Marie-Tooth tipo 1a e la neuropatia detta tomaculare.


Malattie multifattoriali

Sono dovute all’effetto congiunto di vari geni e dell’ambiente. La componente genetica delle malattie multifattoriali non è sufficiente a produrre la malattia, cui concorrono anche fattori ambientali, dietetici, farmacologici e comportamentali. Si ritiene che la malattia si sviluppi quando viene raggiunta una determinata “soglia” di fattori di rischio di tipo genetico e ambientale. Per queste malattie si parla più di familiarità che di ereditarietà, per sottolineare che, pur esistendo un aumento di rischio per i parenti degli individui affetti, si tratta di un rischio piuttosto modesto e non riconducibile a un singolo gene. Appartengono a questa categoria alcune malattie comuni quali l’asma, l’ipertensione, le malattie cardiovascolari, il diabete e l’osteoporosi, alcuni difetti congeniti quali la labiopalatoschisi, la spina bifida e la stenosi ipertrofica del piloro, le psicosi maggiori quali la schizofrenia e la sindrome maniaco-depressiva. [B.P., G.C.C., A.A.]