Primo Soccorso
Situazioni dolorose
Sciatica (ernia del disco lombare)
Da quando l’uomo ha assunto la stazione eretta, il mal di schiena e le sue complicazioni, come la dolorosa “sciatica”, hanno iniziato a tormentare buona parte delle sue giornate. Pur essendo migliorate le condizioni ambientali e sociali, nei paesi sviluppati esso è rimasto una delle principali cause di assenza dal lavoro e di spesa per la salute.
L’ernia del disco lombare è responsabile solo di una parte limitata degli episodi di mal di schiena (la lombalgia della terminologia medica), ma negli anni ha assunto tra i pazienti la pessima fama di malattia grave e irreversibile, destinata irrimediabilmente a essere risolta solo in sala operatoria.
In verità, mentre il termine sciatica si deve a un medico italiano (Domenico Cotugno, che la coniò nel lontano 1764), si è dovuto attendere sino al 1932 perché potesse essere dimostrata la correlazione tra tale disturbo e l’ernia del disco.
Vedremo qui di seguito come una fama così negativa sia in gran parte “immeritata”, pur se giustificata dalle notevoli sofferenze fisiche e morali che l’ernia del disco sintomatica apporta a chi ne è affetto.
Negli ultimi anni i chirurghi, in gran parte sulla scorta dei dati raccolti dai pazienti operati, hanno ridotto notevolmente il numero dei soggetti in cui l’intervento è realmente necessario, anche se, dal verso opposto, il ricorso sempre più frequente, e talvolta esagerato, a indagini radiologiche avanzate, come la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) e la Risonanza Magnetica (RM), hanno contribuito a evidenziare un numero elevato di lesioni del disco vertebrale. Si tratta comunque di riscontri che, in assenza di un’attinenza diretta con i disturbi lamentati dal paziente e con le informazioni acquisite dal medico nel corso della visita, determinano spesso nel paziente una “consapevolezza di malattia” non sempre favorevole.
Che cos’è l’ernia del disco e come si manifesta
Il disco intervertebrale è una struttura interposta tra un corpo vertebrale e l’altro con il duplice scopo di permettere i movimenti della colonna vertebrale e, contemporaneamente, di “ammortizzare” le sollecitazioni meccaniche che i movimenti stessi le trasmettono. Una delle sollecitazioni più frequenti è rappresentata dalla forza di gravità che agisce ogni volta che ci si sposta dalla posizione sdraiata a quella eretta. Il disco pertanto deve essere strutturato in modo da risultare un buon compromesso tra elasticità e resistenza. Questa singolare caratteristica gli viene conferita dalla presenza di una struttura esterna più rigida (anulus fibroso), che incapsula al suo interno un nucleo polposo, incompressibile come tutti i fluidi ma relativamente libero di muoversi.
Nel corso della vita, con il passare degli anni e con il sommarsi di traumi anche di minima entità (per esempio in conseguenza di posizioni sedute o erette mantenute a lungo, movimenti ripetuti di flesso-estensione e rotazione del tronco ecc.), il disco tende modificare la propria struttura, disidratandosi, riducendosi in spessore e aumentando la propria circonferenza.
Si determina così quel fenomeno noto a tutti come discopatia (descritto dal radiologo come “protrusione discale diffusa” o “bulging discale”). Anche se dischi risultano meno elastici, di per sé questi fenomeni non sono patologici se gli altri fattori che determinano la funzionalità della colonna sono adeguati. Purtroppo l’anulus tende gradualmente anche a presentare delle fessure, finché, attraverso una di queste lesioni, parti del nucleo polposo fuoriescono e determinano la cosiddetta ernia del disco. Attenzione, però: l’ernia del disco di per se stessa non determinerebbe alcun disturbo, se non fosse che va comprimere e a “irritare” importanti strutture anatomiche a essa adiacenti. Dai sintomi riferiti dal paziente, dalla modalità con cui si sono sviluppati e dai riscontri effettuati durante la visita, il medico riuscirà in gran parte a determinare la sede, la natura e la gravità dell’evento. È importante ricordare sin da ora che gli esami strumentali rappresentano sovente solo una conferma di quanto osservato durante la visita.
Sintomi
L’ernia del disco può colpire ogni livello della colonna, ma è prevalente nei dischi più sollecitati dal movimento e dalla stazione eretta. Non a caso, infatti, la maggior parte dei disturbi riguarda i dischi posti tra la 4° e la 5° vertebra lombare (L4-L5) e tra la 5° lombare e la 1° sacrale (L5-S1). Il dolore è il sintomo che, quasi sempre, compare per primo e che peggiora nettamente la qualità di vita del soggetto.
