GOTTA E IPERURICEMIE -Iperuricemia asintomatica
Con il termine iperuricemia si intende una condizione caratterizzata, in assenza di qualsiasi sintomo, da valori di acido urico nel sangue tali da indurre il rischio di deposizione di urati nelle articolazioni o nei tessuti: la soglia è fissata a 7 mg/dl, valore al di sopra del quale è possibile la saturazione nel sangue dell’acido urico e quindi la sua precipitazione sotto forma di cristalli. In condizioni normali, la quantità totale di acido urico presente in forma diffusibile, a scambio rapido, nel plasma e nei liquidi interstiziali (il cosiddetto pool miscibile) è di circa 1000 mg, con oscillazioni che vanno dai 500 ai 1300 mg. Tale pool è mantenuto in equilibrio tra le “entrate” e le “uscite”: le prime (input) sono rappresentate dall’immissione in circolo di acido urico proveniente in maggior parte dalla produzione endogena di purine (pari a 600-700 mg) e in minor misura dall’apporto esogeno alimentare (200 mg) e da quello conseguente al catabolismo degli acidi nucleici tissutali (100 mg); le seconde (output) sono rappresentate in buona parte dall’escrezione urinaria (400-600 mg), in misura minore dall’eliminazione per via intestinale (100-200 mg). Considerato questo meccanismo di regolazione, un aumento dell’uricemia può riconoscere fondamentalmente due cause, vale a dire un aumento della sintesi o una ridotta eliminazione urinaria di acido urico.
L’apporto alimentare in realtà non costituisce una causa importante di iperuricemia, in quanto il massimo incremento di acido urico ottenibile con una dieta ricca in purine, così come la massima riduzione dell’uricemia conseguente a una restrizione alimentare di purine, è di 1 mg/dl. Tale constatazione, unita al fatto che gli atomi che costituiscono l’anello purinico riconoscono un’origine molto semplice e varia (CO2, glicina, glutamina, acido aspartico ecc.), è tra l’altro il motivo della limitata utilità delle diete ipopuriniche nel trattamento delle iperuricemie e della gotta.
L’entità del problema Se il valore al di sopra del quale si diagnostica l’iperuricemia è rappresentato dai 7 mg/dl, i valori normali dell’acido urico in realtà sono molto più bassi (in genere inferiori a 5-6 mg/dl nell’uomo e a 4-5 mg/dl nella donna).
Oltre che più elevati nel sesso maschile, i valori dell’uricemia tendono ad aumentare con l’età e sono più alti in alcune popolazioni, per esempio i Maori della Nuova Zelanda e i Micronesiani. Da uno studio eseguito alcuni anni fa in Piemonte (Rivetti Heart Study, 1990) si ricava che la prevalenza di iperuricemia nel nostro Paese (ovvero il numero complessivo di soggetti affetti dalla malattia in un certo periodo di tempo) è del 4,3% nei maschi e dello 0,9% nelle femmine, dato non dissimile da quello riportato in altri Paesi (Stati Uniti 4,4%, Finlandia 5,2%), mentre ben più elevata è la prevalenza presso la popolazione Maori, dove la percentuale supera il 40%.
Perché aumenta l’acido urico Le iperuricemie possono essere distinte in forme primarie, condizioni congenite caratterizzate da un difetto primitivo del metabolismo in gran parte ancora ignoto, e in forme (ben più frequenti) associate ad altre situazioni morbose; queste ultime sono provocate soprattutto da farmaci (in particolare diuretici e antipertensivi) o associate a obesità, diabete di tipo 2, sindrome metabolica e aterosclerosi.
Una classificazione più utile delle iperuricemie, anche in vista delle eventuali misure correttive da instaurare, può essere quella che le distingue in forme da eccessiva produzione (per esempio conseguenti a leucemie e ad agenti citotossici) e forme da ridotta eliminazione urinaria degli urati (per esempio conseguenti a malattie renali, acidosi o assunzione di farmaci).
Esiste una stretta correlazione tra i valori plasmatici di acido urico e parametri quali il peso corporeo, con particolare riferimento alle condizioni in cui questo è in eccesso (sovrappeso o vera e propria obesità). La frequenza dell’iperuricemia infatti passa, a seconda che il sovrappeso sia del 20% o del 60-80%, da poco più del 2% a oltre l’8,5% per valori di uricemia compresi tra 7,5 e 9 mg/dl, e dall’1% al 2,5% per valori di uricemia superiori ai 9 mg/dl.
Il diabete mellito può causare una riduzione del tasso plasmatico di acido urico (ipouricemia), come capita nel caso del diabete di tipo 1, con marcata escrezione urinaria di glucosio e di acido urico; del resto, si può anche verificare un aumento dell’acido urico (iperuricemia), come avviene nel caso della chetoacidosi o del diabete di tipo 2, dell’iperinsulinismo e dell’obesità (sindrome metabolica).
La sindrome metabolica (o sindrome da insulinoresistenza) è un quadro clinico, molto frequente nei soggetti di media età, caratterizzato dalla contemporanea presenza di più alterazioni metaboliche legate alla resistenza periferica all’insulina e al conseguente iperinsulinismo. Obesità viscerale, alterata tolleranza ai carboidrati o diabete di tipo 2, ipertensione arteriosa, alterazione dei grassi del sangue (dislipoproteinemia, caratterizzata da aumento dei trigliceridi e riduzione del cosiddetto colesterolo buono legato alle HDL, ovvero alle lipoproteine ad alta densità) e iperuricemia sono le anomalie che frequentemente si riscontrano associate nei soggetti con tale sindrome, per i quali rappresentano altrettanti fattori di rischio di malattie aterosclerotiche; le complicanze cardiovascolari sono in effetti molto frequenti nei soggetti affetti da sindrome metabolica.
Le situazioni di chetosi comportano inevitabilmente iperuricemia, in quanto la riduzione del pH si accompagna a una riduzione dell’uricuria, necessaria per consentire l’eliminazione urinaria alternativa degli idrogenioni: classico esempio di acidosi metabolica (oltre alla chetoacidosi diabetica) è il digiuno, situazione nella quale l’organismo è costretto a formare chetoni per consentire un’adeguata produzione di glucosio a livello del fegato. Lo stadio di iperuricemia asintomatica intercorre tra la comparsa di elevati livelli di acido urico nel sangue e la prima manifestazione gottosa, in genere rappresentata da un primo attacco acuto di gotta: si tratta pertanto di un periodo piuttosto lungo, che in genere può restare tale per tutta la vita e che solo in determinati soggetti, a seguito di cause non ancora del tutto chiarite, sfocia nel quadro clinico sintomatico della gotta.
Approccio diagnostico Il semplice sospetto di un’iperuricemia o di un quadro gottoso deve indurre a un approfondimento diagnostico indirizzato sia alla conferma dell’iperuricemia, e quindi alla contemporanea valutazione della escrezione urinaria basale dell’acido urico (uricuria), sia all’individuazione delle sue eventuali cause.
Oltre all’uricemia è di grande importanza, specie ai fini di una corretta impostazione terapeutica, la valutazione dell’uricuria delle 24 ore, cioè dell’escrezione in 24 ore dell’acido urico nelle urine: tale valutazione consente, se eseguita in condizioni basali (con paziente che da almeno tre giorni segue una dieta povera di alimenti che portano alla produzione di purine), di verificare se soggetti sono normali escretori (300-600 mg al giorno), aumentati escretori (oltre 600 mg al giorno) o ridotti escretori (meno di 300 mg al giorno).
In assenza di una corretta preparazione dietetica, i valori di riferimento risulteranno superiori di circa 200 mg.
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