Alimentazione
Diete di culture differenti
Diete pericolose o folcloristiche
Dieta AtkinsDetta anche low-carb, è una dieta in cui vengono eliminati quasi del tutto i carboidrati, lasciando i pasti ricchi in grassi e proteine. È un modello nato dall’adattamento di una dieta pubblicata nel 1960 sul Journal of the American Medical Association e resa popolare da una serie di libri, a cominciare da Dr. Atkins’ Diet Revolution, pubblicato nel 1972 dal medico Robert Atkins.
Il 17 aprile 2003, il dottor Atkins moriva all’età di 72 anni e il referto autoptico parlava di obesità, arteriosclerosi e cardiopatia ipertensiva. Questo referto è all’origine di una controversia che contrappone negli Stati Uniti la fondazione Pritikin agli eredi Atkins.
La dieta è supportata negli Stati Uniti da un attivo merchandise di prodotti dietetici collegati con la ditta proprietaria del marchio. Il regime low-carb rigoroso è assolutamente anacronistico alla luce di quanto sappiamo sul rischio cardiovascolare, perché pur facendo perdere peso rapidamente è dannoso per le arterie a causa dell’elevato contenuto in grassi saturi; inoltre porta alla formazione di corpi chetonici che a loro volta innalzano il cortisolo circolante necessario alla produzione di glucosio, indispensabile al cervello. Questo facilita, all’interruzione, la tendenza a ingrassare. Inoltre, il carico proteico superiore al normale alla lunga affatica i reni con rischi di danni da iperfiltrazione. L’eccesso di proteine e purine, infine, causa gotta e calcolosi delle vie urinarie.
PaleodietaDetta anche dieta delle caverne, intende riproporre il tipo di alimentazione che caratterizzava le popolazioni umane vissute nel periodo precedente la scoperta dell’agricoltura, avvenuta circa 10.000 anni fa. Per circa due milioni di anni, gli uomini trassero sostentamento da caccia, pesca e raccolta di vegetazione spontanea e insetti; a sostenere la dieta paleolitica è l’assunto che a livello genetico e fisiologico l’uomo non ha subito grossi mutamenti sebbene si sia assai evoluto dal punto di vista culturale, tecnologico e scientifico. La paleodieta consiglia quindi di mangiare cibi quanto più possibile vicini allo stato naturale e, di conseguenza, la corretta alimentazione si dovrebbe basare sugli alimenti che erano reperibili prima dello sviluppo delle tecniche agricole, cioè su prodotti di selvaggina di ogni tipo, specialmente midollo, cervella, frattaglie, sangue di mammiferi (la muscolatura veniva consumata solo se non era disponibile altro). Notevole importanza rivestono i pesci grassi e il pesce azzurro (quindi sgombro, tonno, sardine, alici), crostacei, rettili, vermi, bachi, insetti, uccelli, uova, bacche, frutti, miele, vegetali appena spuntati, radici, bulbi, noci, semi ecc. Gli oli consentiti sono l’extravergine d’oliva e quello di lino. Per quanto riguarda le percentuali di macronutrienti non sono fissate in modo esatto (come avviene per esempio nella dieta a zona) ma viene fornito un ampio range: le proteine devono rappresentare dal 20% al 35% delle calorie, i grassi dal 30% al 60%, i carboidrati dal 20% al 35%. Per gli sportivi è consentito introdurre alimenti non paleolitici sempre a favore dei carboidrati, specie patate e, saltuariamente, cereali.
Cosa non mangiare.Tutto quanto non era disponibile nel Paleolitico e che dunque risulta estraneo al codice genetico dell’uomo, quindi i cereali e i loro derivati, i legumi (compresa la soia), il latte e i suoi derivati. Da eliminare anche tè, caffè, cacao, vino, aceto e sale. Il motivo dell’eliminazione del sale risiede nel fatto che a coprire il fabbisogno corporeo di sodio basta quello contenuto nei cibi e l’aggiunta di altro sale comporterebbe un dannoso squilibrio tra sodio e potassio. Andrebbero eliminati anche gli oli di mais e di semi e la margarina: i primi poiché ricchi di acidi grassi omega 6, che hanno effetto infiammatorio, la seconda perché è costituita da grassi idrogenati, molto pericolosi per la salute.
