MARKER TUMORALI -Marker tumorali più comuni
Antigene prostatico specifico (PSA) È una proteina prodotta dalle cellule della ghiandola prostatica, che in condizioni fisiologiche viene secreta nel liquido seminale e ne determina la fluidità. Il PSA è dosabile nel sangue in forma “libera” o legata ad altre proteine: i suoi livelli normali sono inferiori a 4 ng/ml (nanogrammi per millilitro). Elevati livelli di PSA nel sangue sono caratteristici del carcinoma prostatico, ma possono essere riscontrati anche in condizioni non tumorali, per esempio nell’ipertrofia prostatica benigna, malattia frequente nell’uomo anziano e caratterizzata dall’ingrandimento della ghiandola prostatica, nelle prostatiti (processi infiammatori che coinvolgono la prostata) e in alcune condizioni fisiologiche che comportano una stimolazione, sia pur temporanea, della prostata (attività sessuale, ma anche la palpazione della prostata per via rettale durante una visita urologica). Con valori di PSA superiori a 10 ng/ml la probabilità di avere un carcinoma della prostata è elevata (maggiore del 50%). Numerosi studiosi hanno dimostrato che il dosaggio del PSA, da solo o in associazione ad altre metodiche quali l’esplorazione rettale o l’ecografia transrettale, è in grado di svelare l’esistenza di tumori della prostata in soggetti asintomatici, e per questo motivo è considerato uno strumento adeguato allo screening dei soggetti a rischio. Un’informazione aggiuntiva, oltre al valore assoluto del PSA, è data dalla sua valutazione nel tempo, che consente di stimarne la velocità di crescita (velocità del PSA): un rapido incremento del PSA nell’arco di un anno suggerisce, infatti, la presenza di un tumore maligno prostatico. Per valori di PSA compresi tra 4 e 10 ng/ml può essere utile la determinazione del PSA libero, cioè della frazione di PSA non legata ad altre proteine: aumenti del PSA con valori elevati di PSA libero sono più indicativi di patologia benigna che di tumore maligno. Poiché esiste una relazione tra concentrazione del marcatore ed estensione della malattia, i valori basali del PSA in un soggetto con diagnosi istologica di tumore della prostata possono avere un significato prognostico, permettono cioè di prevedere la sopravvivenza dei pazienti dal momento della diagnosi. È da sottolineare, tuttavia, che per garantire l’attendibilità del risultato il prelievo per il dosaggio del marcatore dovrà precedere qualsiasi manipolazione della ghiandola prostatica e, in particolare, la biopsia.
Una terapia efficace di una neoplasia prostatica produce una notevole riduzione dei valori di PSA; in caso di chirurgia esso può divenire non misurabile. Il monitoraggio ripetuto permette di evidenziare precocemente la ripresa della malattia.
Alfa-fetoproteina (AFP) È una proteina prodotta fisiologicamente dalle cellule del fegato (epatociti) durante lo sviluppo fetale dell’organo. Quando il fegato è sottoposto, anche nell’età adulta, a stimoli che lo fanno crescere o rigenerare, per esempio un intervento chirurgico di asportazione parziale dell’organo (epatectomia), i livelli di AFP dosati nel sangue risultano fisiologicamente superiori ai valori normali (i valori normali di AFP sono inferiori a 20 ng/ml). I livelli di AFP possono risultare aumentati nel corso di processi patologici quali le epatiti acute e croniche o la cirrosi epatica, ma valori di AFP molto elevati sono comunque fortemente indicativi della presenza di un carcinoma epatocellulare (il tumore primitivo più comune del fegato). Nei pazienti portatori di infezione cronica da virus dell’epatite B o C la determinazione periodica dei livelli di AFP, in associazione alla valutazione del fegato con l’ecografia, risulta efficace nella diagnosi precoce di una degenerazione tumorale: l’AFP è aumentata nella maggioranza dei pazienti affetti da carcinoma epatocellulare, e la conoscenza dei valori al momento della diagnosi può avere un significato prognostico, dal momento che valori elevati del marcatore si associano generalmente a una riduzione della sopravvivenza. Nei pazienti affetti da tumore del fegato, il dosaggio di AFP può essere uno strumento semplice ed economico per monitorare l’evoluzione della neoplasia e la risposta ai trattamenti antineoplastici; dopo la chirurgia, nelle forme operabili, può essere utilizzato come spia della ricomparsa della malattia.
