Primo Soccorso
Traumi scheletrici
Segni e sintomi
Le emorragie esterne sono evidenti per la fuoriuscita di sangue da una lesione cutanea. Le emorragie interne, anche gravi, possono rimanere occulte anche per ore, ritardando pericolosamente gli interventi terapeutici. Se il sanguinamento interno si verifica in una cavità comunicante con l’esterno (per esempio il tubo digerente, la vescica, l’utero, i bronchi) il sangue perduto può rendersi visibile se viene espulso, per esempio dallo stomaco col vomito (ematemesi), dall’intestino con le feci (ematochezia, melena), dalla vescica con l’urina (ematuria), dai bronchi con la tosse (emoftoe, emottisi), o dalla vagina (metrorragia). Al contrario, nei sanguinamenti in cavità chiuse, come l’addome (emoperitoneo), la pleura (emotorace), il pericardio (emopericardio), la cavità cranica (emorragia cerebrale), il sangue rimane nascosto all’interno del corpo e la sua fuoriuscita può essere sospettata solo perché va a occupare spazi normalmente destinati ad altri organi, disturbandone il funzionamento. Per esempio, l’emotorace comprime il polmone, provocando difficoltà respiratorie; le emorragie cerebrali comprimono il cervello determinando disturbi neurologici. Peraltro, se il compartimento di raccolta del sangue è molto ampio e contiene organi che possono cedere almeno in parte lo spazio che occupano (come nella cavità addominale, nella quale l’intestino può essere compresso e spostato senza alcun danno), l’emorragia può rimanere asintomatica (o quasi), almeno finché non raggiunge una certa entità. Infatti, a prescindere dalla sede in cui si verificano, le grandi emorragie provocano sempre sintomi generali, per la progressiva diminuzione del volume di sangue circolante (ipovolemia). Le perdite di sangue inferiori al 15% della massa ematica totale provocano pochi disturbi; tuttavia, se la perdita raggiunge il 15%-30% si osserva un aumento della frequenza cardiaca e della frequenza respiratoria, la cute diventa pallida, soprattutto alle estremità, e la diuresi si contrae (oliguria). Queste manifestazioni possono essere interpretate come tentativi del corpo di “sfruttare al meglio il poco sangue rimasto”: il cuore e il respiro accelerano, per garantire accettabile nutrimento e ossigenazione ai tessuti; i vasi cutanei e muscolari si restringono (vasocostrizione) per dirottare il loro sangue verso organi più critici per la sopravvivenza; i reni trattengono quanta più acqua possibile, in modo da aumentare il volume del sangue circolante. Una perdita ancora superiore, tra il 30% e il 40%, determina marcata tachicardia e tachipnea, sudorazione fredda, calo della pressione arteriosa, indebolimento dei polsi, ansia e confusione mentale, per la scarsa irrorazione del cervello. Se viene perduto di più del 40% del sangue circolante l’ipovolemia diviene critica per la sopravvivenza (shock ipovolemico emorragico): i polsi scompaiono, il paziente diventa letargico o comatoso, i reni smettono di produrre urina e può sopraggiungere la morte.
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