La malaria, malattia causata da un protozoo del genere Plasmodium, trasmesso da una zanzara del genere Anopheles, colpisce secondo alcune stime circa 300-500 milioni di persone ogni anno e provoca più di 2 milioni di decessi, soprattutto tra i bambini al di sotto dei 5 anni e le donne gravide. L’Africa, in particolare le regioni subsahariane, è il continente più colpito ma, a causa dell’aumento dei viaggi verso i paesi della fascia tropicale, i casi di malaria sono aumentati anche nei paesi dell’Europa e del Nord America. Benché sia una malattia molto grave e pericolosa, la malaria può essere prevenuta ed efficacemente curata con una diagnosi tempestiva e un trattamento appropriato.
Le specie di plasmodi in grado di causare la malaria nell’uomo sono quattro: Plasmodium falciparum, Plasmodium vivax, Plasmodium ovale e Plasmodium malariae; il primo è il più pericoloso in quanto può causare infezioni letali.
La malaria, una storia molto lunga
La malaria è nota da oltre 4000 anni e da sempre ha condizionato le attività umane, determinando per certi versi la stessa storia dell’umanità: è menzionata infatti in manoscritti antichi dei popoli Cinesi, Indiani, Egizi, Romani. I suoi sintomi erano già riportati negli antichi scritti cinesi del Nei Ching, il canone cinese di medicina risalente al 2700 a.C. Testi sumerici ed egizi, 3500-4000 anni fa, riportano casi di febbre e ingrandimento della milza (splenomegalia) ed epidemie di febbre mortale, mentre nell’antica Grecia la malattia, ben conosciuta, fu descritta da Ippocrate con la distinzione tra febbri intermittenti, terzane e quartane.
Anche la relazione tra malattia, ambiente e insetti è stata oggetto di speculazioni fin dall’antichità. Il nome stesso, utilizzato anche in lingua inglese, deriva da “mal’aria”, in quanto da sempre la presenza della malattia è stata associata alle condizioni dell’ambiente e alla presenza degli insetti: per esempio, nel trattato sanscrito di medicina (il Susruta), la malaria veniva attribuita alla puntura di insetti.
Nell’antica Roma la malattia era associata alle paludi e perciò era chiamata febbre palustre (analogamente, il francese usa il termine paludisme). Marco Terenzio Varo, nel De re rustica, segnala il pericolo che deriva dal vivere nei pressi delle paludi; Giovanni Maria Lancisi nel 1717 pubblicò un trattato sulle febbri palustri segnalando come queste siano la conseguenza di un veleno trasmesso dagli insetti.
Sono tante le personalità del mondo dell’arte e della politica che sono decedute per la malattia (Dante, Cromwell, Lord Byron, i papi Leone X e Sisto V, Carlo V e altri ancora), o che hanno sofferto attacchi di malaria (Washington, Monroe, Jackson, Grant, Lincoln, Roosevelt, Kennedy, Cristoforo Colombo, Cesare Borgia, Nelson, Mahatma Gandhi, Trotsky, Hemingway, Ho Chi Minh e tanti altri).
La scoperta del plasmodio si deve a Laveran, medico dell’armata francese che per primo, nel 1880, riconobbe i parassiti nel sangue di un paziente a Constantine, in Algeria.
Molti studiosi italiani hanno legato il proprio nome a importantissime scoperte in questo campo: Marchiafava e Celli approfondirono le osservazioni di Laveran, descrissero gli stadi di sviluppo del parassita nell’uomo e diedero il nome di Plasmodium al protozoo; Golgi negli anni 1895-96 dimostrò la relazione tra il ciclico sviluppo del plasmodio nel sangue e le caratteristiche periodiche successioni di febbri parossistiche, deducendo che la malaria terzana e quartana dovevano avere due cause distinte. Ancora a Marchiafava, Bignami, Bastianelli e Celli si deve la scoperta del Plasmodium falciparum. Le scoperte sulle modalità di trasmissione del parassita videro gli scienziati italiani in primo piano; accanto a Patrick Manson (il padre della medicina tropicale) e a Ronald Ross, che nel 1898 documentò la trasmissione da parte delle zanzare Culex della malaria aviaria, nello stesso anno Giovanni Battista Grassi, Amico Bignami e Giuseppe Bastianelli dimostrarono lo specifico ruolo della zanzara Anopheles come vettore della trasmissione e descrissero il ciclo della malattia umana.