Benefici ipotizzati. Il maggiore beneficio consisterebbe nell’introduzione di elevate quantità di vitamine e cofattori vitaminici, minerali, antiossidanti, contenuti nella frutta, nella verdura e nelle carni. Inoltre, l’eliminazione degli oli di semi e il consumo abituale di pesce azzurro permetterebbero di raggiungere il giusto equilibrio tra acidi grassi omega 3 e omega 6, sebbene appaia molto difficile oggigiorno, vista la difficoltà di procurarsi carne selvatica, ottenere il rapporto ideale tra omega 3 e omega 6 senza ricorrere all’uso di integratori; si calcola infatti che nel Paleolitico tale rapporto fosse 1:1 (ma la ricerca medica consiglia un rapporto ottimale 1:4).
Punti deboli. L’apporto di omega 3 di origine animale poteva forse provenire da molluschi raccolti sulla costa ma gli uomini delle caverne non catturavano certo pesce azzurro o pesci d’altura. Proporre di mangiare selvaggina per sfamare i ricchi occidentali alla luce delle poche specie sopravvissute in natura è come minimo anacronistico oltre che immorale. Un altro punto debole è la mancanza di calcio, data l’esclusione dei latticini. Inoltre, nel corso del tempo è possibile che ci siano state modificazioni riguardo il nostro patrimonio genetico, per cui l’uomo si sarebbe adattato al consumo di latticini e/o di cereali. Le malattie cardiovascolari sono patologie tipiche dell’età adulta e avanzata, e i popoli che sono ancora cacciatori-raccoglitori hanno un’attesa di vita molto bassa per riuscire a svilupparle; questo spiegherebbe perché tra loro l’incidenza di tali problematiche è scarsa.
Dieta dissociataIl principio della dieta dissociata inventata dal dottor William Howard Hay è noto anche ai meno esperti. Questo regime si basa molto semplicemente sulla regola di non associare carboidrati e proteine nello stesso pasto. Tale regola è così generica che in realtà bisognerebbe parlare di diete dissociate, ovvero tutte quelle che mantengono la dissociazione tra macronutrienti, ma differiscono per altri particolari. Il fatto di dissociare carboidrati e proteine è uno dei tanti stratagemmi senza alcun valore scientifico che fa dimagrire in modo proporzionale al peggioramento della qualità della vita a tavola. La dieta dissociata può funzionare solamente come espediente per fare ingerire meno calorie, ma come tutti gli stratagemmi è destinato a fallire nel 90% dei casi. La cosa grave è che molti dietologi, pur sapendo che il principio su cui si basa questo regime non ha alcuna valenza scientifica, continuano a prescriverlo ai propri pazienti.
Alcuni propongono questa dieta nella convinzione che carboidrati e proteine non debbano essere assunti insieme perché vengono digeriti con meccanismi che entrano in conflitto tra loro. Questo concetto è alla base della teoria della dieta delle combinazioni alimentari. A parte il fatto che la digestione non c’entra nulla con il dimagrimento, un fisico sano è perfettamente in grado di digerire qualunque combinazione di cibo; la discriminante più importante è la quantità. Si digerisce infatti meglio un pasto bilanciato da 500 kcal che una grossa porzione di pasta da 1000 kcal. La dissociazione tra gli alimenti influisce soprattutto sul senso di sazietà, riducendolo. Infatti, associando carboidrati e proteine andiamo a rallentare la digestione, ma in modo del tutto fisiologico, ossia evitiamo che avvenga in modo troppo veloce, portandoci ad avere fame troppo presto.
