La rettocolite ulcerosa fa parte malattie infiammatorie croniche intestinali, denominate anche con le sigle MICI o IBD (dall’acronimo inglese Inflammatory Bowel Diseases). Si tratta di malattie la cui causa non è completamente nota e che colpiscono l’intestino determinando degli episodi ricorrenti di infiammazione. Attualmente si ritiene che lo sviluppo di queste patologie dipenda da molteplici fattori, tra i quali una predisposizione genetica, delle particolari condizioni del sistema immunitario, la dieta e l’ambiente esterno, le caratteristiche psicologiche dell’individuo e lo stress, delle alterazioni della flora batterica intestinale. In particolare, si ritiene che negli individui predisposti a sviluppare queste malattie, dopo un episodio infiammatorio acuto (determinato per esempio da un’infezione), non si verifichi, come accade di solito, lo spegnimento della risposta infiammatoria, ma si abbia invece una sua persistenza e cronicizzazione. Un ruolo chiave viene oggi attribuito agli squilibri nella flora batterica intestinale, anche se i tipi di batteri coinvolti devono ancora essere completamente definiti; questo aspetto trova comunque un corrispettivo nell’ampio impiego degli antibiotici e dei fermenti lattici nella terapia delle IBD. È già noto da tempo, infine, che nel 10-20% dei casi è presente un altro individuo affetto nella stessa famiglia e che il rischio di sviluppare una IBD per un parente di primo grado di un paziente affetto è anche di 10 volte superiore rispetto a quello della popolazione generale.
Esistono due principali tipi di IBD: la già citata rettocolite ulcerosa (RCU) e la malattia di Crohn. La malattia di Crohn può interessare qualunque tratto del tubo digerente, dalla bocca fino all’ano, mentre la RCU interessa sempre il retto e i alcuni casi anche altri tratti del colon, ma non si estende mai all’intestino tenue, allo stomaco o all’esofago. In alcuni casi di IBD localizzata al colon non è possibile porre una diagnosi definitiva di RCU o malattia di Crohn e si parla pertanto di “colite indeterminata”.
Le IBD sono particolarmente diffuse nel nord America e nel nord Europa e si stima che in Italia ne siano colpiti circa 100.000 individui. Esse possono insorgere a qualunque età, ma più frequentemente tra i 20 e i 40 anni. Queste malattie presentano un andamento tipico, con periodi di riacutizzazione e riattivazione alternati a periodi di spegnimento e quiescenza. La gravità delle manifestazioni cliniche è molto variabile da un paziente all’altro: in alcuni pazienti i periodi di riacutizzazione sono piuttosto distanziati tra loro e non particolarmente intensi, in altri essi sono severi e ravvicinati, con necessità di terapie farmacologiche importanti e talvolta anche di interventi chirurgici. Sono possibili inoltre della manifestazioni di queste malattie al di fuori dell’intestino ed esistono alcune patologie di altri organi frequentemente associate con le IBD. Nel complesso, la qualità di vita di un paziente affettoda queste malattie può essere buona in alcuni casi, avvicinandosi alla normalità, ma anche molto compromessa in altri.
Segni e sintomi
Le principali manifestazioni cliniche delle IBD sono la diarrea, il dolore addominale e l’emissione di sangue con le evacuazioni. A questi sintomi si possono accompagnare la febbre, la riduzione dell’appetito, la diminuzione di peso e svariati disturbi che dipendono da eventuali manifestazioni extraintestinali o malattie associate che colpiscono altri organi. Nei pazienti affetti si verificano inoltre talora delle alterazioni degli esami di laboratorio (ed eventualmente anche dei sintomi) che dipendono da un ridotto assorbimento di alcuni nutrienti (per esempio il ferro, le proteine, alcune vitamine).
Diagnosi
La diagnosi di IBD si basa sugli esami endoscopici (in particolare colonscopia, enteroscopia e videocapsula), accompagnati dal prelievo di campioni del rivestimento interno dell’intestino e dalla loro analisi anatomopatologica, sugli esami radiologici (in particolare l’ecografia intestinale, il clisma del tenue e la tomografia computerizzata o la risonanza magnetica intestinali) e sugli esami ematochimici effettuati su un prelievo di sangue. Tra questi ultimi sono particolarmente utili l’emocromo (che può evidenziare un’eventuale anemia o l’aumento dei globuli bianchi, che costituisce un indice di infiammazione), il dosaggio del ferro e della ferritina (che consentono di valutare eventuali riduzioni nella quantità di ferro presente nell’organismo), gli indici infiammatori (come la velocità di eritrosedimentazione, VES, la proteina C reattiva, PCR e l’alfa1-glicoproteina acida) e gli indici nutrizionali (in particolare il dosaggio della vitamina B12, dell’acido folico e dell’albumina). Questi esami servono sia per la diagnosi iniziale sia per i controlli periodici nei pazienti affetti.
