Alimentazione
Educazione alimentare
Educazione alimentare a scuola come progetto educativo globale
Scrive Stefano Beccastrini nel suo libro Un rapporto cordiale e consapevole: idee per una buona educazione alimentare: «considerare l’educazione alimentare come educazione al benessere e al miglioramento della qualità della vita nel rapporto con il cibo significa avere una concezione assai più ampia e ricca (culturalmente ed esistenzialmente) di quella ancora oggi prevalente, tutta dietologica, prescrittiva e divietologica. L’obiettivo dell’educazione alimentare deve essere allora quello di aiutare le persone a cercare e trovare piacere, un piacere sobrio e controllato nel loro rapporto con l’alimentazione».
Ancora, Mervin Harris, uno dei più autorevoli e divertenti antropologi del nostro tempo, afferma che il bisogno di mangiare non è semplicemente un riflesso che riduce la sofferenza, come levare una mano da una stufa bollente, il cibo può essere anche fonte di meravigliose fragranze e di deliziosi sapori che soddisfano gli uomini quando mangiano.
Una pubblicazione che può fornirci spunti e riflessioni sull’arte di saper mangiare è Dire, fare, gustare: percorsi di educazione al gusto nella scuola, di Rossano Nistri (Slow Food Editore). Riportiamo di seguito in sintesi alcune delle informazioni contenute nel libro appena citato.
Molto spesso l’educazione alimentare esclude il fattore più importante tra quelli che legano l’uomo al suo nutrimento e cioè il principio del piacere, derivato dall’uso dei sensi, ma anche della scoperta di come viene prodotto un alimento, del manipolare le materie prime per creare ricette, dal gioco (pensiamo ai bambini) e dalla compagnia che a tavola diventa convivialità. Quindi è possibile educare, non solo i bambini e i ragazzi ma anche gli adulti, a seguire un regime alimentare sano ed equilibrato, scostandosi dall’approccio puramente nutrizionale (calorie, percentuali di nutrienti, grammi di alimenti) e affidandosi a un metodo induttivo, cioè partendo sempre dall’esperienza che ognuno di noi ha con il cibo. Di solito si mangia ciò che sollecita la propria salivazione: non è realistico pensare di convincere qualcuno a rifiutare un cibo solo perché gli dimostriamo scientificamente che non è salutare, così come non è possibile, al contrario, spingerlo ad accettare un altro alimento solo perché siamo in grado di garantirgli che giova alla salute. Molto spesso le tematiche nutrizionali vengono divulgate tramite discorsi astratti: si tratta di informazioni corrette e necessarie ma troppo lontane dalla logica e dai bisogni. Quando vediamo un piatto con una bella bistecca fumante veniamo colti dal suo profumo, dal suo sapore e dalla sua consistenza, e non dalle proteine e grassi che essa contiene. Il conteggio nutrizionale dei cibi rappresenta un’operazione fine a se stessa e non contribuisce (se non in casi eccezionali e particolari) a correggere le abitudini alimentari scorrette. Bisogna tener presente che il gusto di un cibo non è dato solo dal suo sapore o dal suo profumo, ma anche dalle modalità con cui viene «vissuto» e interpretato: si tratta del gusto di una cultura dettato dal tempo, dal territorio, dal popolo. La psicopedagogista Rosa Bianco Finocchiaro sostiene che il lavoro educativo non può percorrere la strada più breve, cioè quella della trasmissione di modelli corretti da seguire: deve cercare di creare condizioni per la scoperta e la costruzione di nuovi piaceri. Il piacere è un fatto individuale, mentre l’educazione, e soprattutto la scuola, sono fatti collettivi. Ogni bambino deve avere un’occasione di trovare se stesso in percorsi di gruppo, di difendere le proprie differenze e individualità pur nell’adozione di comportamenti sociali. Le attività che vengono proposte ai bambini e ai ragazzi hanno l’obiettivo di favorire l’apprendimento a diversi livelli, privilegiando la circolarità fra la dimensione del fare, quella del sapere e quella del piacere. Il rapporto con il cibo è complesso, intimo, quotidiano, si scopre denso di significati simbolici e psicologici, richiama le radici del piacere