Affezione neurologica cronica a evoluzione progressiva, caratterizzata da un’alterazione intellettuale irreversibile che sfocia in uno stato di demenza.
Il morbo di Alzheimer è caratterizzato da una degenerazione nervosa a evoluzione non reversibile, causata dalla diminuzione del numero di neuroni con atrofia cerebrale e presenza di “placche senili”.
Cenni storici
Nel 1906 il neuropatologo tedesco Alois Alzheimer descrisse le alterazioni anatomiche osservate sul cervello di una paziente di 51 anni che manifestava demenza, allucinazioni e disturbi dell’orientamento.
Da allora il morbo di Alzheimer viene definito demenza presenile, poiché è stato documentato che può manifestarsi prima dei 65 anni di età. La comunità scientifica comprende oggi sotto la denominazione di demenza di tipo Alzheimer il morbo di Alzheimer in senso stretto e i diversi tipi di demenza senile.
Frequenza
Il morbo di Alzheimer è il tipo di demenza senile più frequente. La sua incidenza, a livello globale e nei pazienti di età superiore ai 65 anni, è compresa tra l’1 e il 5,8% e aumenta con l’età, colpendo il 10% della popolazione ultraottantacinquenne.Studi epidemiologici hanno mostrato che la frequenza del morbo diminuisce a seguito di trattamenti antinfiammatori non steroidei e con il consumo moderato di bevande alcoliche. Nei Paesi industrializzati, dove la speranza di vita non cessa di aumentare, il morbo di Alzheimer è oggi considerato una vera e propria piaga a livello sanitario e socioeconomico.
Cause
L’eziologia del morbo di Alzheimer è tuttora sconosciuta. Sono state formulate diverse teorie, ma nessuna è del tutto soddisfacente o è stata interamente verificata.
Ipotesi neurochimica Si basa sulla diminuzione del tasso di un enzima, la colina acetiltransferasi, in alcune zone del cervello (corteccia e ippocampo). Questo deficit comporterebbe una diminuzione dell’acetilcolina (neurotrasmettitore, sostanza chimica preposta alla trasmissione dell’impulso nervoso), ma non rende conto della degenerazione nervosa.
Ipotesi genetica Si basa su studi epidemiologici che rivelano l’esistenza di antecedenti familiari nel 15% dei soggetti colpiti. In queste famiglie viene constatata inoltre una maggiore probabilità di nascite di bambini con trisomia 21, ma le ragioni di questa associazione non sono ancora state determinate.
Ipotesi virale È supportata da analogie con la malattia di Creutzfeldt-Jakob, una patologia cerebrale rara che colpisce le persone anziane. Tuttavia, quand’anche esistesse un agente infettivo responsabile del morbo di Alzheimer, la sua espressione richiederebbe un determinato contesto genetico, immunitario o tossico.
Ipotesi immunologica Si basa sulla diminuzione globale del numero di linfociti circolanti e su una maggiore presenza di autoanticorpi. Questi disturbi sono tuttavia frequenti in età anziana, anche in assenza di qualunque forma di demenza.
Ipotesi vascolare e metabolica Si basa su una riduzione del flusso sanguigno cerebrale, dell’ossigenazione del sangue e della sua capacità di captare il glucosio. Questi disturbi sono tuttavia frequenti in età avanzata, anche in assenza di demenza.
Ipotesi tossica Si basa su un aumento del tasso di alluminio nel cervello. Concentrazioni cinque volte superiori in pazienti dializzati non producono tuttavia alcuna degenerazione nervosa.
Ipotesi dei radicali liberi Si basa sul fatto che l’invecchiamento è in parte dovuto agli effetti distruttori di tali elementi. Sono in corso numerose ricerche in questa direzione.
Sintomi e segni
Inizialmente la malattia si manifesta con sintomi banali, variabili da un soggetto all’altro, che si aggravano nel tempo. Le turbe mnesiche costituiscono il primo sintomo della malattia: possono essere isolate e protrarsi per diversi mesi o vari anni. Il paziente non riesce a ricordare il nome di una persona o di un luogo ben noti e presenta alterazioni dell’orientamento spazio-temporale. In un secondo tempo, il paziente non è più in grado di ricordare gli episodi salienti della sua vita e le persone conosciute in ambito scolastico o professionale, sino a manifestare la perdita del proprio bagaglio culturale. Disturbi del comportamento sono anch’essi relativamente precoci, ma sono riscontrabili soltanto molto più tardi rispetto alla loro comparsa. Il paziente mostra indifferenza e appare meno attivo di un tempo; tali manifestazioni rappresentano una reazione del soggetto ai disturbi mnemonici, ma sono talora dovute a una sindrome depressiva. Possono inoltre presentarsi disturbi del carattere (irritabilità, manie di persecuzione).
