Imaging
Ormai entrato a far parte del linguaggio medico corrente, il termine imaging indica tutte le applicazioni della diagnostica che si servono di apparecchiature in grado di produrre, e rendere quindi disponibili al medico, immagini di vario tipo da utilizzare nelle diverse metodiche cliniche impiegate; esso si riferisce dunque all’insieme delle tecniche e delle procedure utilizzate per ottenere immagini delle strutture del corpo umano tali da permettere di orientare la diagnosi. La diagnostica per immagini ha vissuto negli ultimi due decenni un cambiamento radicale e rivoluzionario che ha modificato non solo le sue tecniche, ma anche le sue possibilità pratiche e diagnostiche: organi prima esplorabili solo con difficoltà estrema o affatto, per esempio l’encefalo e il fegato, sono divenuti oggetto di studio diagnostico quotidiano in ogni reparto, mentre esami complessi, difficoltosi da eseguire e spiacevoli per il paziente come le contrastografie encefaliche o lo pneumoretroperitoneo sono diventati in pochissimi anni obsoleti e sono stati sostituiti da metodi di studio sofisticati, affidabili e soprattutto sicuri per il paziente in quanto del tutto (o quasi) privi di rischi e di inconvenienti.
Grazie ai progressi ottenuti nella creazione di immagini diagnostiche, dovuti in primo luogo all’impiego delle tecniche computerizzate (TAC, ecografia, risonanza magnetica ecc.) e
di forme di energia diverse dai “classici” raggi X, i risultati dell’imaging risultano sempre più somiglianti alle strutture anatomiche che hanno per oggetto, ricchi di dettagli e di più immediata comprensione, e il loro aspetto si avvicina molto a quello di una “normale” immagine.
Dalla scoperta dei raggi X (avvenuta nel 1895 a opera di Conrad W. Roentgen) ai giorni nostri, i progressi attinenti le applicazioni tecniche e mediche di questa metodica sono stati enormi.
I raggi X sono stati inizialmente impiegati solo nello studio delle ossa, che per il loro elevato contenuto di calcio creavano un contrasto naturale e quindi erano facilmente evidenziabili anche con applicazioni rudimentali della tecnica. Quasi contemporaneamente però (si era agli albori del XX secolo) è iniziato il lungo cammino della radiologia applicata alle malattie del torace e dei polmoni: inizialmente tali applicazioni erano dirette principalmente allo studio della tubercolosi, che in quegli anni era molto diffusa e rappresentava una vera “piaga” dell’umanità non solo per le difficoltà nella diagnosi ma anche per quelle concernenti la terapia.
Con l’avvento dei tubi radiologici ad anodo rotante, che consentivano esposizioni più brevi del soggetto alle radiazioni X e l’impiego di raggi X di potenza maggiore, nel primo dopoguerra l’impiego della radiologia si estese allo studio degli organi in movimento, a partire da quelli del tubo digerente (esofago, stomaco, duodeno e intestino). Si pensò allora di utilizzare la radio-opacità caratteristica di molti elementi a numero atomico elevato per somministrarli come sostanze di contrasto, utili cioè a evidenziare gli organi del corpo umano (sia cavi, sia a struttura densa) non visibili di per sé nelle radiografie; di queste sostanze sono sopravvissute ai tempi solo il solfato di bario e le molecole organiche contenenti iodio.
Grazie al miglioramento delle loro caratteristiche chimiche e biotossicologiche, fu possibile in seguito l’introduzione per via endovenosa di preparati opachi contenenti iodio.
Nacque così, nel periodo tra le due guerre, la cosiddetta contrastografia endovenosa: comprendeva l’urografia (per lo studio del rene e delle vie urinarie escretrici) e la colangio-colecistografia (per lo studio delle vie biliari e della colecisti).
Successivamente l’arteriografia, impiegata per lo studio dei distretti arteriosi e all’inizio molto complessa da eseguire, consentì di studiare per la prima volta l’albero vascolare e organi (tra cui fegato e pancreas) che risultavano praticamente invisibili agli altri esami radiologici.
Nel secondo dopoguerra, la radiologia andò incontro a un progressivo affinamento delle tecniche contrastografiche: la nascita della radiobiologia in conseguenza delle scoperte effettuate in campo nucleare introdusse il concetto di lesività delle radiazioni ionizzanti, dal quale conseguì una precisa regolamentazione nell’ impiego di tali radiazioni, a protezione sia degli operatori sanitari sia dei pazienti.
Cerca in Medicina A-Z