Insufficienza coronarica

Incapacità delle arterie coronarie di fornire un apporto di sangue ossigenato adeguato alle esigenze del cuore, condizione nota anche come cardiopatia ischemica o malattia coronarica. Tipi di insufficienza coronarica Lo squilibrio che si viene a creare tra fabbisogno e apporto di sangue ossigenato può essere il risultato di due diversi meccanismi. Un’insufficienza coronarica primaria (la […]



Incapacità delle arterie coronarie di fornire un apporto di sangue ossigenato adeguato alle esigenze del cuore, condizione nota anche come cardiopatia ischemica o malattia coronarica.


Tipi di insufficienza coronarica

Lo squilibrio che si viene a creare tra fabbisogno e apporto di sangue ossigenato può essere il risultato di due diversi meccanismi. Un’insufficienza coronarica primaria (la cui causa è sconosciuta) si traduce in una riduzione del flusso sanguigno nelle arterie coronarie, mentre un’insufficienza coronarica secondaria (di cui si conosce la causa) corrisponde a un aumento della richiesta di ossigeno, per esempio nel corso di uno sforzo fisico, e all’impossibilità da parte del cuore di apportare tale supplemento di ossigeno.


Frequenza

Nei Paesi industrializzati, questa patologia è estremamente diffusa. In un gran numero di casi insorge improvvisamente in uomini e donne di mezza età, in buone condizioni di salute, ma i più colpiti sono gli anziani di età superiore ai 65 anni.

Nel corso degli ultimi 25 anni, il numero di decessi e invalidità legati all’insufficienza coronarica è diminuito. La ragione di questo calo potrebbe consistere da una parte in un miglior controllo dell’ipertensione arteriosa, che ne è una delle cause principali, dall’altra nei progressi tecnici compiuti nel campo dell’angioplastica e del bypass aortocoronarico. Inoltre, il trattamento dell’infarto del miocardio in fase acuta è diventato più efficace da quando sono state potenziate le strutture d’urgenza, mobili e ospedaliere, ed è stato introdotto l’utilizzo precoce dei trombolitici.


Cause

L’origine più comune di un’insufficienza coronarica è l’aterosclerosi: le coronarie vanno incontro a progressiva ostruzione via via che sulle loro pareti si depositano placche costituite da una sostanza grassa ricca di colesterolo, l’ateroma. Un trombo (coagulo sanguigno), formatosi a contatto con la superficie rugosa di queste placche, può in seguito aggravare la stenosi delle coronarie sino a determinarne l’occlusione. Le cause dell’aterosclerosi sono molteplici e connesse tra loro. I principali fattori di rischio sono la predisposizione genetica, malattie come il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa o determinate abitudini di vita (tabagismo, mancanza di attività fisica, sovrappeso e un’alimentazione ricca di latticini e grassi animali, che provoca un aumento eccessivo della colesterolemia). L’aumento dei livelli ematici di omocisteina (un aminoacido) e fibrinogeno costituisce un ulteriore fattore di rischio.

L’influenza della personalità, del comportamento e dello stress è ancora controversa. Alcuni medici pensano che l’infarto del miocardio sia più frequente nei soggetti con una personalità definita come di tipo A, attivi e intraprendenti (eternamente sotto pressione, sempre con l’occhio all’orologio, individui che non sopportano i ritardi e interrompono di continuo l’interlocutore). Si sa inoltre che l’infarto tende a colpire chi cade vittima della depressione, per esempio in seguito alla morte di un parente stretto o alla perdita del lavoro. Altri meccanismi riducono l’afflusso di ossigeno al cuore: una lesione dei piccoli vasi coronarici (microangiopatia), come nel diabete, un ispessimento della parete cardiaca, una riduzione dell’ossigeno nel sangue o l’incapacità del muscolo cardiaco di utilizzarlo.


Sintomi e segni

L’ateroma delle coronarie, che peraltro rimane a lungo asintomatico, può manifestarsi sia con angina pectoris, sia con infarto del miocardio.