Terapia
Le IBD sono delle malattie croniche, che tendono a durare per tutta la vita. Le attuali terapie disponibili non sono quindi in grado di curare definitivamente queste patologie, ma possono alleviare le riacutizzazioni e renderle meno frequenti. I farmaci più comunemente impiegati comprendono degli antinfiammatori intestinali (tra i quali la mesalazina e vari tipi di cortisonici), degli immunosoppressori (come lo stesso cortisone, l’azatioprina, la ciclosporina, la 6-mercaptopurina e il metotrexate), dei cosiddetti farmaci biologici (come l’infliximab). Vengono poi variamente utilizzati antibiotici intestinali, fermenti lattici, alcuni antidiarroici, supplementazioni di ferro e vitamine. In alcuni casi, se la terapia medica non è sufficiente, è necessario asportare chirurgicamente la porzione malata di intestino. È importante che sia la terapia farmacologica sia quella chirurgica siano effettuate da medici esperti nella cura di queste malattie, se possibile con una lavoro di equipe.
Malattia di Crohn
Come già accennato, la malattia di Crohn è una patologia infiammatoria cronica che può colpire tutto il tratto digerente in maniera segmentaria (cioè con zone affette alternate a zone risparmiate) con l’interessamento di tutta la parete dei visceri. Per quest’ultima caratteristica la malattia di Crohn può determinare delle complicanze come stenosi (cioè restringimenti del lume), ascessi (cioè raccolte di materiale purulento) e fistole (cioè dei tramiti di collegamento tra il tubo digerente e gli organi vicini oppure con la superficie cutanea). Queste complicanze si verificano nel 30% circa dei pazienti. La malattia colpisce per lo più l’ultimo tratto di ileo (ovvero la parte di intestino tenue posta subito prima dell’intestino crasso) oppure il colon, mentre i segmenti superiori del tubo digerente (quindi l’esofago, lo stomaco, il duodeno e il digiuno) vengono colpiti solo in una minoranza di casi.
L’andamento clinico della malattia è caratteristico, con periodi di riacutizzazione dei disturbi alternati a periodi di relativa tranquillità, detti di remissione. Le manifestazioni cliniche sono molto variabili e comprendono la diarrea (anche con sangue visibile), il dolore addominale, la febbre, i segni e i sintomi dell’ostruzione intestinale. I tratti di intestino colpiti si presentano infiammati con arrossamento, gonfiore, formazione di afte e ulcere. Talora si ha lo sviluppo delle complicanze già riportate sopra (stenosi, ascessi, fistole). In alcuni pazienti la malattia colpisce soprattutto la regione perianale, con la formazione di ascessi o fistole vaginali, vescicali o cutanee.
Molti pazienti con malattia di Crohn possono essere trattati con farmaci per via orale e necessitano solo di visite ambulatoriali e controlli periodici degli esami del sangue e di alcuni esami strumentali (come la colonscopia o l’ecografia intestinale). In altri pazienti la malattia può presentare in alcuni momenti delle manifestazioni molto severe (come per esempio la febbre alta, l’ostruzione intestinale, la perdita importante di peso) che richiedono un trattamento, talvolta anche urgente e di tipo chirurgico, in ospedale.
