Omotossicologia
Omotossicologia
La pratica omotossicologica
Dopo aver esaminato alcune caratteristiche generali e distintive dell’omotossicologia, è utile osservarne le applicazioni nella pratica clinica. Il medico omotossicologo deve valutare e conoscere a fondo, all’atto della visita, il paziente nella sua espressione reattiva individuale, la malattia con la sua peculiare fisiopatologia e il farmaco con le sue caratteristiche biochimiche.
Il concetto omotossicologico di malattia
In omotossicologia ogni malattia deve essere studiata in maniera completa per conoscerne espressione clinica, sintomi tipici e accessori e implicazioni.
La malattia deve essere vista quindi non solo in una prospettiva convenzionale e nosologica, ma anche nella visione più ampia tipica della medicina biologica. In questo ambito si colloca il concetto tipicamente omotossicologico di malattia come epifenomeno reattivo di un disordine interno che pertanto deve essere innanzitutto studiato e capito, talora modulato, ma mai soppresso. Tutto ciò che avviene nel nostro organismo ha una ragione, una causa ben precisa solitamente protettiva nei confronti dell’individuo, della sua discendenza o della sua specie. Tenendo conto di tali concetti l’approccio alla malattia sarà completamente diverso rispetto a quello adottato dalla medicina istituzionale odierna e dovrà prendere in considerazione una molteplicità di elementi.
Espressione clinica della malattia Il medico omotossicologo deve conoscere a fondo i sintomi tipici della malattia e gli eventuali peggioramenti peculiari. Bastano talora pochi elementi, ma devono essere tali da permettere di inquadrare esattamente la patologia e di distinguere, all’esame dei sintomi del paziente, quelli tipici della malattia, e pertanto poco importanti una volta fatta la diagnosi, e quelli invece patognomonici del paziente, espressione della sua reattività specifica e quindi correlati alla sua costituzione e situazione immunitaria. In questo senso è essenziale per l’omotossicologo avere sempre presenti le nozioni di clinica e patologia medica, in modo da poter formulare una corretta diagnosi differenziali tra malattie spesso affini. La correttezza della diagnosi è la base della strategia terapeutica omotossicologica globale, che il medico deve intravedere già dalla prima visita.
Fisiopatologia della malattia Il medico omotossicologo deve sempre conoscere o ipotizzare razionalmente il meccanismo fisiopatologico della malattia per sapere come e a che livello agire con la terapia: la fisiopatologia permette infatti di comprendere il perché dei vari sintomi e questo è fondamentale per poterli controllare e modulare. Il meccanismo fisiopatologico della malattia può essere diverso da un paziente all’altro e la sua individuazione può permettere una terapia mirata. L’azione a tale livello è tipica del medicamento convenzionale, tuttavia è comunque molto utile anche perché spesso, almeno in una prima fase, occorre sostituire il farmaco convenzionale (specie se gravato da effetti secondari importanti) con il farmaco omotossicologico. Conoscere la fisiopatologia della malattia è utile al medico anche per valutare possibilità, limiti e opportunità della terapia omotossicologica da usare in associazione o in alternativa a quella ufficiale.
Eziologia della malattia Come si è già detto, una malattia non è mai casuale, ma si verifica sempre come conseguenza di uno stimolo e costituisce una reazione organica opportuna, per quanto possibile a quell’organismo, a un problema. Non è sempre facile né possibile individuare l’eziologia di una patologia, ma il medico omotossicologo deve comunque sempre formulare almeno un’ipotesi su cui lavorare e che eventualmente adatterà alla visita successiva.
Ogni malattia ha in genere un’eziologia profonda, che si colloca a livello nervoso, psicologico e spesso anche spirituale; la sua comprensione, dunque, rappresenta il compito più arduo del medico: per comprendere la patofisiologia di una malattia è sufficiente uno studio accurato dei testi scientifici, ma per comprenderne l’eziologia profonda in quel paziente è necessaria l’esperienza e l’intuito del terapeuta, ovvero quell’arte medica che l’uso eccessivo di tecnologia tende oggi a far cadere nell’oblio. L’eziologia della malattia non può mai dirsi individuata cogliendo il fattore genetico, il quale ha soltanto un ruolo permissivo nello scatenamento di malattie quali asma, psorioasi, sclerosi multipla o artrite reumatoide: esiste sempre un potente fattore scatenante che, come si è detto, è spesso psico-spirituale anche se l’evento traumatico, tossico o infettivo non deve essere sottovalutato. Vi sono vari livelli di fattori eziologici: solitamente la malattia si palesa quando nell’organismo si sono saliti più gradini e il problema si è trasferito, non essendo stato risolto, dal piano spirituale a quello mentale, endocrino, immunologico e infine organico.
