Con l’espressione reflusso gastroesofageo si intende il passaggio di una parte del contenuto dello stomaco nell’esofago. Questo fenomeno si verifica in tutte le persone per brevi periodi di tempo durante la giornata (per lo più dopo i pasti) e non viene generalmente avvertito, ma in alcuni soggetti risulta aumentato per intensità e durata, provocando sintomi specifici e talora una vera e propria malattia (la MRGE, malattia da reflusso gastroesofageo). Ciò dipende dal fatto che il contenuto dello stomaco è acido (cioè con un pH molto basso), mentre il rivestimento dell’esofago non è adatto per questo tipo di sostanza, che può quindi determinare su di esso vere e proprie lesioni. Meno frequentemente, parte del materiale che risale nell’esofago proviene addirittura dal duodeno: in questi casi il danno viene provocato sia da sostanze acide sia da sostanze alcaline oltre che, probabilmente, dall’azione irritante degli enzimi pancreatici e dei sali biliari.
L’insorgenza della MRGE dipende da un’alterazione dei meccanismi di difesa dell’esofago contro il reflusso. Tali meccanismi consistono in:
- una vera e propria barriera meccanica, corrispondente a un muscolo circolare, lo sfintere esofageo inferiore, localizzato nel punto di passaggio tra l’esofago e lo stomaco, che si apre dopo la deglutizione per lasciar passare gli alimenti, ma che si richiude successivamente per impedire il loro ritorno nell’esofago;
- meccanismi di “pulizia” dell’esofago, che corrispondono ai movimenti per la progressione del cibo ingerito (detti peristaltici), mediante i quali si agevola il rapido ritorno nello stomaco di eventuale materiale refluito e si consente inoltre il passaggio nell’esofago della saliva, che grazie al suo pH alcalino esercita un vero e proprio effetto anti-acido;
- alcuni fattori che limitano il danno da parte dell’acido, rappresentati essenzialmente dal rivestimento interno dell’esofago e dallo strato di muco, saliva e secreto ghiandolare che lo ricopre.
Il reflusso gastroesofageo può essere favorito da alcune condizioni che limitano i meccanismi di difesa sopra elencati. Per esempio alcuni alimenti e il fumo riducono il tono dello sfintere esofageo inferiore, mentre la posizione distesa riduce l’efficacia dei movimenti peristaltici esofagei.
Come già accennato, talora la MRGE può essere complicata dall’insorgenza di vere e proprie lesioni. Tra di esse la più frequente è l’esofagite, cioè un’infiammazione dell’esofago che può avere una gravità variabile da lieve (con piccole erosioni) a severa (con ulcere e restringimenti cicatriziali dell’esofago). In caso di reflusso gastroesofageo severo e prolungato si può verificare la sostituzione del rivestimento interno tipico dell’esofago con uno che assomiglia a quello presente nell’intestino: questa patologia prende il nome di esofago di Barrett. È da sottolineare, però, che spesso non esiste un rapporto diretto tra la comparsa di queste lesioni e la gravità dei sintomi lamentati dai pazienti: questi ultimi possono presentare dei disturbi (soprattutto atipici) che peggiorano molto la loro qualità della vita, ma non delle lesioni esofagee rilevanti, mentre al contrario si possono evidenziare importanti lesioni in pazienti pressoché asintomatici.
Sintomi e segni
Il reflusso gastroesofageo provoca alcuni sintomi tipici (per esempio pirosi e rigurgito acido) e altri atipici (tra cui dolore toracico, disturbi respiratori quli la tosse o l’asma, affezioni della bocca e della faringe come la difficoltà a inghiottire e la raucedine).
Il sintomo più frequente e tipico della MRGE è la pirosi, che consiste in una sensazione di bruciore localizzata in posizione centrale nel punto di passaggio tra addome e torace. Talvolta questo disturbo si estende fino al collo, alla parte inferiore della testa e alle braccia. Esso si può verificare in qualsiasi momento della giornata, ma è più frequente dopo i pasti e nei momenti in cui il paziente è in posizione distesa. Un altro sintomo tipico della MRGE è il rigurgito, che consiste nella risalita del contenuto dello stomaco fino alla bocca e che può determinare una sensazione di gusto amaro o acido.
I sintomi atipici interessano il 20-30% dei pazienti con MRGE, talora anche senza che siano presenti sintomi tipici associati. I questi casi la diagnosi è più difficile e spesso viene effettuata dopo aver escluso malattie polmonari od otorinolaringoiatriche.
