Primo Soccorso
Situazioni dolorose
Mal di schiena (lombalgia)
Nei Paesi occidentali la lombalgia, più comunemente nota come “mal di schiena”, è una fra le maggiori cause che conducono i pazienti a effettuare una visita dal proprio medico (secondo alcune statistiche, circa quanto il raffreddore). Quasi l’80% della popolazione sperimenta il mal di schiena almeno una volta nella vita e un quarto degli adulti riferisce di aver sofferto di mal di schiena almeno una volta negli ultimi 3 mesi.
Negli Stati Uniti i costi diretti attribuibili direttamente al mal di schiena ammontavano nel 1998 a circa 26 miliardi di dollari; a tale cifra vanno aggiunte le spese indirette, quali le indennità per malattia e le ore perse dal lavoro. Nonostante l’indubbia importanza sociale del problema e i notevoli investimenti economici per la ricerca, non si è riusciti, a oggi, a definirne in modo inequivocabile neppure le cause e, tanto meno, a identificare un rimedio veramente efficace.
Che cos’è il mal di schiena?
Secondo la definizione utilizzata nella pratica clinica dei medici e degli altri operatori sanitari, per lombalgia si intende un dolore avvertito posteriormente fra il margine inferiore dell’arcata costale e le pieghe glutee inferiori, dolore che può essere solo locale o anche irradiato nella regione posteriore della coscia fino a sopra il ginocchio. Esso può accompagnarsi a difficoltà nello svolgere le normali attività della vita quotidiana. Quando ha una durata inferiore alle quattro settimane, viene definito lombalgia acuta.
Si parla invece di lombalgia subacuta quando i sintomi descritti si protraggono per più di un mese ma per meno di 3 mesi. La lombosciatalgia è rappresentata invece da una dolore avvertito nella gamba e irradiato anche al di sotto del ginocchio. Tale sintomatologia è generalmente legata all’interessamento di una radice nervosa, e il dolore all’arto può essere presente anche in assenza di dolore lombare.
Se i sintomi si protraggono oltre 3 mesi si parla di lombalgia o di lombosciatalgia cronica; si definisce ricorrente quando gli episodi acuti si ripresentano dopo un periodo di benessere.
Più della metà delle persone che hanno avuto un episodio di lombalgia acuta avrà una recidiva entro pochi anni e l’approccio a un nuovo episodio doloroso in un paziente con problemi ricorrenti al rachide lombare è simile a quello di un episodio acuto.
Il dolore lombare e la riduzione del movimento della schiena sono i “segnali” clinici (i cosiddetti sintomi) più diffusi e disturbanti.
In un certo numero di casi il soggetto può avvertire un dolore acuto (alcune volte acutissimo), che compare improvvisamente in pieno benessere, dopo uno sforzo fisico o una posizione scorretta mantenuta a lungo. Immediatamente dopo si evidenzia una contrazione involontaria della muscolatura della schiena che “blocca” il soggetto in una posizione obbligata, di solito con il tronco piegato in avanti o lateralmente. Tale quadro clinico viene definito nel linguaggio comune colpo della strega. Chi lo ha provato lo teme per l’invalidità e l’intensità del dolore che ne derivano.
In altri casi i sintomi si manifestano gradualmente, talvolta senza raggiungere una grande intensità, ma disturbando quasi quotidianamente il soggetto, specie al risveglio mattutino e durante i movimenti del tronco (per esempio quando ci si lava, si spostano oggetti, si guida l’auto...).
Cause
Se si considera la complessità della struttura e delle funzioni della colonna vertebrale, è facile intuire che ogni minima alterazione può essere causa di dolore: uno sforzo improvviso o il susseguirsi di tanti piccoli sforzi ripetuti nel tempo possono modificare l’equilibrio fra i vari elementi che la costituiscono.
Anche il semplice stare in piedi è di per sé una sollecitazione continua per la colonna vertebrale; poiché essa è una conquista relativamente recente nella storia evolutiva dell’uomo, si può ipotizzare che la schiena non si sia ancora adattata alla deambulazione bipede, che costituisce uno “stress” di per se stesso.
Detto ciò, si può affermare che oltre il 95% dei pazienti ha una causa “meccanica” alla base del dolore lombare.
La lombalgia meccanica può essere considerata come il dolore secondario a un uso eccessivo o a un’abnorme stimolazione di una delle strutture (muscoli, legamenti, ossa, fasce, radici nervose spinali, articolazioni interapofisarie posteriori) oppure a un trauma o a una deformità di una di esse.
