Osteopatia
Osteopatia
Le tecniche
L’osteopata ha a sua disposizione un’ampia gamma di tecniche in quanto può agire su articolazioni, tendini, legamenti, muscoli, fasce aponeurotiche, nervi, visceri, ossa del cranio: ogni struttura richiede un approccio diverso e, inoltre, si deve tener conto delle caratteristiche del paziente.
La descrizione completa delle varie modalità tecniche esula da questa trattazione, perciò ci si limiterà a presentare di seguito quelle più conosciute, iniziando dalle tecniche strutturali, cosiddette perché ristabiliscono la mobilità della struttura ossea correggendo le posizioni spaziali delle articolazioni. Le tecniche fasciali, viscerali e applicate sul cranio saranno trattate a parte.
Tecniche strutturali
Tecniche ad alta velocità e bassa ampiezza (thrust) Forse le più conosciute dai pazienti, spesso producono uno “scrocchio” che dà la sensazione che l’articolazione interessata si sia sbloccata. Sono tecniche dirette, forzano cioè la situazione: è come se, per fare un esempio, per aprire una porta bloccata le si desse un’energica spallata. Nel linguaggio specialistico, tale azione viene detta andare verso la barriera, verso il blocco. Le tecniche si definiscono poi a bassa ampiezza perché, per essere preciso e il meno pericoloso possibile, il movimento non deve essere ampio. Possono dare un immediato sollievo se la limitazione articolare trattata è la causa principale o esclusiva del sintomo, oppure avere un ruolo nel trattamento per favorire un miglior equilibrio posturale o una migliore funzionalità della zona trattata; richiedono però molta abilità, soprattutto se applicate in zone delicate come il rachide cervicale, in quanto se vengono eseguite male (per esempio con troppa energia) possono avere effetti collaterali.
Tecniche di energia muscolareSi tratta di tecniche che richiedono una collaborazione attiva del paziente, il quale deve esercitare una spinta contro la resistenza dell’osteopata, quindi una contrazione muscolare, in una certa direzione. Anche in questo caso si tratta di tecniche dirette, tuttavia qui l’osteopata non usa la sua forza, ma utilizza quella del paziente; sono più sicure delle precedenti.
Tecniche articolatorie L’osteopata mobilizza un’articolazione in modo dolce e ripetuto per migliorare la mobilità locale. Sono tecniche dirette, ma molto dolci.
Tecniche funzionali Si tratta di tecniche indirette, in quanto non vanno a forzare la situazione, ma cercano di trovare un punto di equilibrio delle tensioni all’interno di un’articolazione (punto neutro) o di un tessuto, e di stimolare una risposta correttiva autonoma da parte dell’organismo. Tale risultato si dovrebbe ottenere se l’osteopata ha messo l’articolazione nelle condizioni di ottenere un rilasciamento.
Tecniche sui tessuti molli Contrariamente alle precedenti, queste tecniche non sono applicate sulle articolazioni, ma sui tessuti molli (muscoli e fasce connettivali). Sono tecniche di rilasciamento, a volte simili a un massaggio, e si possono utilizzare per rilasciare muscoli contratti, migliorare la circolazione locale, preparare il terreno a una successiva manipolazione.
Le fasce
“Non ho conoscenza di altra parte dell’organismo che eguagli la fascia quale terreno di caccia” (A.T. Still, La filosofia dell’osteopatia).
La fascia può essere definita come una rete di tessuto connettivo che si trova sotto la pelle e che copre e collega muscoli, organi e strutture ossee. Non è un tessuto inerte, ma ha funzioni di supporto e stabilizzazione meccanica, oltre a importanti funzioni metaboliche e di collegamento fra le varie strutture. Still dava enorme importanza alla fascia proprio per queste sue caratteristiche. Di fatto si tratta dell’elemento strutturale che garantisce l’unità del corpo umano, quindi ogni sua restrizione, in qualunque parte del corpo, può generare disfunzioni posturali o di movimento, così come stasi venosa e alterazioni metaboliche locali.
Esistono varie metodiche di trattamento fasciale, dirette e indirette, generalmente piacevoli per il paziente perché molto dolci. Alcuni osteopati le preferiscono perché spesso sono tecniche globali che permettono di ottenere la correzione di più articolazioni senza manipolazioni dirette.
Osteopatia in ambito viscerale
La manipolazione dei visceri, descritta già da Still nei suoi libri, non è stata considerata importante in passato forse perché comporta un approccio più difficoltoso rispetto alle strutture ossee e muscolari. Probabilmente l’osteopata che più di tutti ha dato risalto a questo aspetto è il francese Jean Pierre Barral, che ha scritto diversi libri sull’argomento.
I visceri possono essere sede di disfunzioni osteopatiche perché hanno una loro mobilità e intrattengono rapporti anatomici e neurologici con la struttura ossea e muscolare. Le cause più frequenti di disfunzione osteopatica viscerale sono le cicatrici chirurgiche e le aderenze conseguenti a importanti fenomeni infiammatori dei visceri o delle strutture che li circondano: a volte la causa è un trauma (addominale, toracico o pelvico), altre volte è un’iperattività del sistema nervoso autonomo. La disfunzione viscerale non è sinonimo di patologia viscerale.
L’alterazione di mobilità di un viscere (per visceri si intendono anche gli organi parenchimatosi, per esempio il fegato o i reni) può portare a varie conseguenze quali un riflesso viscerosomatico, un tentativo di compenso da parte delle strutture ossee e muscolari circostanti (con conseguente cambiamento della postura), una stasi venosa locale, in certi casi una compressione dei nervi periferici. Spesso il primo sintomo di un problema di origine viscerale è un dolore riferito al sistema muscoloscheletrico, che può manifestarsi come mal di schiena, dolore articolare o nevralgia.
