Alimentazione
Educazione alimentare
Storia dei consumi alimentari in Italia
Nel XIX secolo gran parte della popolazione italiana si alimentava poveramente, faticando spesso a raggiungere i livelli minimi di sussistenza. I contadini, in particolare, seguivano un’alimentazione esclusivamente a base di pane, focacce e polenta; il riso era consumato solo nelle zone di coltivazione: tutti alimenti che saziavano ma che predisponevano ad alcune malattie (tipo la pellagra) dovute a carenza di nutrienti. Il consumo della pasta era limitato ai centri cittadini più grandi, dove la gente aveva un tenore di vita più elevato. A questi cereali si aggiungevano i legumi (per lo più fagioli e fave) e le verdure (soprattutto verza e cavolo). Intorno alla metà dell’Ottocento, entrò a far parte in modo stabile nell’alimentazione italiana anche la patata. La carne, rappresentata soprattutto da animali da cortile e dal maiale, di cui si utilizzava ogni parte, arricchiva la tavola assai di rado e solo in occasioni di feste o di malattie. Anche latte, formaggi e uova non erano spesso presenti nella dieta dei contadini e venivano destinati alla vendita o alla famiglia del proprietario terriero.
Con il passare degli anni e il miglioramento delle condizioni economiche, crebbe la qualità dell’alimentazione. Il fenomeno storico più importante degli ultimi tre secoli nella storia dell’Europa, quindi anche dell’Italia, è rappresentato dalla rivoluzione industriale a cui si deve il superamento di uno spettro millenario: quello della fame.
Agli inizi XX secolo, soprattutto per chi viveva in città o era impiegato nell’industria, fu possibile il passaggio da un regime alimentare imperniato sul consumo di cereali, a uno in cui le proteine e i grassi erano forniti in misura cospicua da cibi animali. Gravi problemi di insufficienza nutrizionale permanevano invece per la classe contadina, soprattutto nelle regioni dell’Italia meridionali, che restavano le più povere e arretrate. La maggior parte della popolazione mangiava ancora più per sfamarsi che per nutrirsi.
Gli anni della Prima guerra mondiale e quelli dell’immediato dopoguerra furono molto difficili e la ripresa economica fu lenta e interessò soprattutto le regioni settentrionali, dove si ebbe un graduale miglioramento dei consumi alimentari. Con la Seconda guerra mondiale l’economia italiana visse un nuovo periodo nero, caratterizzato da povertà diffusa. La volontà di rinascita fu però tenace e così, negli anni cinquanta, la crescita industriale ed economica sub« una forte accelerazione; aumentò sensibilmente il reddito procapite e il modo di mangiare cambiò in modo radicale quantitativamente e qualitativamente. In particolare, iniziò una continua crescita del consumo di alcuni alimenti considerati pregiati, soprattutto carni, ma anche latte, formaggi e altri prodotti di derivazione animale.
Per quanto riguarda gli alimenti vegetali, a fronte di un aumento rilevante del consumo di prodotti ortofrutticoli, di grassi da condimento e di zucchero, si assistette di contro a una diminuzione del consumo di legumi secchi e cereali minori.
L’aumento del consumo di carne è proseguito sino alla fine degli anni ottanta, quando hanno cominciato a delinearsi diete con prevalenza di cibi vegetali, tendenze salutiste (in relazione soprattutto alla necessità di tenere sotto controllo la percentuale di colesterolo del sangue) o eventi legati a scandali alimentari (mucca pazza, pollo alla diossina).
Dagli anni novanta in poi, oltre a essere cambiato il reddito degli italiani e il conseguente potere d’acquisto, si è trasformato sensibilmente anche lo stile di vita. L’esodo dalle campagne, l’urbanizzazione e le mutazioni socio-economiche e demografiche, sommate a una forte diminuzione dei lavori pesanti, hanno prodotto una riduzione del fabbisogno calorico giornaliero, con conseguente modifica delle abitudini alimentari e dello stile di vita.
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