Di solito compare all’improvviso; è localizzato all’inizio a livello lombare, appena sopra i glutei, da un lato o centralmente. Esso evoca rapidamente una contrattura della muscolatura della zona, sufficiente a immobilizzare il tronco: il soggetto deve restare fermo in una determinata postura, in quanto ogni movimento del tronco suscita una grave intensificazione del dolore. Talvolta lo spasmo muscolare è localizzato, tanto da determinare una posizione obbligata con il busto piegato lateralmente o in avanti. Questi sintomi sono dovuti alla pressione esercitata dall’ernia fuoriuscita sulle strutture adiacenti, ricche di terminazioni nervose (in gran parte sul legamento longitudinale posteriore, una fascia fibrosa che avvolge la regione posteriore delle vertebre e dei dischi e contribuisce a separarle dal midollo spinale). In ultima analisi, la contrattura muscolare, anche se di per se stessa molto dolorosa e invalidante, può addirittura essere interpretata come un meccanismo di difesa automatico finalizzato a limitare il movimento della schiena (una sorta di vero e proprio “bustino ortopedico naturale”). Le radici nervose che collegano il midollo spinale agli arti inferiori fuoriescono dalla colonna vertebrale attraverso dei passaggi denominati forami intervertebrali, anatomicamente molto vicini al disco. Ne deriva che l’ernia, se fuoriesce postero-lateralmente, comprime e irrita queste radici nervose, le quali, oltre a essere molto “delicate e indifese”, hanno scarsa possibilità di evitare questo contatto dal momento che sono inserite in una struttura ossea rigida (il forame intervertebrale).
È proprio il contatto tra ernia del disco e radice del nervo a determinare l’insorgenza dei sintomi dell’ernia del disco, ovvero dolore (da irritazione diretta del nervo), riduzione della forza muscolare e disturbi della sensibilità a livello dell’arto inferiore.
Sciatica
Questi sintomi, sommati a quelli localizzati a livello lombare e prima descritti, sono molto variabili da caso a caso, a seconda della radice nervosa interessata e dell’entità della compressione esercitata su di essa. Essi rappresentano la sciatica vera e propria. Il soggetto quindi, oltre al dolore lombare e lungo l’arto inferiore, avverte una serie di disturbi, più o meno importanti e variabili da caso a caso, relativi all’interessamento della radice nervosa:
- formicolio o sensazione di bruciore, riduzione o perdita della sensibilità nelle zone di competenza della radice interessata;
- sensazione di “cedimento del ginocchio” per ridotta forza dei muscoli anteriori della coscia (quando la compressione interessa le radici a livello della seconda o della terza vertebra lombare);
- difficoltà a camminare sui talloni per riduzione della forza dei muscoli che sollevano la punta del piede e delle dita (quando la compressione interessa le radici a livello della quarta o della quinta vertebra lombare);
- difficoltà a camminare sulla punta dei piedi (se è interessata la radice S1);
- il dolore, poi, aumenta tipicamente in modo netto con i colpi di tosse e gli starnuti.
Diagnosi
Ovviamente in una prima fase il medico sarà impegnato a escludere ragionevolmente che i sintomi lamentati dal paziente siano secondari a malattie ben più gravi di un’ernia del disco (tumori, traumi, infezioni ecc.), e questo, di norma, può essere fatto valutando il quadro clinico.
Solo in caso di dubbi di questo tipo il medico riterrà indispensabile avviare subito delle indagini strumentali; in caso contrario si può aspettare e valutare l’evoluzione dei sintomi.
La diagnosi di ernia del disco, paradossalmente, se si considera che viviamo in un’epoca di alta tecnologia, si effettua più con un’accurata visita medica che con sofisticati strumenti tecnologici: se è vero infatti che è possibile rilevare l’ernia con un esame come la TAC o la RM, oggi i medici sono consapevoli del fatto che circa un terzo delle persone che non hanno mai avuto mal di schiena hanno un’ernia discale che può essere evidenziata da questi esami.
Nella pratica, la TAC e la RM, nella grande maggioranza dei casi, possono solo confermare qualcosa che il medico può già vedere presso il letto del paziente, analizzando i sintomi locali e neurologici sopra descritti: perdita di forza, di sensibilità o di riflessi a livello delle gambe, dolore riferito dal paziente.
Se questi dati clinici sono assenti, anche in presenza di un’ernia discale evidenziata dall’esame radiologico, non vi può essere l’assoluta certezza che questa sia la causa del dolore.