L’angina pectoris è caratterizzata da oppressione o dolore toracico, che nella sua manifestazione classica vengono scatenati da uno sforzo e si attenuano a riposo. Può trattarsi di un dolore sordo al centro del petto oppure di una sensazione di costrizione che si propaga al collo o scende lungo il braccio (più spesso quello sinistro). In alcuni casi il dolore rimane localizzato al collo o al braccio. Il dolore causato dall’angina pectoris è tipico: spesso insorge dopo sforzi fisici della stessa intensità (per esempio dopo aver fatto una rampa di scale) e scompare dopo 1-2 minuti di riposo.

L’angina pectoris subentra quando il miocardio è costretto a compiere un lavoro più intenso, ma non riceve abbastanza sangue per farvi fronte. Se, per esempio, l’irrorazione di una regione del miocardio è completamente interrotta dalla presenza di un trombo, nella zona in questione si verifica un infarto (trombosi coronarica o crisi cardiaca). Il suo sintomo principale è un dolore intenso simile a quello dell’angina pectoris, ma che a differenza di quest’ultimo non si attenua a riposo e non necessariamente si esacerba sotto sforzo. Il malato può sentire freddo, sudare, accusare nausea e debolezza, talvolta perdere conoscenza.

L’angina pectoris e l’insufficienza coronarica possono determinare disturbi della conduzione cardiaca o del ritmo come l’aritmia (irregolarità del battito cardiaco), la cui intensità va dalle extrasistoli (contrazioni premature) alla tachicardia (accelerazione) e alla fibrillazione ventricolare (contrazione irregolare e inefficace del miocardio). Quest’ultima porta rapidamente alla perdita di coscienza e alla morte se non si risolve grazie a una defibrillazione elettrica (interruzione delle contrazioni anormali, non coordinate e continue del cuore applicando uno shock elettrico al torace).


Diagnosi ed esami

L’insufficienza coronarica può tradursi in una serie di sintomi tipici, che non lasciano dubbi riguardo alla diagnosi. Quest’ultima è poi confermata da alcuni esami complementari: elettrocardiografia, se si sospetta un infarto del miocardio, misurazione dei livelli ematici di creatinchinasi e delle transaminasi ALT e AST (enzimi prodotti dalla zona del miocardio colpita da necrosi). Un malato soggetto a crisi intermittenti di angina pectoris deve essere monitorato con esami elettrocardiografici, praticati sia a riposo sia durante attività fisica (prove da sforzo alla cyclette o al tapis roulant).

Se l’angina pectoris è frequente e invalidante, se le sue caratteristiche si modificano nel tempo o se è di recente insorgenza, lo stato del paziente può essere valutato con l’imaging cardiaco: l’angiografia coronarica, o coronarografia (radiografia previa iniezione di una sostanza radiopaca nelle coronarie), fornisce dati precisi e dettagliati riguardo alla sede delle stenosi (restringimenti o occlusioni) coronariche e alle eventuali lesioni miocardiche associate. Questi dati permettono di scegliere il miglior trattamento, medico o chirurgico.


Trattamento

L’angina pectoris trae beneficio da tutta la gamma dei farmaci che migliorano la circolazione coronarica o riducono il lavoro del cuore durante l’attività fisica: tra questi, la nitroglicerina e altri nitroderivati, i b-bloccanti, i vasodilatatori e i calcioantagonisti. In caso di insufficienza cardiaca, i vasodilatatori (ACE-inibitori) possono ottimizzare le performance cardiache. Se il trattamento medico non dà risultati o se sussistono lesioni molto gravi delle arterie coronarie, si può migliorare l’irrorazione del miocardio con un bypass aortocoronarico o un’angioplastica transluminale percutanea (dilatazione mediante palloncino della coronaria stenotica). L’infarto del miocardio è un’emergenza da affrontare in ambiente ospedaliero, somministrando trombolitici nel tentativo di sciogliere i trombi o, di preferenza, dilatando l’arteria responsabile con l’angioplastica.


Prognosi

Una volta che i sintomi si sono instaurati, il trattamento può fare molto per evitare che si aggravino. Dalle statistiche relative ai pazienti sottoposti a bypass aortocoronarico emerge che l’80-90% è ancora vivo 5 anni dopo l’intervento. Il tasso di sopravvivenza è anche migliore quando la malattia è in fase iniziale, perché in tal caso è richiesto solo un trattamento medico, e risulta nettamente più elevato nei pazienti che smettono di fumare.