Alimentazione
Diete di culture differenti
Diete accettabili
Dieta italianaÈ stata proposta nel 2003 da Roberto Albanesi, con lo scopo di definire in modo quantitativamente molto più preciso la dieta mediterranea. Si basa su 30 regole, un metodo di dimagrimento (detto appunto metodo Albanesi), un modello di cucina e l’invito a praticare attività fisica, come necessario complemento della sana alimentazione.
Dieta PritikinDetta anche high-carb (in contrapposizione alla Atkins), o ipolipidica, questa dieta tende a limitare fortemente l’apporto di grassi e a privilegiare i carboidrati. Questo modello dietetico gode di un certo prestigio nella scienza della nutrizione, come parametro di riferimento in tutte le ricerche sulle percentuali dei macronutrienti. Il Pritikin Eating Plan pone l’accento più che sui macronutrienti sul cibo salutare; è basso in grassi totali e sodio, ricco di cereali integrali, vitamine, minerali, fitoterapici, antiossidanti e fibre; contiene una quantità sufficiente di proteine e acidi grassi essenziali.
Dieta a zonaProposta da Barry Sears negli anni novanta, segue un complicato schema numerico per le calorie e i nutrienti introdotti a ogni pasto. Recentemente ne è stata elaborata una versione più vicina ai gusti europei e italiani in particolare (zona italiana).
Le regole della zona
- In ogni pasto si devono assumere le giuste proporzioni di carboidrati, proteine e grassi (il rapporto in calorie deve essere 40%-30%-30%).
- Tra un pasto e l’altro non devono trascorrere più di 5 ore. Se intercorre un tempo superiore bisogna fare uno spuntino. In questo modo la giornata prevede almeno 3 pasti principali e 2 spuntini.
- È necessario ridurre il più possibile il consumo di dolci, pane, pasta, riso e cereali raffinati ad alto indice glicemico, cioè forti stimolatori d’insulina.
- È necessario mangiare molta verdura e frutta a basso indice glicemico, cioè carboidrati che stimolano gradatamente l’insulina.
Il sistema dei blocchi. Il blocco è l’unità di misura del cibo. Ogni blocco è composto da 9 g di carboidrati, 7 g di proteine e 3 g di grassi. Il calcolo del numero di blocchi da assumere quotidianamente deve tenere conto della propria massa magra e del tipo di attività fisica svolta. Un paio di esempi:
- una casalinga o un’impiegata potrebbe assumere circa 11-12 blocchi suddivisi in: 3 blocchi a colazione, 3 blocchi a pranzo, 3 blocchi a cena, più 2 o 3 spuntini da 1 blocco ciascuno;
- uno sportivo maschio potrebbe assumere circa 18-20 blocchi suddivisi in: 4 blocchi a colazione, 5 blocchi a pranzo, 5 blocchi a cena, più 2 o 3 spuntini da 2 blocchi ciascuno.
I pregi della zona
- Viene data molta importanza all’infiammazione silente cioè a uno stato proinfiammatorio cronico e non manifesto favorito da un’alimentazione ipercalorica e carente di antiossidanti.
- È molto enfatizzato il ruolo degli acidi grassi polinsaturi (PUFA) di origine marina omega 3 nel contrastare questa infiammazione e in effetti la ricerca sull’argomento è molto attiva e ormai il ruolo di queste sostanze è sempre più rivalutato.
- Critica l’indiscriminato uso dei carboidrati, non arrivando però, come altre diete iperproteiche, a percentuali estremamente basse.
- Attua una ripartizione dei macronutrienti e un corretto frazionamento dei pasti nell’arco della giornata.
- Dà importanza al consumo di frutta e verdura, oltre che a una corretta idratazione.
Critiche o difetti della zona
- Non esistono studi validi, affidabili e indipendenti che confermino l’impianto scientifico di questo regime dietetico. Al contrario, diversi lavori affermano che le connessioni ipotizzate fra alimentazione, endocrinologia, metabolismo lipidico e fisiologia dell’esercizio fisico sono estremamente semplificate e, a volte, paradossali.
- L’eccesso di omega 3 riduce la naturale capacità antinfiammatoria e quindi i processi naturali di ringiovanimento e riparazione cellulare e di guarigione. A dosi elevate gli omega 3 aumentano il rischio di emorragie, specie se associati a farmaci come l’acido acetilsalicilico o gli anticoagulanti.
- I quantitativi di omega 3 consigliati sono oggi raggiungibili solo con supplementi farmacologici depurati da inquinanti dal momento che il pesce risulta sempre più contaminato da mercurio e altre sostanze tossiche.
- Per l’atleta la dieta a zona rischia di essere ipocalorica o, se adeguata per apporto calorico, iperproteica. Soprattutto per l’atleta di resistenza non sembra garantire ottimali livelli di glicogeno muscolare.
- Oltre alle considerazioni teoriche, come tutte le diete troppo basate su calcoli matematici da effettuare su ogni singolo pasto e non su tutte le calorie giornaliere, la zona può risultare macchinosa e difficile da seguire con la precisione richiesta.
- Importanti associazioni scientifiche (tra cui l’American Diabetic Association), pur considerando questa dieta in modo non del tutto negativo, l’hanno inserita tra quelle da sconsigliare, soprattutto se a lungo termine, perché iperproteica, quindi con una produzione elevata di scorie.