È ovvio che moltissime possono essere le sollecitazioni cui la colonna è sottoposta: anche il semplice stare in piedi!
Esistono tuttavia alcune patologie che risultano essere fattori predisponenti per il mal di schiena: spostamento in avanti di un corpo vertebrale (spondilolistesi), canale spinale stretto congenito o acquisito, la presenza di ernie discali, fenomeni degenerativi come l’artrosi. A quest’ultima patologia vengono attribuite, erroneamente, gran parte delle lombalgie, in quanto sovente si tratta di un riscontro solo radiografico.
È necessario sottolineare, tuttavia, come la presenza di uno o più di questi elementi non sia necessariamente la spiegazione del problema clinico: spesso infatti non vi è correlazione tra essi e la sintomatologia descritta, e altrettanto sovente un paziente con una schiena che non mostra nessuno di questi quadri soffre di lombalgia. Da qui la necessità di valutare con attenzione il percorso diagnostico e terapeutico, anche per evitare l’esecuzione di esami diagnostici inutili e talvolta potenzialmente dannosi. Esistono inoltre abitudini e comportamenti che possono predisporre maggiormente all’insorgenza di mal di schiena: sovrappeso corporeo, inattività, fumo, mantenimento di posture scorrette sul posto di lavoro e stazione seduta prolungata. Esiste infine una percentuale relativamente piccola di casi in cui la causa del mal di schiena origina da un viscere interno con irradiazione al rachide lombare, o è espressione di una malattia sistemica o di una neoplasia.
Queste cause vanno escluse il prima possibile; tuttavia l’incidenza percentuale è bassa, e il medico, responsabile della diagnosi clinica, saprà riconoscere la presenza di quegli elementi che rendono necessaria una valutazione diagnostica più approfondita.
Cosa fare
Innanzitutto, stare tranquilli: all’incirca i due terzi dei pazienti riferiscono un miglioramento della lombalgia acuta entro un paio di settimane dalla sua insorgenza.
Si rende necessaria, in ogni caso, una visita del medico di famiglia, che valuterà la presenza di segni che necessitano di un’attenzione particolare ed escluderà la presenza di patologie gravi. Ricordate che, in assenza di indicazioni specifiche, l’esecuzione di esami diagnostici quali radiografie, risonanza magnetica e TAC non è raccomandata prima di 4-6 settimane dall’insorgenza del dolore. Spesso questi esami sono inutili, senza dimenticare che le radiazioni emesse possono comunque essere dannose per l’organismo.
Il riposo prolungato a letto è controindicato; infatti, non solo non riduce il dolore, ma addirittura l’immobilità e il decondizionamento legati all’inattività rallentano la regressione dei sintomi. Pertanto, mantenete uno stile di vita il più possibile attivo.
Ricordate che un’attività fisica aerobica leggera (passeggiare, andare in bicicletta) può essere intrapresa quanto prima. Se il dolore e la limitazione funzionale sono importanti, può essere anche utile il ricorso a farmaci in grado di ridurre la sintomatologia. Il loro utilizzo non modifica la storia naturale della malattia, tuttavia può giocare un ruolo importante nella riduzione del disagio e nella ripresa più precoce di una vita attiva.
Ricordiamo, tra questi, analgesici quale il paracetamolo (che resta il farmaco da preferire sempre in prima istanza), i cosiddetti farmaci antinfiammatori non steroidei o Fans (come ibuprofene, diclofenac, ketoprofene, nimesulide, piroxicam ecc) e i farmaci miorilassanti.
Ognuno di questi medicinali ha effetti collaterali, talvolta anche gravi: consultate sempre il medico per individuare il più adatto al singolo individuo, e ricordarsi di utilizzare sempre il più basso dosaggio efficace.
Il massaggio e la terapia fisica (TENS, ultrasuoni, radar, magnetoterapia) hanno scarso effetto in fase acuta e, soprattutto, non hanno efficacia preventiva.
Per quanto riguarda la lombosciatalgia, ricordate che la maggior parte dei pazienti con interessamento radicolare legato alla presenza di un’ernia discale recupera entro un mese con guarigione spontanea. Anche in questi casi il riposo a letto è sconsigliato, tranne nel caso di soggetti colpiti da una “sciatica” molto grave, e comunque solo per i primi 2-4 giorni (in ogni caso per periodi non prolungati). Cercate di mantenervi più attivi possibile, con posture corrette (che spesso sono le stesse in cui non avvertite il dolore); evitate di eseguire sforzi con il tronco piegato in avanti (come sollevare pesi) e non mantenete la posizione seduta per periodi prolungati.