Disturbi del linguaggio (afasia) possono passare in un primo tempo inosservati: il paziente non riesce a evocare le parole e utilizza spesso perifrasi e termini generici. In seguito l’afasia si manifesta chiaramente: i discorsi sono poco informativi o incoerenti, alcune sillabe o parole vengono invertite o sostituite. Si instaurano gravi difficoltà di comprensione del linguaggio.
I disturbi dell’attività motoria consistono nella difficoltà a compiere gesti quotidiani (vestirsi, tenere in mano una forchetta), anche se il paziente non soffre di alcuna paralisi. Turbe nel riconoscimento dei volti non consentono più al paziente di distinguere i propri cari o la propria immagine riflessa in uno specchio. La malattia può iniziare talvolta con uno stato confusionale spontaneo o scatenato dall’assunzione di farmaci (in particolare anticolinergici), da una malattia o da uno shock affettivo (scomparsa di una persona cara, trasloco).
Diagnosi
Il primo consulto medico e le prime avvisaglie di autentica preoccupazione nei familiari sono spesso concomitanti e avvengono in genere quando la malattia ha già raggiunto uno stadio avanzato. L’esame clinico rileva gravi disturbi della memoria, in particolare la dimenticanza quasi immediata di un’azione che il soggetto intendeva compiere o di un concetto che voleva esprimere. Test psicologici mostrano un’alterazione delle capacità intellettuali. In assenza di un marcatore biologico o radiologico del morbo di Alzheimer, la diagnosi si basa su numerosi fattori. Innanzitutto occorre accertarsi che il paziente non sia affetto da una malattia che determina disturbi simili a quelli del morbo di Alzheimer: ipotiroidismo, sifilide, anemia di Biermer, deficit di vitamina B12 o di folati, tumore cerebrale, ematoma sottodurale o lesioni vascolari cerebrali. Tecniche di imaging come la TC e la risonanza magnetica rivelano atrofie cerebrali che, pur non essendo specifiche del morbo di Alzheimer (sono presenti infatti in molti soggetti sani), nel caso in cui si aggravino progressivamente e predominino nella zona parieto-occipitale hanno un certo valore diagnostico. Solo lo studio al microscopio di un frammento di corteccia cerebrale prelevato chirurgicamente può confermare la diagnosi, ma tali biopsie sono praticate solo eccezionalmente. La risonanza magnetica consente di localizzare meglio le zone cerebrali colpite e di seguire l’evoluzione della malattia, in particolare in risposta ai trattamenti.
Evoluzione
L’evoluzione del morbo di Alzheimer è piuttosto rapida. In fase avanzata, il malato perde autonomia e va assistito in tutte le azioni quotidiane (camminare, alzarsi, mangiare o lavarsi). L’incontinenza totale è generalmente inevitabile.
Trattamento
Il trattamento deve comprendere cure palliative volte ad alleviare l’intensità dei sintomi. Possono essere prescritti antidepressivi per migliorare l’umore del malato e il suo stato ansioso, ma occorre evitare gli antidepressivi triciclici per le loro proprietà anticolinergiche. In generale, è bene non prescrivere alcun farmaco anticolinergico. Di fatto, il trattamento consiste essenzialmente nel farsi carico dei bisogni del malato da parte dei familiari o di un badante a domicilio. È fondamentale che, per quanto possibile, il paziente resti autonomo e non venga allontanato dal proprio domicilio, rimandando il ricovero ospedaliero alla sola fase terminale della malattia. Diversi medicinali che ovviano alla carenza di acetilcolina sono in grado di alleviare i sintomi e rallentare la progressione della malattia. La tacrina, che causava effetti secondari a carico del fegato, è stata oggi sostituita da donepezil o rivastigmina, meglio tollerati. La galantamina, sviluppata di recente, sembra molto promettente.
Ricerche genetiche
Nonostante il morbo di Alzheimer abbia varie cause, alcune forme familiari che compaiono precocemente (prima dei 65 anni) sembrano originare da un fattore ereditario trasmesso con modalità autosomica (cromosomi non sessuali) dominante. È sufficiente che il gene venga trasmesso da uno dei due genitori perché la malattia si sviluppi nel figlio. Studi genetici hanno permesso di comprendere che i geni di codifica della proteina β-amiloide, la cui presenza (sotto forma di depositi eccessivi nelle placche degenerative cerebrali) è caratteristica della malattia, sono localizzati sui cromosomi 19 e 21. Inoltre, ricerche compiute da ricercatori francesi nel 1992 e volte all’elaborazione della mappa del genoma umano (insieme dei geni presenti nei cromosomi della specie) hanno consentito di localizzare un terzo gene sul cromosoma 14. Il gene che codifica l’apolipoproteina (ApoE), molecola attiva nella formazione di depositi amiloidi nel cervello, sarebbe associato a un rischio maggiore di sviluppare l’Alzheimer.