Oltre che nei tumori primitivi del fegato, l’AFP può aumentare anche in alcuni tipi di tumore testicolare (tumori germinali). Anche in questa evenienza il dosaggio di AFP può avere un significato prognostico e costituire un ausilio nella fase della diagnosi, del monitoraggio delle terapie e della sorveglianza dei pazienti sottoposti a trattamenti curativi.
Antigene carcinoembrionario (CEA) È una proteina prodotta in quantità minima dalle cellule epiteliali normali e in quantità elevata dalle cellule neoplastiche di una varietà di tumori di origine epiteliale (in particolare carcinomi polmonari, del grosso intestino e della mammella, ma anche carcinomi del pancreas, dell’ovaio, della vescica e dello stomaco). La CEA viene rilasciata nel sangue, dove può essere riscontrata con valori superiori ai limiti della normalità, tali valori essendo inferiori a 5 ng/ml (nei soggetti fumatori, però, sono considerati normali valori fino a 10 ng/ml). Un aumento dei valori di CEA può inoltre essere riscontrato in alcune malattie non tumorali quali la cirrosi epatica, l’enfisema polmonare e l’ulcera gastrica. Il marcatore CEA non può essere utilizzato come test di screening per la diagnosi precoce di tumori epiteliali, poiché comporterebbe un elevato numero di test falsamente positivi o negativi, tuttavia in alcuni casi (per esempio per i tumori del grosso intestino) può fornire delle indicazioni prognostiche. Nel corso dei trattamenti antitumorali il dosaggio di CEA può rappresentare uno strumento semplice ed economico per valutare l’efficacia delle terapie. La determinazione periodica dei livelli di CEA, infine, è particolarmente utile nei pazienti operati per tumori maligni del grosso intestino, poiché può portare all’identificazione precoce di un’eventuale ripresa della malattia.
Antigene carboidratico CA 15-3 È una proteina prodotta in quantità elevata dalle cellule del carcinoma della mammella; i suoi valori normali sono inferiori a 30 U/ml (unità per millilitro). Valori elevati di CA 15-3 si riscontrano in circa il 70% dei pazienti con malattia avanzata ma in meno del 10% dei pazienti con malattia iniziale, e per questo motivo il dosaggio di questa proteina non rappresenta un’indagine utile alla diagnosi precoce della malattia; inoltre, valori aumentati di CA 15-3 si possono riscontrare anche in corso di patologie non tumorali, per esempio in alcune affezioni mammarie benigne. L’utilizzo più consolidato del dosaggio di CA 15-3 è il monitoraggio di pazienti affetti da carcinoma mammario nel corso del trattamento; più controverso è l’utilizzo per la diagnosi precoce della malattia avanzata nei soggetti sottoposti a trattamenti curativi: l’aumento del marker tumorale costituisce infatti un evento precoce in due terzi dei pazienti con progressione di malattia, ma l’anticipo diagnostico ottenuto con il marcatore CA 15-3 utilizzato come spia non produce un vantaggio evidente sulla sopravvivenza.
Antigene carboidratico CA 125 È una proteina prodotta in quantità elevata dai tumori ovarici epiteliali (il tipo più comune di tumore dell’ovaio); i valori normali sono inferiori a 35 U/ml. Nonostante valori elevati di CA 125 si riscontrino in più del 90% delle pazienti con carcinoma ovarico avanzato e in circa il 50% delle pazienti con malattia limitata, esso non viene consigliato come test di screening perché comporta un elevato tasso di risultati falsamente positivi. Aumenti di CA 125 si possono osservare, infatti, in tutte le patologie del peritoneo e della pleura (le guaine sierose che rivestono l’intestino e i polmoni), oltre che nell’insufficienza renale e in alcune patologie polmonari o epatiche. Una volta accertata la diagnosi di carcinoma ovarico, la valutazione di CA 125 fornisce importanti informazioni che riguardano la prognosi, il monitoraggio durante la terapie e la sorveglianza delle recidive dopo la cura. Un aumento di CA 125 può accompagnare anche patologie uterine benigne come l’endometriosi (presenza di tessuto uterino endometriale in sedi anomale) o altri tumori maligni come il carcinoma polmonare e i tumori primitivi o secondari (metastasi di tumori che originano in altra sede) del peritoneo.