Inoltre, come si vedrà oltre, l’ernia tende a risolversi spontaneamente, nell’arco delle prime quattro settimane, salvo eccezioni che il medico deve saper individuare: di norma, quindi, si può evitare di avviare costose indagini radiologiche o, peggio, di intervenire chirurgicamente in attesa di verificare l’evoluzione clinica.
Va anche detto che spesso questo richiede tempi più lunghi delle quattro settimane e che, di nuovo, è molto importante farsi controllare dal medico, in modo che egli possa evidenziare delle variazioni dell’esame clinico, anche se i sintomi soggettivi non sono migliorati.
Il ruolo delle radiografie
È bene rammentare che con la radiografia della colonna lombo-sacrale non si può fare diagnosi di ernia del disco, ma solo escludere altre malattie con sintomi simili (tumori, forme infiammatorie, fratture, malformazioni, ecc). La TAC e la RM sono pressoché sovrapponibili in termini di valore diagnostico per il medico. È peraltro da sottolineare che la RM non eroga radiazioni ionizzanti, per cui sostanzialmente è meno dannosa, anche se presenta alcune controindicazioni e non può essere eseguita da alcune categorie di soggetti (pazienti portatori di pace-maker, di protesi metalliche ecc). Di norma, in assenza di altri dubbi diagnostici, TAC o RM sono raccomandate, dopo 4-6 settimane di trattamento, in pazienti con sintomi o segni di compressione radicolare sufficientemente gravi da far considerare la possibilità dell’intervento chirurgico. Esami come l’elettromiografia o i “potenziali evocati” sono indicati molto più raramente solo se si vuol quantificare e localizzare meglio il danno neurologico.
La terapia “conservativa”
I disturbi provocati dall’ernia del disco possono risolversi con i trattamenti conservativi, ossia non chirurgici. Numerosi studi hanno provato che le ernie del disco lombare, in un’elevata quota di casi, regrediscono spontaneamente del tutto o in larga parte.
Il miglioramento è rapido entro i primi tre mesi ed è attribuibile a meccanismi di riassorbimento.
L’ernia discale è dunque un fenomeno dinamico, che nella maggior parte dei casi evolve in modo favorevole. Anche i problemi a livello delle radici nervose causati dall’ernia del disco lombare (salvo alcune eccezioni che i medici conoscono bene, quali la sindrome della cauda equina e la perdita progressiva della funzione motoria) possono avere dunque una storia naturale favorevole.
Per anni si è pensato che il materiale “erniato” determinasse una vera e propria compressione “meccanica” sulla radice: attualmente, invece, la teoria più accettata è che in realtà si tratti di un fenomeno infiammatorio del nervo, causato non tanto dallo schiacciamento, quanto piuttosto dal rilascio di varie sostanze contenute nel nucleo discale e che sono dotate di azioni fortemente lesive per il nervo. Questa nuova spiegazione non è di poco conto: infatti, se la lesione fosse solo “compressiva”, la soluzione sarebbe inevitabilmente la decompressione, ossia un intervento di tipo meccanico, spesso chirurgico. Se invece ci si rende conto che la lesione è chimica, allora si aprono speranze per altre tipologie di cura. Per questi motivi la terapia di prima scelta è quella “non chirurgica” (detta anche conservativa), indirizzata sostanzialmente a ridurre il dolore, a migliorare la motilità del rachide lombare e recuperare eventuali deficit motori periferici. Cosa si fa in questo caso? In prima istanza, si ricorre ai farmaci. L’uso di paracetamolo o dei farmaci antinfiammatori non cortisonici (FANS) è raccomandabile per ridurre la sintomatologia dolorosa, ma solo per periodi di tempo non prolungati. Non si deve infatti dimenticare che i FANS possono avere seri effetti collaterali, specialmente nei soggetti anziani. Il paracetamolo, in associazione con codeina o con tramadolo, può rappresentare un’efficace alternativa.
In caso di dolore molto acuto si può ricorrere anche agli oppiodi maggiori (ossicodone). I cortisonici possono essere utilizzati per brevi periodi, ricordandone con particolari precauzioni nei pazienti anziani, nei diabetici e negli ipertesi. I miorilassanti hanno un’efficacia limitata e devono essere utilizzati in associazione con i farmaci sopra elencati.