Nella strategia terapeutica il fattore di cui va tenuto più conto, in quanto base stessa della patologia, è appunto quello eziologico. Spesso nella medicina ufficiale si accendono entusiasmi per aver individuato un determinato virus, un batterio o un sito genetico sede di una specifica malattia, e si promette il farmaco, la “pillola magica”, che agendo sulla ragione materiale della patologia risolverà il problema; tuttavia tale farmaco non sarà mai risolutore e, al massimo, potrà trasferire la malattia su un altro livello.
Anche se quasi sempre la malattia si manifesta in fase di localizzazione tissutale, rimane un evento multicausale in cui quanto meno giocano un ruolo la reattività dell’individuo e l’aggressività o tossicità dell’agente patogeno; da ciò deriva che la terapia dovrà sempre essere, anche per la stessa malattia, personalizzata in farmaci e dosaggi in relazione al diverso peso dei due fattori. Inoltre è quasi impossibile affrontare una malattia, specialmente se cronica, se non si usano più farmaci in sinergia. Non esiste quindi realisticamente una malattia individuabile allo stato eziologico primordiale, come vorrebbe fare l’omeopatia classica: la malattia che giunge all’osservazione del medico è sempre già evoluta e approfondita, complessa, per questo motivo va curata con una strategia terapeutica e non con un farmaco se ne vogliono fronteggiare i vari aspetti eziologici, spesso concomitanti. È importante anche il concetto, recentemente rivalutato anche nel caso dell’HIV, per cui non esiste di fatto un’eziologia fissa di malattia, ma piuttosto una predisposizione alla malattia di tipo genetico o ambientale, mentre esiste invece un’eziologia della malattia di un determinato paziente.
Il paziente e il suo inquadramento omotossicologico
Gran parte della visita medica, anche di quella omotossicologica, consiste nel parlare della malattia e delle sue modalità espressive. Lo studio della malattia richiede infatti un atteggiamento di ricerca analitica di dati e di sintomi che poi vanno cercati nel repertorio omotossicologico e messi in rapporto con i possibili farmaci correlati a questa espressione della malattia.
La valutazione del malato deve essere sintetica, ed è soprattutto a questo livello che entra in gioco l’arte di curare e diventano inutili le tecnologie. La valutazione omotossicologica del malato, che deve appunto essere globale, viene effettuata alla fine della visita, dopo aver trascorso almeno mezz’ora col paziente stesso e aver capito il soggetto. Del paziente interessa capire in particolare gli aspetti descritti di seguito.
Patobiografia Si tratta di inserire nella DET le varie malattie che il paziente riferisce, procedimento che rappresenta una sorta di schematizzazione dell’anamnesi patologica remota con cui si mira a correlare le varie patologie. Tali patologie in realtà sono spesso in sequenza, come risultato di soppressioni, di aggravamenti, di evoluzioni legate all’età, a vari eventi fisici, psichici ecc.
Lo schema che in tal modo si crea è molto utile per capire l’evoluzione morbosa, stabilire una prognosi, prevedere eventuali aggravamenti correlati alle cosiddette vicariazioni regressive e stabilire l’impiego dei nosodi specifici.
Costituzione fisico-endocrina Il medico omotossicologo deve osservare del paziente l’aspetto fisico, la struttura e le proporzioni corporee, individuandone la costituzione secondo i dettami dei grandi costituzionalisti dell’inizio del secolo, primi tra tutti Marcel Martiny e Nicola Pende. La cultura propagandata dai mass-media suggerisce che ci siano soluzioni facili e indolori per ogni male, e anche per questo il non facile concetto di costituzione è stato completamente dimenticato dalla medicina convenzionale, tuttavia studi e statistiche confermano come a una determinata costituzione fisica corrisponda un ben preciso rischio morboso e un quadro fisiopatologico definito. L’impostazione costituzionale dell’omotossicologia è peraltro molto semplice: si tratta di comprendere se il paziente è tendenzialmente sovrappeso o sottopeso, longilineo o brachitipo, pletorico o rinsecchito; individuata una di queste macrocategorie, si deve capire se tale costituzione è accompagnata a una buona reattività e ci si trova di fronte a un soggetto stenico ipereattivo, oppure se il paziente è sostanzialmente astenico iporeattivo. Il paziente deve essere inserito in una di queste quattro costituzioni fisiche.