e dell’identità, si definisce all’interno di una cultura, muovendo il senso dell’appartenenza; ha a che fare con l’immagine di sé e il difficile confronto con i modelli sociali vincenti, si misura con una ricca offerta di consumi, con strutture e comportamenti sociali nuovi che cambiano in continuazione. Alla base di qualsiasi approccio culturale sull’argomento vi è il legame tra alimentazione e inconscio: ognuno di noi ha un rapporto complesso con il cibo, costruito su una lunga evoluzione psicologica e culturale, affondata in radici primordiali, definite fin dal primo incontro con il seno materno. È per questo che una corretta educazione alimentare non può diventare un facile sunto di prescrizioni e regole: se siamo ciò che mangiamo, ogni trasformazione nel modo di alimentarsi non può che partire da un cambiamento d’identità. Il compito della scuola non è quindi quello di addestrare o ammaestrare i ragazzi a un’alimentazione sana e corretta ma, piuttosto, di accompagnarli nella conquista di un atteggiamento esistenziale necessariamente individuale, che consenta loro di capire, di scegliere, di trovare la propria strada e il proprio benessere a tavola. Un intervento di educazione alimentare diventa, quindi, un progetto educativo globale, diretto alla maturazione complessiva dell’individuo e coinvolge tutta la comunità; tiene conto delle abitudini alimentari della popolazione scolastica, nel suo contesto familiare, territoriale, culturale. Non può ridursi a una serie di facili ricette, ma deve toccare la crescita personale e di gruppo dei soggetti coinvolti, essere dunque su misura e consistere nel rendere sempre più ricco culturalmente il rapporto tra persone (in particolare i giovani) e il cibo.
Nel mondo contemporaneo i bambini imparano soprattutto fuori dalla scuola: raccolgono informazioni, quasi sempre in maniera inconsapevole, e si trovano a dover mediare le nozioni apprese a scuola con il senso comune dei propri genitori (a loro volta influenzati da conoscenze non sempre corrette), con il bombardamento pubblicitario e con modelli che formano i desideri in fatto di alimentazione.
Educare gli alunni significa affrontare in modo costruttivo i bisogni anche inconsapevoli o non dichiarati. Occorre allora ideare, progettare e condivide con i ragazzi i percorsi di insegnamento e apprendimento: la pedagogia della salute è una pedagogia dell’essere e del fare, non soltanto del sapere.
Il tema dell’alimentazione può pertanto aiutare a promuovere nei ragazzi:
- l’acquisizione di un diverso e più ricco approccio alle discipline tradizionali, dalla storia alla geografia, dalla letteratura all’arte e così via;
- la formazione della propria identità di cittadini/consumatori e la capacità di sviluppare il piacere gastronomico e il gusto della convivialità;
- un processo efficace di conoscenza e comprensione del proprio ambiente naturale sociale e culturale;
- la partecipazione a un insieme di utili momenti di esperienza interculturale, per imparare a comunicare attraverso l’apprezzamento di abitudini di vita proprie di etnie diverse dalla nostra e caratterizzate da diverse abitudini alimentari, tutte da scoprire.
In conclusione, è importante basare l’azione educativa su due strumenti indispensabili: la conoscenza e la capacità di comprensione, che permette di elaborare le informazioni e di tramutarle in comportamenti.
C’è bisogno di un’educazione che sappia misurarsi con la complessità culturale del fenomeno cibo e che miri a farlo conoscere e apprezzare. Ecco che allora la storia, la coltivazione, le tradizioni culturali, le caratteristiche nutrizionali ma anche la preparazione, la manipolazione e l’assaggio possono sicuramente aiutare giovani e adulti a superare le abitudini spesso omologate e mediate da pregiudizi e tabù, non solo della famiglia e della società di riferimento, ma anche dei mezzi di comunicazione di massa.
Tutte pratiche che in definitiva possono aiutarci a divenire consumatori critici, ma anche aperti al piacere e alle scoperte di nuove esperienze gastronomiche.
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