Il trattamento in ambito viscerale si avvale di tecniche sia dirette sia indirette; in genere vengono preferite tecniche di mobilizzazione dei visceri, di rilasciamento fasciale e tecniche funzionali. L’osteopata preparato è in grado di manipolare i visceri senza fare male e soprattutto senza arrecare danno al paziente.
Osteopatia in ambito cranico
William Gardner Sutherland (1873-1954) era uno studente all’ultimo anno di osteopatia quando, osservando le suture di un cranio, ebbe l’intuizione che queste potessero permettere un minimo movimento alle ossa craniche. L’idea gli parve folle, dato che tutti sanno che le suture si saldano definitivamente già nel corso dell’infanzia, ma poiché non riusciva a togliersela dalla mente cominciò a studiare attentamente l’anatomia del cranio e fece anche molte prove su di sé (per esempio provò a tenere costretta a lungo la propria testa per valutare quali erano gli effetti). Nel corso dei suoi studi, che durarono circa 30 anni, iniziò a introdurre il trattamento cranico sui suoi pazienti, con ottimi risultati.
Nel 1939 Sutherland pubblicò un libricino, The Cranial Bowl (la scatola cranica), nel quale sosteneva che il cranio non era del tutto immobile, ma a modo suo respirava con un ritmo più lento rispetto alla respirazione toracica da lui definito meccanismo respiratorio primario. Nel 1947 alcuni suoi allievi fondarono la Cranial Academy, che si occupa di approfondire l’osteopatia in ambito cranico senza separarla dall’osteopatia in senso stretto. La teoria di Sutherland ha incontrato numerose resistenze nel mondo dell’osteopatia, e nonostante venga insegnata in tutte le scuole, trova ancora molti scettici. Di fatto Sutherland ha traghettato l’osteopatia verso i movimenti minimi, percepibili solo da mani ben allenate, capaci di sentire le minime variazioni di consistenza di un tessuto. I principi su cui si basa l’osteopatia in campo cranico (detta anche craniosacrale) sono i seguenti:
- la presenza di una motilità del sistema nervoso centrale, una pulsazione ritmica indipendente dalla respirazione toracica;
- la fluttuazione del liquido cefalorachideo all’interno del sistema nervoso (compreso il midollo spinale);
- la presenza di membrane interne al cranio (la dura madre, uno degli strati delle meningi) che di fatto collegano il sistema nervoso al cranio trasmettendo ad esso la motilità della massa cerebrale;
- la capacità delle singole ossa craniche di compiere minimi movimenti, permettendo al cranio un movimento di espansione laterale e conseguente ritorno. Durante questa fase di espansione ogni osso compie un suo movimento specifico, per cui il cranio cambia la sua forma in maniera invisibile (si parla di 15-25mm), ma percettibile manualmente;
- il movimento del sacro fra le ossa iliache durante questa respirazione fa sì che il sacro (punto terminale di inserzione della dura madre, che dal cranio si porta nel canale vertebrale) salga durante la fase di espansione (detta anche di flessione) e torni giù nella fase successiva. Anche in questo caso il movimento è percepibile solo manualmente.
Quelli appena elencati sono i cinque componenti del meccanismo respiratorio primario; alcuni osteopati teorizzano che il movimento delle ossa craniche in realtà non si compia attraverso le suture, ma con movimenti intraossei. Qual è l’interesse pratico di questa teoria? Se riportiamo i principi base dell’osteopatia in questo contesto, si può comprendere come i campi di applicazione si espandano notevolmente.
Le dolci manipolazioni applicate sul cranio e sul sacro permettono all’osteopata di agire sin dal primo giorno di vita dell’essere umano, in seguito al primo trauma: il parto. In un’indagine condotta dalla dottoressa Viola Frymann su 100 bambini di età compresa fra i 5 e i 14 anni che presentavano problemi di apprendimento o di comportamento, si scoprì che 79 erano nati dopo un lungo travaglio o un parto difficile e presentavano uno o più sintomi comuni del periodo neonatale.
Riconoscere e curare il malfunzionamento del meccanismo craniosacrale nell’immediato periodo post-natale rappresenta, quindi, una delle più importanti fasi della prevenzione nella pratica osteopatica.
Il cranio del neonato è strutturato per facilitare al massimo il parto, evitare il minimo trauma al suo cervello e ristabilire completamente la mobilità di tutte le sue parti una volta terminata la tensione del parto. In alcune circostanze (disfunzioni meccaniche del bacino, posizione scorretta del feto) il parto presenta però delle complicanze che rendono necessario il ricorso a varie manovre, spinte o addirittura al cesareo, e tali forze compressive possono traumatizzare la testa prima che le contrazioni uterine la spingano progressivamente verso il canale del parto.
Oltre ai neonati, tutti possono beneficiare del trattamento craniosacrale, in quanto un impedimento alla normale funzione del sistema nervoso e alla meccanica della regione occipito-atlantoidea, così come all’articolazione della mandibola, possono essere causa di un numero elevato di problemi funzionali, sintomi quali senso di testa vuota, sbandamento, cefalee, insonnia, dolori articolari, stanchezza (l’elenco dei problemi legati alla presenza di una disfunzione osteopatica a livello del sistema craniosacrale è troppo lungo per trovare spazio in questa sede). Anche a livello cranico esistono vari approcci: alcuni osteopati applicano tecniche di tipo più energico, altri utilizzano soprattutto tecniche indirette di riequilibrio, altri ancora utilizzano il modello funzionale oppure il modello detto biodinamico, basato sulla correzione dei fluidi.