Dissociare vuol dire anche diminuire l’appetibilità dei cibi. Questo può portare a non eccedere con le calorie perché ci si stanca prima, mancando la possibilità di passare a un’altra pietanza. Pensiamo al pasto a base di proteine: chi è in grado di mangiare 1 kg di carne magra o cinque scatolette di tonno al naturale? La dieta dissociata è monotona e riduce il piacere di mangiare. Risultato: all’inizio il soggetto mangia meno e può seguire la dieta in maniera convinta, poi però abbandona. Bisogna infine tenere presente che quasi tutti gli alimenti sono costituiti da carboidrati, proteine e grassi. La stessa pasta, per esempio, contiene ben il 12,5% di proteine.
Dieta last minutePer capire che senso abbia seguire una dieta last minute bisogna comprendere qual è il massimo dimagrimento possibile, compatibilmente con il mantenimento della salute. Ciò dipende da:
- il nostro dispendio energetico giornaliero (in media per le donne 1500-2000 kcal e per gli uomini 1800-2500 kcal);
- quante calorie apporta la dieta last minute.
Semplificando: per perdere 1 kg di peso a settimana bisogna restringere la dieta di circa 1000 kcal al giorno e quindi un soggetto che necessita di 2000 kcal al giorno raggiungerà con una dieta da 1000 kcal l’obiettivo di perdere 3 kg in tre settimane; chi ne consuma 1500 perderà solo 1,5 kg in 3 settimane, chi ne consuma 2500 andrà probabilmente incontro a problemi di deficit energetico. Una dieta last minute così impostata non dovrebbe essere protratta per più di due settimane, pena una riduzione del metabolismo pericolosa a lungo termine, problemi di carenza di nutrienti, debolezza, amenorrea per le donne, squilibri ormonali e così via. Ma a chi è consigliata questa dieta? A nessuno che voglia ottenere risultati di tipo estetico e anche in campo medico le indicazioni sono molto limitate. Per esempio può essere adottata da coloro che devono sottoporsi a operazioni chirurgiche quando l’eccesso di peso aumenta il rischio chirurgico e anestesiologico, oppure dagli sportivi professionisti che devono rientrare in categorie di peso per gareggiare. Chi segue le diete last minute in genere lo fa per apparire in forma in un giorno importante (classico il caso del matrimonio), o in una stagione particolare (per passare la prova bikini), spesso senza il supporto di un esperto e senza avere idea delle controindicazioni.
Inutile dire che questo tipo di approccio è fallimentare sotto tutti i punti di vista:
- da quello esistenziale, perché dimostra la nostra incapacità di gestirci con un anticipo sufficiente di tempo;
- dal punto di vista metabolico, perché non fa altro che ridurre il metabolismo rendendo sempre più difficile il mantenimento del peso o il dimagrimento;
- dal punto di vista del risultato, non solo perché spesso si ottengono esiti inferiori alle attese, ma anche perché è praticamente matematico riprendere i chili persi nel giro di qualche settimana.
Dieta delle combinazioni alimentariLa teoria delle associazioni alimentari è un modello messo a punto dal dottor Herbert M. Sheldon secondo cui l’alimentazione adottata ai giorni nostri dalla maggior parte delle persone è scorretta perché si basa sul presupposto che il nostro organismo sia in grado di assimilare e digerire qualsiasi alimento indipendentemente da come venga fornito. Da questa erronea convinzione dipenderebbero i numerosi problemi digestivi di cui soffrono milioni di persone e da cui derivano malattie più gravi come il cancro al colon.
L’errore di questa teoria consiste nel considerare l’evento nutrizionale fondamentalmente imperniato sul momento della digestione e di individuare associazioni corrette o scorrette sulla base del livello di digeribilità che le varie combinazioni esprimono. Questo modo di considerare il problema è semplicistico poiché le implicazioni della nutrizione non riguardano solo la digestione. Un pasto, per esempio, potrebbe essere facilmente digeribile ma sbilanciato nutrizionalmente o viceversa. Affinché il processo metabolico possa avvenire nel migliore dei modi, è necessario che l’organismo disponga dei vari principi nutritivi, e ciò non è possibile consumando un unico alimento per pasto, poiché pochissimi alimenti contengono le giuste proporzioni di carboidrati, proteine e grassi.
