Primo Soccorso
Traumi scheletrici
Che cosa sono
L’emorragia è una fuoriuscita di sangue dall’apparato cardiocircolatorio. Perché abbia luogo un’emorragia è necessario che si verifichi una lesione a piena parete di un vaso (arterioso o venoso) o del cuore. Inoltre è necessario che, in corrispondenza della lesione, la pressione del sangue circolante superi la pressione dell’ambiente, in modo da potervisi riversare. Questa precisazione potrebbe apparire superflua se riferita alle emorragie che si verificano alla superficie del corpo (emorragie esterne), poiché la pressione del sangue, in qualunque arteria o vena, è in genere superiore a quella atmosferica. Va però considerato che le emorragie si verificano anche all’interno del corpo (emorragie interne), ove la pressione dei tessuti può essere più elevata di quella atmosferica e può quindi limitare la fuoriuscita di sangue dai vasi lesi. Per esempio, nelle grandi masse muscolari, molto sollecitate durante gli sforzi, si verificano spesso lesioni di piccoli vasi, senza che tuttavia si osservino apprezzabili emorragie. Il sangue, in questo caso, ha difficoltà a farsi strada nell’interstizio muscolare, compresso da guaine, legamenti e tendini. Per la stessa ragione riusciamo ad arrestare un’emorragia esterna quando applichiamo sulla lesione cutanea sanguinante una pressione superiore a quella con cui il sangue è “spinto” fuori. Ma, di preciso, con quale pressione il sangue viene “spinto fuori” da un vaso? La pressione media del sangue che scorre nelle venule è di 10 mmHg superiore a quella atmosferica (d’ora in poi, per semplicità, diremo semplicemente che è “di 10 mmHg”), mentre nelle arteriole è di 90 mmHg durante la sistole cardiaca e di 70 mmHg durante la diastole. Si capisce quindi come sia molto più facile arrestare un’emorragia che proviene da un vaso venoso (emorragia venosa) che non un’emorragia arteriosa: la pressione esterna da applicare per controbilanciare la fuoriuscita del sangue è infatti molto inferiore. Si capisce inoltre perché le emorragie venose si presentino come lenti spandimenti superficiali di sangue, mentre nelle emorragie arteriose il sangue zampilla fuori dalla ferita con spruzzi intermittenti che possono raggiungere anche diversi centimetri di altezza, perfettamente sincronizzati con i battiti cardiaci. Questa caratteristica fa sì che, a parità di grandezza della lesione vascolare, la perdita di sangue in un determinato periodo di tempo sia molto superiore nelle emorragie arteriose rispetto a quelle venose.
Segni e sintomi
Le emorragie esterne sono evidenti per la fuoriuscita di sangue da una lesione cutanea. Le emorragie interne, anche gravi, possono rimanere occulte anche per ore, ritardando pericolosamente gli interventi terapeutici. Se il sanguinamento interno si verifica in una cavità comunicante con l’esterno (per esempio il tubo digerente, la vescica, l’utero, i bronchi) il sangue perduto può rendersi visibile se viene espulso, per esempio dallo stomaco col vomito (ematemesi), dall’intestino con le feci (ematochezia, melena), dalla vescica con l’urina (ematuria), dai bronchi con la tosse (emoftoe, emottisi), o dalla vagina (metrorragia). Al contrario, nei sanguinamenti in cavità chiuse, come l’addome (emoperitoneo), la pleura (emotorace), il pericardio (emopericardio), la cavità cranica (emorragia cerebrale), il sangue rimane nascosto all’interno del corpo e la sua fuoriuscita può essere sospettata solo perché va a occupare spazi normalmente destinati ad altri organi, disturbandone il funzionamento. Per esempio, l’emotorace comprime il polmone, provocando difficoltà respiratorie; le emorragie cerebrali comprimono il cervello determinando disturbi neurologici. Peraltro, se il compartimento di raccolta del sangue è molto ampio e contiene organi che possono cedere almeno in parte lo spazio che occupano (come nella cavità addominale, nella quale l’intestino può essere compresso e spostato senza alcun danno), l’emorragia può rimanere asintomatica (o quasi), almeno finché non raggiunge una certa entità. Infatti, a prescindere dalla sede in cui si verificano, le grandi emorragie provocano sempre sintomi generali, per la progressiva diminuzione del volume di sangue circolante (ipovolemia). Le perdite di sangue inferiori al 15% della massa ematica totale provocano pochi disturbi; tuttavia, se la perdita raggiunge il 15%-30% si osserva un aumento della frequenza cardiaca e della frequenza respiratoria, la cute diventa pallida, soprattutto alle estremità, e la diuresi si contrae (oliguria). Queste manifestazioni possono essere interpretate come tentativi del corpo di “sfruttare al meglio il poco sangue rimasto”: il cuore e il respiro accelerano, per garantire accettabile nutrimento e ossigenazione ai tessuti; i vasi cutanei e muscolari si restringono (vasocostrizione) per dirottare il loro sangue verso organi più critici per la sopravvivenza; i reni trattengono quanta più acqua possibile, in modo da aumentare il volume del sangue circolante. Una perdita ancora superiore, tra il 30% e il 40%, determina marcata tachicardia e tachipnea, sudorazione fredda, calo della pressione arteriosa, indebolimento dei polsi, ansia e confusione mentale, per la scarsa irrorazione del cervello. Se viene perduto di più del 40% del sangue circolante l’ipovolemia diviene critica per la sopravvivenza (shock ipovolemico emorragico): i polsi scompaiono, il paziente diventa letargico o comatoso, i reni smettono di produrre urina e può sopraggiungere la morte.
Altro inPrimo Soccorso