Cure palliative
L’assistenza a una persona affetta da malattia inguaribile trova oggi il suo riferimento in un articolato complesso di conoscenze, comportamenti e abilità che va sotto il nome di cure palliative.
Questa situazione è caratterizzata da una fase di rapida progressione verso la terminalità in cui coloro che assistono e, sempre più spesso, anche il malato stesso, acquisiscono consapevolezza che la morte, in quanto diretta conseguenza della malattia, non è più in alcun modo procrastinabile.
Il termine “palliativo”, nella lingua italiana, ha per lo più una connotazione negativa. Si tende infatti a considerare palliativo tutto ciò che non permette di risolvere il problema e, nel caso della malattia, tutto ciò che non aiuta a raggiungere la guarigione. In questo senso le cure palliative potrebbero essere intese come un mesto ripiego della medicina, incapace di dare risposte efficaci ad alcune patologie, prima fra tutte il cancro.
Tali cure, invece, rappresentano il frutto visibile di un fermento culturale nuovo che si è prodotto all’interno della medicina, anche se molti operatori della salute, medici e non, si trovano impreparati e disorientati a fronte degli obiettivi che esse pongono. La vera novità è l’avere messo in discussione un certo modo di curare e l’avere contestato la visione univoca di una medicina sempre vincente.
L’inguaribilità e la “prognosi infausta” (ossia la prospettiva di un’impossibile guarigione, con un decorso di malattia più o meno rapidamente ingravescente) mettono in evidenza i limiti di questa medicina e nel contempo ne definiscono i confini.
Le cure palliative obbligano tutti coloro che sono coinvolti a vario titolo nel processo di cura, indipendentemente dallo specifico ruolo svolto, a una presa di coscienza importante e a una risposta complessa che tenga conto, con maggiore evidenza, della volontà del malato piuttosto che dei risultati proposti dalla scienza, che a volte possono anzi rappresentare un inutile o sproporzionato intervento, definito comunemente accanimento terapeutico.
Le cure palliative, in altre parole, sono la risultante di un nuovo modo di affrontare le problematiche della malattia inguaribile e trovano la loro piena accezione nella fase delle cure “di fine vita” (end of life care) in cui l’evento ultimo, ossia la morte del malato, dovrebbe rappresentare per tutti più il compimento naturale della vita che un’angosciata disperazione.
Accettare i limiti e la fragilità dell’essere umano e in primo luogo la caducità della vita, che può terminare a ogni età e non per questo essere “innaturale”, è la condizione cui si vorrebbe portare non solo ogni ammalato, ma anche coloro che si apprestano a curarlo e/o ad accompagnarlo alla fine della sua esistenza.
L’umana sofferenza che contraddistingue le ultime fasi della vita del malato ha vaste implicazioni e richiede molto di più di un’attenzione biomedica o di una semplice assistenza sanitaria. Coinvolge, infatti, anche il piano dell’etica, della cultura, delle religioni, delle relazioni sociali e dell’organizzazione dell’assistenza. Affrontare le problematiche delle cure palliative significa quindi porsi in una prospettiva molto ampia che deve tener conto anche della società attuale, caratterizzata da differenti stili di vita, da una crescente multietnicità, da livelli di benessere molto stratificati, da contesti estremamente diversi per cultura e tradizioni.
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