Anche i tentativi di cura risalgono a tempi antichi. Nel 340 le proprietà antifebbrili della pianta del Qinghao (Artemisia annua) furono descritte da Ge Hong, un ufficiale della dinastia Yin dell’Est. Il principio attivo, l’artemesinina, venne identificato soltanto nel 1971 in Cina; nel 1979 vennero pubblicati i risultati delle prime sperimentazione nell’uomo e da allora sono stati estratti molti derivati, che costituiscono oggi la più efficace arma nella cura della malattia.
Leggendaria è invece la scoperta dell’altro rimedio fondamentale per la cura della malaria, il chinino. Si sa che, nel corso del XVII secolo, i nativi peruviani fecero conoscere ai coloni spagnoli e in particolare ai missionari gesuiti l’uso della corteccia dell’albero della Chincona come rimedio per le febbri: il primo scritto che ne indica le virtù curative risale infatti al 1630. Secondo una leggenda, fu con questa corteccia che venne curata la Contessa di Chincòn e moglie del vicerè del Perù, Señora Ana de Osorio, per questo la corteccia venne chiamata corteccia del Perù e l’albero Cinchona (Cinchona officinalis). In Europa i primi a studiare e utilizzare l’estratto della corteccia furono i gesuiti e in particolare Barnabé de Cobo, che la portò in Europa nel 1632, e Juan de Lugo, che per primo ne utilizzò la tintura.
La sostanza attiva, il chinino, venne estratta dai farmacisti francesi Pelletier e Caventou nel 1817; i due studiosi rifiutarono compensi e, invece di brevettare la loro scoperta, pubblicarono il processo di estrazione in modo che chiunque potesse prepararlo. Il chinino è stato per molti anni ed è tuttora uno dei più efficaci rimedi contro la malattia.
Distribuzione geografica
La distribuzione mondiale dipende soprattutto dalla temperatura, dall’umidità e dalle piogge: la malaria attualmente è diffusa in tutte quelle regioni tropicali e subtropicali del pianeta in cui la zanzara del genere Anopheles, che trasmette l’infezione, può sopravvivere e moltiplicarsi e dove i parassiti possono completare il complesso ciclo di sviluppo che li caratterizza. La malaria è presente non solo in gran parte delle regioni comprese tra i due tropici, ma anche in alcune aree a clima temperato-continentale come la Turchia e alcune repubbliche centroasiatiche dell’ex Unione Sovietica. La frequenza della malattia non è omogenea in tutte le regioni, quindi la distribuzione delle quattro specie di plasmodi è molto varia; anche all’interno dei singoli Paesi esistono aree in cui la trasmissione della malattia è elevata e altre in cui è sporadica, stagionale o assente. Circa il 90% dei casi di malaria si verifica nell’Africa intertropicale, dove la trasmissione è uniformemente diffusa in aree urbane e rurali e nelle diverse epoche dell’anno (fatta eccezione per i paesi agli estremi settentrionali e meridionali); le sole aree del continente africano intertropicale che possono essere considerate indenni sono quelle sopra i 2000 m di altitudine. Al contrario, nelle aree dell’America meridionale e dell’Asia dove la malattia è sempre presente la trasmissione è molto irregolare, talora stagionale, e sono sovente indenni le aree urbane e le principali stazioni turistiche. Il Plasmodium falciparum prevale in Africa, mentre negli altri continenti la distribuzione delle diverse specie del plasmodio è meno omogenea.
Il ciclo vitale del plasmodio
I parassiti malarici hanno un ciclo vitale molto complesso, che si svolge in due ospiti: uomo e zanzara. L’infezione è trasmessa all’uomo solo dalla femmina della zanzara Anopheles. Per poter sviluppare le uova le zanzare devono nutrirsi di sangue ed è in occasione di questi “pasti” che la zanzara inocula i parassiti contenuti nelle ghiandole salivari. Esistono circa 430 specie di Anopheles, ma soltanto 30-50 sono in grado di fungere da vettori della malattia. Dopo l’inoculazione da parte della zanzara in forma di sporozoiti, i plasmodi raggiungono il fegato in circa mezz’ora e vi si moltiplicano (periodo senza sintomi definito di incubazione, variabile secondo le specie tra 7 e 30 giorni).