L’esecuzione di esami complessi come TAC e risonanza magnetica anche in questi pazienti non è consigliata, salvo casi particolari, prima che sia trascorso un intervallo di almeno 4-6 settimane senza riduzione del dolore; l’eventuale presenza di reperto radiografico di protrusione del disco (osservato magari in un precedente esame radiologico) è un fenomeno nei limiti della normalità, senza valore clinico in assenza di altre patologie concomitanti.
E se non passa?
Una piccola parte dei pazienti con lombalgia acuta continua a presentare una sintomatologia dolorosa dopo 6 settimane dalla sua insorgenza.
Se i sintomi persistono, è utile consultare nuovamente il medico di famiglia per un’ulteriore valutazione del caso; il ricorso troppo precoce o troppo frequente a esami diagnostici, come già detto, può essere infatti inutile, e talvolta addirittura fuorviante: si può eseguire una radiografia del rachide lombare, ma non si deve dimenticare che molti dei reperti che ne emergono sono del tutto occasionali e sovente privi di significato clinico.
È molto probabile che il referto riporti definizioni quali “riduzione dello spazio discale, spondilolisi, lombarizzazione o sacralizzazione delle vertebre, ernie di Schmorl, spondiloartrosi, scoliosi moderata...”: sono tutti quadri di frequente riscontro, e non necessariamente legati al problema clinico. Per quanto possa apparire paradossale, un’ernia del disco è presente nel 20-30% delle persone sane che non hanno mai sofferto di mal di schiena; di qui la necessità di affidarsi al medico, il quale sa che deve sempre confrontare il risultato dell’esame con i sintomi e il quadro clinico del paziente. Solo lui, qualora lo ritenesse opportuno, potrà indicare il più corretto percorso diagnostico o la necessità di una valutazione specialistica.
Ma dovrò farmi operare?
In assenza di importanti lesioni neurologiche (che il medico saprà individuare), il trattamento “conservativo” dovrà essere protratto per almeno 4-6 settimane prima di procedere a una valutazione chirurgica. Bisogna anche ricordare che un terzo dei pazienti con lombosciatalgia e già candidato all’intervento chirurgico migliora (talvolta sino alla guarigione) nel periodo trascorso in attesa del ricovero. Infatti l’ernia discale, una delle cause più frequenti di lombosciatalgia, tende a risolversi spontaneamente, senza alcun provvedimento terapeutico, nell’arco di circa un mese dall’insorgenza dei sintomi.
Inoltre un paziente che riferisce la presenza di lombalgia semplice, senza segni di irradiazione del dolore agli arti inferiori e in assenza di una dei già citati elementi di sospetto, non ha generalmente bisogno di una consulenza chirurgica. La possibilità di un intervento è legata alla persistenza per più di un mese di lombosciatalgia disabilitante senza segni di miglioramento o se ci sono prove di interessamento radicolare. L’intervento chirurgico, è bene ricordarlo, risolve però soltanto l’irradiazione del dolore alla gamba, non ha alcun effetto sul mal di schiena. È una procedura invasiva che richiede un periodo di convalescenza, e la probabilità di residui cicatriziali nella zona dell’intervento è comunque elevata. Infine, l’intervento non diminuisce il rischio di ricadute: sia che un paziente sia stato operato sia che sia guarito spontaneamente, le probabilità che una lombosciatalgia si ripresenti nei due anni successivi sono pressoché identiche.
Il dolore può diventare cronico?
Il mal di schiena cronico è una problematica assai frequente ed è stato stimato che all’incirca un soggetto su quattro soffre di lombalgia cronica, condizione che in oltre tre quarti dei casi non ha peraltro consentito di identificare una precisa causa. La cronicizzazione è molto più frequente per le lombalgie che per una lombosciatalgia (oltre il 90% delle cronicizzazioni sono da ascrivere infatti a episodi di lombalgia semplice).
Il dolore tende a diventare cronico per vari motivi: generalmente ciò è legato all’innesco di un circolo vizioso, in cui i fattori che hanno scatenato l’episodio acuto si associano a un decondizionamento generale e a una percezione negativa del dolore, che tende ad aggravarlo.