I farmaci più comunemente utilizzati nei periodi di maggiore attività della malattia comprendono essenzialmente alcuni tipi di steroidi (cioé dei cortisonici), che devono essere utilizzati a dosi medio-alte, con una successiva riduzione lenta del dosaggio nell’arco di qualche mese. Gli steroidi non possono però essere assunti a dosaggi elevati per tempi lunghi perché presentano degli effetti collaterali anche importanti (per esempio il diabete). In alcuni casi si può verificare inoltre una resistenza agli steroidi (che diventano inefficaci) oppure una dipendenza da essi (con l’impossibilità a ridurre il dosaggio o sospendere questi farmaci senza che ricompaiano i sintomi). Sono oggi disponibili anche degli steroidi poco assorbibili (come per esempio la budesonide), che agiscono soprattutto nell’intestino e presentano meno effetti collaterali degli steroidi classici, potendo essere quindi utilizzati anche per tempi prolungati. Per ridurre la frequenza e la gravità degli episodi di riacutizzazione è necessaria l’assunzione di una terapia di mantenimento anche nei periodi di remissione. Questa può essere effettuata con degli antinfiammatori specifici per l’intestino (come la mesalazina), con gli steroidi poco assorbibili, con degli immunosoppressori (come l’azatioprina, la 6-mercaptopurina, il metotrexate). Questi ultimi possono essere utilizzati anche nei casi di resistenza o dipendenza dagli steroidi. In caso di malattia grave che risponde poco agli altri trattamenti possono essere utilizzati anche i cosiddetti farmaci biologici (che necessitano di una somministrazione periodica per via endovenosa in regime di Day Hospital) come l’infliximab. Come già accennato sopra, in alcuni casi è necessario un trattamento chirurgico, che può consistere nella resezione del tratto malato di intestino, nella rimozione di ascessi oppure nella cura delle fistole. Anche la terapia chirurgica, tuttavia, non è definitiva, nel senso che la malattia tende a ripresentarsi successivamente in altri tratti di intestino; nello stesso paziente possono essere necessari quindi anche più interventi nel corso della vita e in rari casi si può anche arrivare ad avere un intestino troppo corto per le necessità dell’organismo, con la comparsa di sintomi molto severi di ridotto assorbimento delle sostanze nutritive. È importante, quindi, che eventuali interventi chirurgici sino effettuati solo se necessari, dopo un’attenta valutazione e da parte di chirurghi esperti, in modo da asportare il tratto più corto possibile di intestino.
Rettocolite ulcerosa (RCU)
La RCU è una malattia infiammatoria che colpisce solo il grosso intestino (quindi il colon, il sigma e il retto). Contrariamente alla malattia di Crohn essa non interessa tutto lo spessore della parete intestinale, ma solo il rivestimento interno (cioè la mucosa). La RCU interessa sempre il retto (proctite) e può poi estendersi in maniera continua (cioè senza zone risparmiate dalla malattia) al resto dell’intestino crasso fino a vari livelli (quando vengono colpiti completamente anche il sigma e il colon si parla di pancolite). In rari casi può essere presente anche un’infiammazione dell’ultimo tratto di intestino tenue (cosiddetta ileite da reflusso), che può rendere difficoltosa la differenziazione dalla malattia di Crohn. Il tratto di intestino colpito può presentare delle alterazioni molto lievi (come la scomparsa del reticolo vascolare, il gonfiore o l’arrossamento) oppure più importanti (come delle escoriazioni o ulcerazioni, talora anche molto estese e attivamente sanguinanti).
Il sintomo caratteristico della RCU è la diarrea ematica, cioè contenente delle quantità anche molto rilevanti di sangue. Si può verificare anche l’emissione di muco o pus, mentre è rara l’occlusione intestinale. Nei casi più severi si manifestano anche febbre, anemia, tachicardia. In rari casi si può anche verificare una complicanza molto severa denominata megacolon tossico, che rappresenta una vera e propria emergenza.
La terapia della RCU si avvale degli antinfiammatori come la mesalazina (che può essere utilizzata sia per il mantenimento sia per le riacutizzazioni lievi o moderate), degli steroidi (che vengono utilizzati, in maniera analoga a quanto riportato per la malattia di Crohn, per le riacutizzazioni severe), degli immunosoppressori (come l’azatioprina, la 6-mercaptopurina o la ciclosporina), di farmaci biologici come l’infliximab (in caso di resistenza o dipendenza dagli steroidi). Esistono anche formulazioni topiche (supposte, clismi, schiume) della mesalazina e degli steroidi, che vengono applicate per via anale e che si rivelano particolarmente utili in caso di malattia limitata agli ultimi tratti dell’intestino crasso. La terapia chirurgica, se necessaria, consiste nella proctocolectomia totale, con l’asportazione di tutto il colon, del sigma e del retto e il confezionamento di un collegamento (anastomosi) tra l’intestino tenue e l’ano. In genere è necessario collegare temporaneamente l’intestino tenue con la parete addominale per evitare il transito delle feci e consentire quindi all’anastomosi di cicatrizzare completamente; questo collegamento (denominato stomia cutanea) viene poi rimosso con un piccolo intervento chirurgico dopo qualche mese e viene così ricostituito un normale transito intestinale (vedi la Fig. 1). Nel caso della RCU la terapia chirurgica è curativa, perché rimuove completamente la parte di intestino che può essere colpita dalla malattia. [??]