Dermatologia ed estetica
Vulvovaginiti
Candidosi vulvovaginale
Sebbene solo il 20-25% delle vaginiti infettive siano causate dalla Candida, la candidosi vaginale è sicuramente la patologia più diagnosticata dai ginecologi, se non altro perché rappresenta una delle poche infezioni vaginali con sintomi clinici ben definiti e facilmente riscontrabili.
Tra questi è piuttosto frequente il prurito, associato o meno a secrezioni generalmente di colore bianco giallastro e aspetto caseoso (“a latte cagliato”). La sintomatologia compare generalmente la settimana precedente il ciclo mestruale e peggiora in alcuni casi, per esempio lavando la regione genitale con acqua calda e saponi neutri o indossando indumenti sintetici e molto stretti. È comune la presenza di dispareunia e disuria (dolore e bruciore durante la minzione), in quanto l’infezione induce una reazione infiammatoria locale, che si traduce con la comparsa di questa sintomatologia; raro è invece il riscontro di cattivo odore.
All’esame obiettivo la vulva e il vestibolo appaiono molto eritematosi ed edematosi, inoltre spesso presentano erosioni secondarie al grattamento; mediante lo speculum si può evidenziare la presenza di grosse placche di secrezione del tipo ”a latte cagliato” a ridosso delle pareti vaginali e alla cervice. L’esame microscopico a fresco o la colorazione di Gram mettono in evidenza la presenza di cellule di lievito gemmanti e di ife fungine.
La Candida albicans sembra essere responsabile di circa l’80-94% degli episodi di vulvovaginite (anche se studi recenti dimostrano che un ruolo molto importante è giocato da un’altra specie, la Candida glabrata): poiché si riscontra nella bocca e nel tratto intestinale di molti soggetti sani, si pensa che la si possa considerare un normale saprofita del tratto genitale femminile, riscontrabile nel 100% delle donne fertili e nel 30% di quelle gravide. Sembra che lo sviluppo del processo patologico sia dovuto a una riduzione dei meccanismi di difesa dell’ospite, provocato da ceppi particolarmente virulenti, oppure a un meccanismo allergico scatenato dall’ospite nei confronti del saprofita.
Tra i fattori di rischio vanno ricordati l’uso del profilattico, la fase ovulatoria del ciclo mestruale, i frequenti rapporti sessuali e l’utilizzo di antibiotici; altri fattori favorenti sono rappresentati dall’impiego del diaframma, delle creme spermicide e degli anticoncezionali orali, soprattutto quelli ad alto dosaggio di estrogeni; anche il diabete e in generale gli stati di immunodepressione sia cronici sia acquisiti si ritrovano frequentemente associati allo sviluppo di vulvovaginiti da Candida.
Clotrimossazolo, miconazolo, econazolo e isoconazolo rappresentano i principi attivi di prima linea per il trattamento; i primi tre possono essere utilizzati per lunghi periodi, mentre clotrimossazolo e isoconazolo per uso topico possono essere utilizzati anche in gravidanza.
I farmaci per via sistemica (ketoconazolo, itraconazolo e fluconazolo) sono utilizzati in seconda linea. Per altre specie di Candida, per esempio quella glabrata, questa tipologia di farmaci risulta poco efficace e va quindi sostituita dall’utilizzo di acido borico (600 mg al giorno, intravaginale per 14 giorni).
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