Inoltre mantenere separati i macronutrienti può limitare l’assorbimento di alcuni principi nutritivi. Per esempio, spremere un po’ di succo di limone su una bistecca (secondo la teoria delle associazioni alimentari non bisognerebbe unire acidi e proteine) favorisce l’assorbimento del ferro contenuto nella carne grazie alla vitamina C presente nel succo del limone. L’uomo si caratterizza per la sua grande capacità adattativa e questo vale anche per l’alimentazione. Il nostro apparato digerente è storicamente adattato alla digestione di qualunque tipo di cibo. Da sempre l’uomo si è adeguato a mangiare secondo la disponibilità offertagli dall’ambiente circostante, disponibilità che si è di volta in volta modificata nel corso dei periodi storici e dei luoghi; è proprio questa adattabilità uno dei motivi fondamentali della prolificità della specie umana. La digeribilità di un cibo è correlata alla quantità immessa (contenuto di grassi, proteine e carboidrati) e alle tecniche di preparazione (frittura, bollitura e così via). È ovvio che a seconda della combinazione alimentare sarà necessario un tempo digestivo diverso e ci saranno quindi combinazioni più impegnative di altre, ma il nostro apparato digerente risponderà comunque in maniera adeguata a patto che non si sovrappongano fattori negativi come gli eccessi in genere (grassi, quantità, alcol e così via). Bisogna poi tenere conto del momento in cui consumiamo un pasto: di norma è meglio evitare pasti abbondanti prima di uno sforzo intenso (come un allenamento), prima di coricarsi o di un’intensa attività intellettiva. Così come viene proposta, la teoria delle combinazioni alimentari è pressoché impraticabile.
Dieta HollywoodAltrimenti detta dieta della California o dieta della frutta, s’ispira a una moda alimentare pubblicizzata qualche anno fa e, a detta dei sostenitori, è famosa per essere stata adottata da alcune star di Hollywood. Nella versione più conosciuta e restrittiva consiste nel consumare pompelmo e succo di pompelmo per 48 ore, senza altro cibo. Nelle varianti più permissive si associano anche alimenti proteici.
Dieta metabolicaÈ un tipo di dieta che tenta di adattare alle singole persone le giuste quantità di carboidrati e proteine; in realtà non abbiamo ancora strumenti validi per fare una simile operazione di “nutrigenetica”.
Dieta South BeachDi moda negli Stati Uniti, è stata inventata dal dottor Arthur Agatston e privilegia un modello alimentare con ridotto apporto di carboidrati e elevato indice glicemico. In pratica: segui la dieta Atkins per due settimane e metti il tuo organismo in chetosi con rapida perdita di liquidi, poi ricomincia a introdurre cibi a basso indice glicemico ed ecco confezionata la dieta South Beach. La fame non viene controllata a lungo, non vi è un bilanciamento dei nutrienti e, mancando supporti psicologici, il fallimento è assicurato.
Dieta dell’astronautaSi tratta sostanzialmente di una variante della dieta Atkins, da cui differisce per una diminuzione dei grassi (nella dieta Atkins sono circa il 62%) e un aumento dei carboidrati (nella Atkins sono il 14%); tuttavia anche questi risultano comunque fortemente penalizzati e, in termini pratici, ciò corrisponde all’eliminazione pressoché completa di pane, pasta e cereali in genere.
Dieta ChenotSi ispira ai principi formalizzati da Henry Chenot (1943), secondo cui l’aumento di peso sarebbe provocato da uno squilibrio tra mente e corpo dovuto all’accumulo di tossine nell’organismo. Si tratta ovviamente di un principio anacronistico e non supportato scientificamente.
Dieta Beverly HillsFu messa a punto da Judy Mazel, che nel 1981 pubblicò in un libro i risultati della sua ricerca personale di una dieta che risolvesse i suoi problemi di sovrappeso. Una seconda edizione del libro (1997), tradotta in molte lingue, diede origine alla nuova dieta Beverly Hills, ovvero la New Beverly Hills Diet. Il regime alimentare proposto da Judy Mazel si basa sul principio secondo il quale, per assimilare correttamente il cibo, il corpo umano ha bisogno di alcuni enzimi, differenti a seconda dell’alimento.