L’utilizzo episodico di farmaci antinfiammatori e antidolorifici può essere di sollievo, ma vanno sempre utilizzati solo per brevi periodi, quando il dolore tende a diventare più intenso del solito e poco tollerabile.
Il modo migliore per uscire da questo “circolo vizioso” è di affidarsi al medico, che potrà attivare un’equipe multidisciplinare, ossia un gruppo di specialisti diversi che si facciano carico del problema e riescano, da un lato, a rimuovere le cause che hanno scatenato l’insorgenza del dolore e, dall’altro, a evitare che tali condizioni possano ripresentarsi.
Il mal di schiena si può prevenire?
Certo! L’attenzione e il rispetto di alcune regole da osservare quotidianamente evitano le riacutizzazioni del mal di schiena e che gli episodi diventino cronici. La lombalgia è infatti un problema complesso, con molteplici componenti: fisiche, psicologiche e comportamentali. Pertanto è necessario considerare tutti questi aspetti per poter risolvere i sintomi e prevenire le ricadute.
Dopo aver completato l’inquadramento diagnostico e aver escluso altre cause di dolore lombare, dovrà essere intrapreso un percorso che insegni al paziente come muoversi correttamente senza sovraccaricare la propria schiena e come accettare e “convivere” con il proprio dolore. Inizierà poi un percorso verso un progressivo “ri-apprendimento” del corretto movimento: si dovranno eseguire esercizi per il recupero della mobilità e di rinforzo muscolare ed esercizi finalizzati a migliorare il controllo motorio. Esistono diversi approcci, o “tecniche”, che vari studiosi hanno proposto per rieducare la colonna vertebrale: ognuno di essi ha peculiarità e indicazioni particolari, non esiste una “pillola” efficace per tutti: sono sempre le caratteristiche del singolo paziente e le cause del suo dolore che guidano il riabilitatore alla scelta della metodica (o delle metodiche) più indicate nel caso specifico. È preferibile che tali sedute di “ricondizionamento” generale della colonna avvengano, almeno in un primo momento, sotto la guida di personale addestrato: infatti, soprattutto nelle fasi iniziali, è possibile che il paziente provi dolore, ed è essenziale che il riabilitatore valuti i sintomi per essere certi che il dolore non sia l’effetto di una nuova lesione.
Ovviamente, lo scopo di tutto ciò non è soltanto terapeutico, ma anche formativo: oltre a imparare a “convivere” con il dolore, il paziente apprende una serie di nozioni e di esercizi che dovrà ricordare ed eseguire con costanza per ottenere dei risultati duraturi.
Cosa sono le “back school”?
Le cosiddette back school sono - come dice il termine inglese - delle vere e proprie “scuole per la schiena”: sorte negli anni settanta, hanno un intento curativo ma anche didattico, e si propongono di rispondere a tutte le domande e ai problemi riferiti dai pazienti e di guidarli nella prevenzione delle ricadute.
All’interno di esse, attraverso un numero relativamente ridotto di sedute, vengono acquisite delle informazioni utili per imparare a usare bene la propria colonna vertebrale e a non sovraccaricarla, a svolgere gli esercizi per prevenire l’insorgenza del dolore, ad applicare le tecniche di rilassamento per raggiungere l’autogestione della propria ansia e delle proprie tensioni.
Le cure termali sono efficaci?
Pur in carenza di prove scientifiche certe, si può affermare che le cure eseguite in ambiente termale, basate sul calore (fanghi, bagni) e sul massaggio, sono efficaci nel ridurre la sintomatologia cronicizzata. Sono però sconsigliate nella fase di esordio (fase acuta) dei sintomi e non hanno comunque alcun valore preventivo.
Esistono professioni a rischio di mal di schiena?
Sono sicuramente a rischio di mal di schiena coloro che sono obbligati a posizioni fisse sul posto di lavoro (in piedi o seduti) o a ripetuti spostamenti di pesi (specie se dovendo eseguire piegamenti e rotazioni del tronco) sono più a rischio di altri. La legislazione italiana ha comunque introdotto l’obbligo per le Aziende di istruire tali lavoratori tramite corsi appositi di informazione e addestramento.
È necessario però ricordare che l’elemento determinante resta sempre l’organismo di ogni singolo soggetto, nel suo modo di muoversi e nella sua struttura.
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