Diagnosi
La diagnosi di MRGE si basa innanzitutto sulla raccolta dei disturbi (più o meno tipici) lamentati dal paziente. A questo proposito sono stati formulati anche degli specifici questionari, che consentono una valutazione più accurata e confrontabile in momenti diversi. La diagnosi si avvale poi di diverse metodiche strumentali. Una di esse, la radiografia del primo tratto del tubo digerente per valutare il calibro dell’esofago e l’eventuale presenza di un’ernia iatale, viene oggi utilizzata solo nei casi in cui non può essere effettuata l’esofagogastroduodenoscopia (EGDS, meglio nota come gastroscopia). Quest’ultima consiste nell’esplorazione della prima parte del tubo digerente con una sonda tubulare flessibile dotata di una microtelecamera, che viene introdotta attraverso la bocca: in questo modo si può valutare la continenza dello sfintere esofageo inferiore, documentare un’eventuale ernia iatale e definire l’entità dell’esofagite. Tramite l’EGDS è inoltre possibile effettuare delle biopsie, la cui analisi permette di identificare un esofago di Barrett o eventuali malattie neoplastiche dell’esofago in fase iniziale. L’EGDS rappresenta quindi l’esame base per porre la diagnosi di reflusso gastroesofageo e delle sue complicanze, ed è sempre necessario eseguirla in caso di sintomi da reflusso persistenti da lungo tempo o insorti recentemente nei pazienti con età superiore a 45 anni, se sono presenti sintomi atipici non spiegabili da altre patologie, se non vi è risposta alla terapia standard, se sono presenti dei sintomi di allarme (perdita di peso, inappetenza, difficoltà nella progressione del cibo in esofago, vomito o sanguinamento). L’EGDS può essere evitata nei pazienti giovani con sintomi da reflusso che rispondono bene alla terapia, e non è necessario ripeterla dopo che è stata posta la diagnosi, a meno che non vi sia una variazione dei sintomi.
Altre indagini utilizzate meno frequentemente consentono di documentare e di quantificare direttamente l’entità del reflusso. Tra queste le più importanti sono la pH-metria (che consiste nella misurazione per 24 ore dell’acidità all’interno dell’esofago tramite una piccola sonda introdotta attraverso il naso) e la manometria (anch’essa effettuata con una sonda introdotta tramite il naso, consente di studiare la pressione e l’attività peristaltica dell’esofago e la funzionalità dello sfintere esofageo inferiore). Questi due esami vengono riservati in genere ai casi in cui sono presenti sintomi persistenti ma in cui l’EGDS è normale, oppure alla valutazione prima e dopo un intervento chirurgico per reflusso gastroesofageo. Un’ulteriore metodica di recente introduzione nella valutazione della MRGE è l’impedenziometria, che consente di registrare in maniera molto accurata gli episodi di reflusso anche di tipo alcalino o poco acido e di differenziare tra il reflusso gassoso e quello liquido (che pare essere quello maggiormente correlato con la MRGE). Tale tecnica, tuttavia, è ancora in fase di studio e non è disponibile nella maggior parte degli ospedali.
Terapia
La terapia della MRGE ha lo scopo di alleviare i sintomi e di far guarire o prevenire l’insorgenza delle lesioni esofagee; può essere distinta in medica o chirurgica e in terapia per la fase acuta o a lungo termine.
In presenza di un reflusso di recente insorgenza, la terapia utilizzata è quella medica, consistente nell’adozione di abitudini quotidiane che possono ridurre l’entità del reflusso e nell’utilizzo di farmaci che consentono di abbassare l’acidità del materiale che refluisce dallo stomaco. Questi farmaci appartengono essenzialmente a due categorie: i cosiddetti antiacidi (che contrastano l’acidità del materiale gastrico con un meccanismo chimico; questi farmaci sono disponibili in forma di compresse, sciroppi o bustine e vanno assunti in genere più volte al giorno) e i farmaci che riducono la produzione di succhi acidi da parte dello stomaco stesso (quelli di gran lunga più utilizzati ed efficaci sono i cosiddetti inibitori della pompa protonica, PPI, dei quali sono disponibili molte diverse molecole e prodotti commerciali). Dopo aver risolto i sintomi acuti con questi farmaci è possibile tentarne la sospensione; in caso di recidiva dei disturbi, peraltro molto comune, può essere impiegata una terapia a lungo termine con lo stesso farmaco che è risultato efficace nella fase acuta, ma al dosaggio più basso che consente di controllare i sintomi; la terapia a lungo termine può anche essere effettuata a giorni alterni, a cicli oppure al bisogno. Nei pazienti con sintomi atipici di MRGE è spesso necessaria una terapia con PPI a dosaggio elevato per controllare completamente i sintomi. In presenza di esofagite è indispensabile una terapia con PPI prolungata (per 1-3 mesi, a seconda della gravità) per far guarire le lesioni. Nei pazienti con esofagite severa o con frequenti recidive dei sintomi è consigliabile una terapia di mantenimento continuativa, anche per prevenire possibili complicanze come i restringimenti cicatriziali o l’esofago di Barrett. In caso di sintomi persistenti per lungo tempo, anche in corso di terapia medica a dosaggio massimale, e in presenza di complicanze severe della MRGE, in particolare nei pazienti giovani, può essere utilizzata la terapia chirurgica. Essa consiste in un intervento di gastroplastica il cui nome tecnico è fundoplicatio secondo Nissen: l’intervento consiste nell’avvolgere il fondo gastrico attorno all’ultima parte dell’esofago, in modo da migliorare la continenza dello sfintere esofageo inferiore. Questa operazione, che può essere effettuata eventualmente anche in laparoscopia, ma che non è comunque priva di possibili complicanze e non sempre garantisce un esito soddisfacente, viene riservata solo a casi gravi e selezionati. [E. G.]