- L’esasperata commercializzazione della zona in Italia ha creato una linea dedicata.
Dieta ScarsdaleElaborata dal dottor Herman Tarnover, si basa su un programma molto specifico e strutturato, da seguire per 1-2 settimane esatte. Propone ananas a colazione (enzimi digestivi) e dolcificanti al posto dello zucchero, limita le calorie e riduce i carboidrati (non in maniera totale come la Atkins) privilegiando le proteine. Pur risalendo al 1979 è ancora ai primi posti tra le FAD diet, in quanto si propone come semplice, sicura e veloce. Permette certamente di perdere qualche chilo, ma solo di liquidi.
Dieta a puntiIdeata negli anni settanta dal dottor Guido Razzoli, si basa su una riduzione marcata dei carboidrati; a ogni 100 g di alimento viene assegnato un punteggio. Esistono varianti nel calcolo dei punteggi.
Vantaggi. Viene lasciata libertà di comporre il proprio menu giornaliero, rispettando il vincolo che la somma complessiva dei punti corrispondenti a quanto mangiato sia compreso tra 40 e 60. La persona non si sente in gabbia nelle scelte ma è comunque obbligata a pesare o misurare le porzioni. Può servire per iniziare un percorso di miglioramento educativo del proprio stile alimentare.
Dieta Weight Watchers (WW)Non si propone solo come dieta dimagrante, ma come modello di educazione alimentare. Probabilmente è l’unico approccio che si avvicina al nostro modo di intendere la corretta alimentazione, anche se come vedremo ha limiti che ne hanno determinato il parziale fallimento, tant’è che oggi non è di certo tra i metodi più seguiti dalla popolazione in sovrappeso. Nacque negli anni sessanta quando l’americana Jean Nidetch, che desiderava mettersi a dieta senza rinunciare ai piaceri del cibo, prese l’abitudine di riunirsi periodicamente con un gruppo di amiche che avevano lo stesso problema, per scambiarsi supporto tecnico e psicologico, opinioni e rimedi per combattere insieme la quotidiana lotta contro le calorie in eccesso. In seguito, la Nidetch si appoggiò a un gruppo di medici americani che elaborarono scientificamente la dieta, ma tenendo sempre in grande considerazione l’aspetto psicologico e il concetto dell’autoaiuto. Infatti, una delle caratteristiche che garantisce il successo di questa dieta è il senso di solidarietà ed emulazione del gruppo che vi partecipa, avviene cioè la stessa cosa che accade nei gruppi di autoaiuto finalizzati alla lotta contro le dipendenze. Durante le riunioni WW ognuno espone le proprie difficoltà, i propri successi e le proprie strategie. Il gruppo è moderato da esperti di alimentazione e di psicologia.
Come funziona? L’approccio WW è quello classico, proposto da sempre dalla maggior parte dei dietologi mediterranei: è una dieta ipocalorica di 1200-1300 kcal giornaliere, che si segue per un minimo di tre settimane e richiede la massima precisione nel seguire sia la lista degli alimenti proposti, sia il peso degli stessi, in ogni pasto. Vengono inoltre insegnati alcuni “trucchi” per controllare le calorie: usare un dolcificante al posto dello zucchero, non consumare pane fuori dai pasti, eliminare il grasso della carne prima della cottura, limitare il consumo di alcuni alimenti (per esempio non più di 4 uova o 120 g di formaggio la settimana), evitare il burro e i grassi di origine animale, cuocere gli alimenti con pentole speciali per la cucina dietetica, bere molta acqua. Il sito americano della WW propone uno schema alimentare flessibile (flex plan), basato su un certo numero di punti da cumulare per raggiungere il proprio target, e un modello alternativo (core plan) con una dieta “libera” e centrata su cibi molto sazianti.
Analisi critica. In teoria questo regime non presenta aspetti negativi; il suo fallimento è semplicemente dovuto al fatto che spesso non è perseguibile a lungo termine perché penalizza in modo eccessivo la qualità della vita di chi lo segue. Le finalità della dieta sono corrette (controllo delle calorie, proposta di un modello di cucina salutare), ma gli strumenti per raggiungere gli obiettivi sono sbagliati: il soggetto magari dimagrisce, ma non accetta di stare tutta la vita imbrigliato in un regime alimentare troppo poco soddisfacente. Vediamo in dettaglio alcuni motivi del fallimento:
- si punta troppo sulle calorie e poco sull’indice di sazietà;
- non si insegna a bruciare più calorie con lo sport, ma solo ad assumerne meno;
- si basa il controllo dell’alimentazione più sui consigli che su un reale acculturamento (il soggetto non ha una comprensione globale del problema, che gli dia la libertà necessaria per godere appieno del cibo, ma è sempre vincolato, per ogni alimento, da quantità massime da assumere);
- si basa su consigli ormai obsoleti e privi di beneficio (come bere molta acqua);
- il modello di cucina proposto è troppo legato ai canoni classici della cucina light, troppo attenta alle calorie e poco alla sazietà;
- conta molto sulla “terapia di gruppo”, è quindi difficile da seguire per chi non accetta di mettere in piazza le proprie debolezze.
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