Cosa fare nel quotidiano
Bisogna cercare di non stare permanentemente a letto, quindi è meglio alternare momenti di riposo al movimento, evitando le posizioni che fanno aumentare il dolore e che “caricano” la schiena. In ogni caso si devono seguire i consigli che il dolore stesso fornisce. Molta importanza assumono i programmi di riabilitazione multimodali, che, nell’ambito di una presa in carico globale e in relazione al contesto clinico del singolo paziente, potranno essere costituiti da esercizi posturali e da altri tipi di esercizi e di cure. Pur in assenza di sicure prove di efficacia, l’agopuntura può essere presa in considerazione a scopo antalgico. I massaggi possono solo ridurre la contrattura muscolare e la fisioterapia strumentale (elettroterapia antalgica, TENS, ultrasuoni, calore con molta prudenza) possono essere anch’essi utilizzati a scopo antalgico ma solo in un contesto di terapia conservativa ben programmata e seguita da medici e fisioterapisti esperti. Non vi sono elementi certi per raccomandare o sconsigliare le manipolazioni nel trattamento dell’ernia discale sintomatica, ma queste devono comunque essere eseguite esclusivamente da medici qualificati, onde evitare il rischio di grave peggioramento dei sintomi. L’ozonoterapia, ovvero l’infiltrazione di ozono nella zona lesa, vicino al punto di compressione tra ernia discale e radice del nervo, è una tecnica solo recentemente introdotta nella pratica medica. Purtroppo, al momento attuale, non vi sono studi scientifici che ne abbiamo stabilito in modo affidabile la reale efficacia.
L’uso di bustini ortopedici ha l’unico potere di ridurre la mobilità del tronco a scopo antidolorifico. Questi andrebbero utilizzati solo in casi particolari e per un periodo molto breve, onde evitare di peggiorare la rigidità.
La scelta di ritenere concluso, in quanto inefficace, il trattamento “conservativo” e di rivolgersi quindi al chirurgo rappresenta uno dei momenti decisionali più importanti e difficili per il medico, il quale, alla luce della sua conoscenza circa le opzioni chirurgiche e delle loro indicazioni e complicazioni possibili, potrà informare adeguatamente il soggetto e valutare con lui la possibilità di un intervento.
Terapia chirurgica
Pochi anni fa l’indicazione chirurgica veniva posta molto più frequentemente di oggi. Attualmente, alla luce della valutazione degli interventi eseguiti in passato, delle indagini strumentali più sofisticate e dello studio della storia naturale di questa patologia, si è arrivati a conclusioni molto più restrittive. La valutazione finale spetta in ogni caso all’esperienza del chirurgo, dopo una franca e informata discussione con il paziente, ma sostanzialmente le linee guida internazionali convengono che i criteri che, in linea di massima, devono sussistere contemporaneamente per porre indicazione chirurgica elettiva sono:
- fallimento della terapia conservativa condotta per almeno quattro settimane con modalità e intensità ritenute corrette;
- sintomi sensitivi nel territorio di pertinenza della radice interessata;
- segni obiettivi di coinvolgimento sensitivo o motorio o di riflessi nel territorio di pertinenza o elettromiografia positiva per danno neurologico importante;
- reperto TAC o RMpositivo per ernia del disco a livello della radice nervosa corrispondente al quadro clinico. Solo l’interessamento di più radici nervose con deficit anche per quanto riguarda il controllo vescicale, definito come sindrome della cauda equina da ernia del disco intervertebrale, rappresenta un’indicazione assoluta all’intervento di asportazione dell’ernia del disco da effettuare urgentemente. Gli interventi chirurgici di norma proposti si differenziano per l’ampiezza del campo operatorio e dell’accesso chirurgico, ma sostanzialmente sono tutti finalizzati a rimuovere il materiale erniato e a liberare la radice nervosa. Gli interventi più praticati ed efficaci sono: discectomia standard, microdiscectomia e, in casi particolari, la sostituzione del disco intervertebrale. La scelta di una metodica rispetto a un’altra è compito del chirurgo, che prenderà una decisione in base alla propria esperienza e al quadro clinico del paziente. Indispensabile è, in tutti i casi, informare correttamente il paziente su indicazioni, tempi di recupero, rischi e complicanze. È necessario sapere, per esempio, che la chirurgia garantisce la scomparsa del dolore alla gamba, ma non il mal di schiena, e che sul lungo periodo il rischio di ricaduta è lo stesso sia che ci si operi sia che non lo si faccia. L’intervento chirurgico, poi, è invasivo, lascia degli esiti cicatriziali, richiede una sua convalescenza, e il rischio di ricaduta è molto alto per i due anni successivi. Per questa ragione, e per accelerare i tempi di recupero verso un’attività normale, dopo l’intervento chirurgico va effettuato un programma di riabilitazione, da iniziare entro 4-6 settimane dall’intervento.
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