Antigene carboidratico CA 19-9 In passato definito GICA, è una proteina prodotta in quantità elevata dalle cellule neoplastiche di tumori che originano nel grosso intestino, nel pancreas e nelle vie biliari; i suoi valori normali sono inferiori a 37 U/ml. Sviluppato inizialmente come marcatore per i tumori del grosso intestino, risulta meno sensibile rispetto al CEA per questa patologia. Valori aumentati di CA 19-9 possono essere riscontrati in corso di patologie non tumorali quali pancreatite, malattie infiammatorie intestinali e in generale in tutte le condizioni di alterata escrezione biliare da parte del fegato (infezioni e calcolosi della colecisti e delle vie biliari). A causa del frequente aumento per malattie non tumorali, pertanto, il dosaggio di CA 19-9 non può essere usato nello screening per la diagnosi precoce di patologie tumorali, ma può risultare utile, nei tumori del pancreas, per il monitoraggio delle recidive e per valutare l’efficacia dei trattamenti. Raramente questo antigene può risultare aumentato in altri tumori maligni quali il carcinoma del polmone.
Calcitonina È un ormone prodotto dalla tiroide che controlla i livelli di calcio nel sangue; le cellule che lo producono sono indicate come C parafollicolari. Nei tumori midollari della tiroide che si sviluppano da tali cellule, i livelli di calcitonina risultano precocemente aumentati nel sangue. Per la rarità di questa tipologia di tumore e per la sua frequente presentazione in forme familiari, il dosaggio della calcitonina è utilizzato nello screening dei familiari dei pazienti che ne sono colpiti; è utile inoltre per monitorare l’efficacia della terapia. Nei pazienti trattati con chirurgia radicale, l’innalzamento dei livelli di calcitonina costituisce il segnale più precoce della ripresa della malattia.
Beta-2-microglobulina (β2M) È una proteina prodotta dalle cellule di neoplasie che originano dal midollo osseo o dal sistema linfatico quali il mieloma multiplo, la leucemia linfatica cronica e alcuni tipi di linfoma; i suoi valori normali sono inferiori a 2,5 mcg/ml (microgrammi per millilitro). Il dosaggio di β2M non costituisce uno strumento utile alla diagnosi di questi tumori: il suo utilizzo principale è di tipo prognostico. Il dosaggio di questa molecola nel corso del trattamento non apporta un contributo significativo alla gestione clinica dei pazienti.
Cromogranina A (CgA) È una proteina prodotta dalle cellule di un gruppo di tumori rari detti neuroendocrini: questi tumori originano da cellule endocrine (che producono ormoni) localizzate in diverse parti dell’organismo e si manifestano come tumori carcinoidi gastroenterici, microcitomi polmonari e in altre neoplasie più rare. I valori normali di CgA sono inferiori a 70 ng/ml. Il dosaggio di questa proteina è utile al momento del sospetto diagnostico per orientare sul tipo di neoplasia. Per i tumori neuroendocrini che originano dal tratto gastroenterico, la possibilità di identificare i soggetti ammalati mediante questo esame è superiore al 70%. Il maggiore utilizzo clinico è comunque durante la fase di monitoraggio, quando il dosaggio di CgA serve a valutare la radicalità chirurgica e l’efficacia della terapia medica, e nella sorveglianza dopo il completamento delle cure, per rilevare precocemente le recidive.
Gonadotropina corionica umana (β-HCG) È una proteina normalmente prodotta dalla placenta, il cui dosaggio nel sangue o nelle urine è comunemente utilizzato come test di gravidanza; può essere utilizzata anche come marker tumorale in alcuni tipi di carcinoma testicolare e ovarico (tumori germinali) e nel coriocarcinoma, tumore raro che insorge nella placenta durante la gravidanza. Il dosaggio di β-HCG, in questi tipi di tumore, è uno strumento essenziale per la diagnosi ed è utilizzato nei pazienti in remissione completa dopo trattamento, come spia della ripresa della malattia.
Tireoglobulina È una proteina prodotta fisiologicamente dalla ghiandola tiroide, i cui livelli nel sangue possono aumentare in tutte le patologie che coinvolgono la tiroide, compreso il carcinoma: per questo motivo il dosaggio dei livelli di tireoglobulina non ha alcun valore nell’inquadramento di un sospetto processo tumorale. Esso, al contrario, assume notevole rilevanza dopo il trattamento chirurgico di un carcinoma tiroideo (che determina un azzeramento dei valori di tireoglobulina): in questa condizione una risalita dei livelli di tireoglbulina è fortemente indicativa di ripresa di malattia. Nelle forme avanzate, infine, la determinazione di tireoglobulina è utile nel monitoraggio dell’efficacia dei trattamenti. [F.L., M.A.]
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