Quando il parassita ha completato il proprio sviluppo nelle cellule epatiche (da un singolo sporozoita possono nascere fino a 20.000 merozoiti), entra nel circolo sanguigno e penetra nei globuli rossi: qui inizia il proprio sviluppo dallo stadio detto di trofozoita (la fase più giovane) a quello detto di schizonte (il parassita più maturo). Completato lo sviluppo nel globulo rosso, il parassita ne esce distruggendolo e parassitando nuovi eritrociti: si rinnova così il ciclo, che dura in media 48 ore nei plasmodi falciparum, vivax e ovale e 72 ore nel Plasmodium malariae. Alcuni trofozoiti si trasformano in gametociti, che sono in grado di infettare la zanzara durante il suo “pasto” di sangue e moltiplicarsi al suo interno fino a raggiungere lo stadio di sporozoiti nelle ghiandole salivari da cui, in occasione di un nuovo pasto di sangue sull’uomo, ricomincia il ciclo. Contrariamente all’uomo, la zanzara non subisce danni dalla presenza del parassita.
Segni e sintomi
Dopo il periodo di incubazione nel fegato, i plasmodi raggiungono i globuli rossi e ha inizio la fase di malattia sintomatica: questa esordisce in modo brusco e decorre come una febbre continua, il più delle volte molto elevata (oltre i 38,5 °C) e accompagnata da cefalea, brividi, nausea e vomito, dolori muscolari, grave stato di prostrazione e malessere. L’attacco malarico viene tradizionalmente distinto in tre fasi precise: fase dei brividi scuotenti, fase della febbre con cefalea, fase di sudorazioni profuse e benessere; gli accessi si verificano ogni 48 ore (malaria terzana, da plasmodi falciparum, ovale e vivax) e ogni 72 ore (malaria quartana, da Plasmodium malariae). Questo quadro clinico è nella realtà inusuale e corrisponde soprattutto alle recidive malariche da plasmodi falciparum, ovale e vivax. L’infezione da plasmodi del primo tipo non si manifesta quasi mai con andamento ciclico di terzana e, seppure raramente (0,6-3,8% dei casi), può essere fatale se non trattata efficacemente. Questo genere di malaria può assumere caratteristiche cliniche di estrema gravità e, nella sua forma definita severa (o complicata), è caratterizzata da alterazioni della coscienza, convulsioni, coma (malaria cerebrale), grave anemia, insufficienza renale, scompenso cardiaco con edema polmonare, emorragie da anomalie della coagulazione e da piastrinopenia (basso numero di piastrine circolanti), acidosi metabolica, ipoglicemia, shock cardiovascolare. La morte è dovuta al fatto che i globuli rossi infettati ostruiscono i piccoli capillari danneggiando organi vitali quali cervello, reni, cuore e fegato.
I sintomi della malaria possono avere intensità variabile in conseguenza di fattori quali la specie di plasmodio o il grado di immunità: nei Paesi dove la malattia è altamente presente, la popolazione acquisisce un certo grado di immunità e gli adulti portatori del parassita nel sangue possono essere asintomatici. La malaria grave, al contrario, si manifesta soprattutto nelle persone che non hanno sviluppato immunità: bambini, donne incinte e viaggiatori provenienti da Paesi indenni dalla malattia. La malaria deve essere sempre considerata un’emergenza clinica e richiede un trattamento d’urgenza aggressivo. Come già accennato, nel corso delle infezioni da Plasmodium vivax e Plasmodium ovale i pazienti che hanno superato il primo episodio possono soffrire di recidive mesi o anni dopo il primo episodio: questo avviene perché i due plasmodi hanno forme dormienti nel fegato (i cosiddetti ipnozoiti) che possono riattivarsi a distanza di tempo; esistono comunque trattamenti che possono ridurre o quasi annullare questo rischio.
Diagnosi
La diagnosi precoce e un successivo trattamento tempestivo sono misure fondamentali. Il solo mezzo per confermare la diagnosi di malaria consiste nell’osservare al microscopio il parassita nel sangue, ricorrendo ai cosiddetti esami dello striscio e della goccia spessa, ma sono attualmente disponibili anche nuovi test (dipstick-test), simili a quelli che si utilizzano per la determinazione della glicemia, che consentono di diagnosticare l’infezione mediante cartine; l’esame al microscopio rimane tuttavia il test di riferimento.
Trattamento
Una terapia ben condotta è in grado di ridurre la durata della malattia e prevenire eventuali complicazioni gravi. I farmaci antimalarici, scoperti prima ancora di conoscere la causa della malattia dai Cinesi e dalle popolazioni andine, sono tuttora in uso: derivati dell’artemesinina e del chinino (oltre ad alcuni farmaci di sintesi come la meflochina o l’atovaquone/proguanile), che rimangono al momento i soli efficaci antimalarici conosciuti. Purtroppo, come avvenuto per gli antibiotici, anche i plasmodi hanno sviluppato resistenze ai chemioterapici: per questo la prescrizione del trattamento più corretto richiede la conoscenza della distribuzione geografica delle resistenze. [P.C.]