Dieta ABCDEABCDE sta per Anabolic Burst Cycling of Diet and Exercise, ossia ciclo anabolico di dieta ed esercizio fisico. Questa dieta è stata inventata da Torbjon Akwrfeldt per aumentare l’anabolismo, è quindi dedicata a chi pratica body building e consiste nel seguire una dieta ipercalorica per due settimane e una ipocalorica per le successive due settimane. I risultati sono molto dubbi.
CronodietaPresuppone che gli alimenti siano più o meno assimilabili a seconda dell’ora del giorno, in base ai ritmi circadiani dell’organismo, per cui un piatto di pasta mangiato il mattino presto non verrà assimilato come durante il pranzo di mezzogiorno. È difficile dire se ci sia del vero in questa teoria, certo è che non è l’ora in cui viene consumato un dato alimento il vero problema che sottende l’obesità così diffusa nella società contemporanea.
Dieta dei gruppi sanguigniSi basa sul presupposto, assolutamente fantasioso, che le razze umane corrispondano ai principali gruppi sanguigni. Il gruppo 0 deriverebbe dai popoli primitivi cacciatori, gli appartenenti a tale gruppo beneficerebbero dunque di una dieta low-carb con molte proteine animali, di tipo paleolitico o crudista. Il gruppo A deriverebbe dai popoli agricoli, che dunque beneficerebbero di diete vegetariane strette e con molti carboidrati. Al gruppo B apparterrebbero i discendenti dei popoli pastorali nomadi, che sarebbero predisposti a una dieta ricca in latticini e povera in carboidrati. Il gruppo AB sarebbe un gruppo misto che beneficerebbe di diete latto-ovo-vegetariane. È facile intuire che questa teoria non ha alcun fondamento scientifico.
Dieta Montignac È l’ultima, in ordine di tempo, fra le diete alla moda, lanciata dal giornalista francese Michel Montignac; consiste nel limitare i carboidrati ad alto indice glicemico. È in pratica un regime iperproteico.
Dieta del minestroneÈ una dieta fondata su basi mediche in quanto è stata ideata per far perdere rapidamente peso ai malati che devono sottoporsi a un intervento chirurgico. Consiste nel mangiare per alcuni giorni solo pasti di un minestrone molto brodoso composto di cavoli e verdure varie. Non è assolutamente adatta a perdere peso in altre condizioni che non siano quelle strettamente preoperatorie e può essere seguita solo sotto stretta sorveglianza medica.
Dieta delle intolleranze alimentariÈ una delle più in voga e probabilmente la peggiore tra quelle create dalla diet industry. Anziché indagare sugli errori alimentari dei pazienti, i sostenitori di questo metodo propongono, attraverso test unanimemente giudicati inaffidabili nella diagnosi allergologica, quali il citotest o il test di Vega, l’eliminazione di consistenti gruppi di alimenti per favorire il dimagrimento, confondendo con disinvoltura la presunta intolleranza a un alimento con l’energia assunta o non bruciata. I test vengono eseguiti in genere in laboratori privati o, in alcuni casi, nel retrobottega delle farmacie da persone che si improvvisano diagnosti, e quindi con esercizio improprio della professione medica. Le conseguenze di queste diagnosi infondate sono fallimentari anche perché generano nella persona ansia, disorientamento e incapacità di gestire correttamente i pasti quando si torna alla normale alimentazione. Inoltre vi è un costo aggiuntivo per il Sistema sanitario nazionale che viene spesso sollecitato a eseguire ulteriori test di laboratorio e visite specialistiche, in assenza di sintomi o problemi clinici reali.
ZerodietOvvero la dieta che non c’è. Zerodiet è una società molto attiva che pubblicizza, attraverso un sito internet, un “rivoluzionario” metodo per dimagrire che si serve di due piccole calamite da posizionare sul padiglione auricolare. È evidente che questa proposta non ha il minimo valore scientifico.
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