La comprensione della costituzione fisica è molto spesso la chiave per arrivare a individuare la costituzione endocrina.
Sappiamo infatti che la struttura fisica dell’individuo è fondamentalmente influenzata da due ghiandole endocrine: tiroide e surrene, che sono a loro volta influenzate ancestralmente da fattori climatici e più direttamente da un particolare assetto genetico.
L’iperfunzione tendenziale della tiroide o l’ipersensibilità tissutale all’ormone favoriscono una struttura organica secca e carente di pannicoli adiposi, mentre l’iperfunzione tendenziale del corticosurrene favorisce la struttura brachitipa e l’accumulo di grasso e acqua a livello connettivale; non è solitamente difficile individuare nel paziente in esame il tipo di squilibrio dell’asse tiroide-surrene. Nell’ambito di questi due grandi gruppi va poi effettuata un’ulteriore suddivisione in relazione al prevalere relativo della ghiandola pineale o di quella pituitaria. L’epifisi tende a inibire la reattività ed è quindi correlata con le costituzioni asteniche. L’ipofisi tende a spingere, a stimolare, a tonificare, a rendere aggressivo e iperattivo l’individuo ed è quindi correlata con le costituzioni steniche. Il rapporto con le strutture endocrine è importante da comprendere, in quanto l’omotossicologia ci permette di influenzare con farmaci queste e altre ghiandole endocrine.
Costituzione psichica-temperamentale Di solito solo alla fine della visita, una volta effettuato anche l’esame fisico del paziente, il medico omotossicologo scorre i dati raccolti e valuta anche la costituzione psichica, intesa alla maniera ippocratica, del paziente. Premesso che ogni paziente si presenta flemmatico e melanconico, oppure iroso e sanguigno, va individuato il temperamento, l’umore, prevalente in quel momento della sua vita. La costituzione fisica e il temperamento psicologico infatti variano fisiologicamente nel corso della vita, perché c’è la tendenza a evolvere dalla fase flemmatica tipica del neonato a quella sanguigna tipica del vecchio, ma esistono anche innumerevoli fattori esterni che possono far virare il temperamento del paziente da una parte all’altra dello schema. In questo senso il medico deve capire dove si trova il paziente in quel momento. L’obiettivo principale della strategia terapeutica omotossicologica è quello di spingere il paziente quanto più possibile verso il punto centrale e di ribilanciare il suo equilibrio. Uno strumento molto utile per questo inquadramento è lo schema neurovegetativo elaborato da Bianchi, che riassume le caratteristiche fisiche e psichiche delle quattro costituzioni ippocratiche, suggerendo anche varie terapie naturali, farmacologiche e no, per ogni singola costituzione.
Il farmaco
I farmaci omotossicologici, sia quelli originariamente ideati da Reckeweg sia quelli successivamente introdotti dai suoi discepoli in conformità con il suo intendimento scientifico e filosofico, si possono classificare in due grandi categorie: quella dei farmaci composti e quella dei farmaci unitari; la terapia omotossicologica poggia su entrambe, poiché si completano l’una con l’altra. Per capire appieno l’azione di un farmaco composto è necessario analizzare e conoscere i singoli unitari costitutivi, ma a sua volta l’azione terapeutica di un unitario viene individuata studiando l’azione clinica del composto in cui l’unitario stesso è contenuto.
La terapia omotossicologica di base, ovvero il protocollo, viene formulata poggiando essenzialmente sui composti, mentre la cura più specifica, anche sulla costituzione e sulla reattività psicofisica, si attua integrando con farmaci singoli ben scelti l’azione tissutale profonda del composto. Integrazione, sinergismo, globalità terapeutica, approccio multicentrico, sono caratteristiche della strategia terapeutica omotossicologica, che poggia sull’uso di una vasta gamma di farmaci delle due categorie.
Le sostanze diluite, peculiari dell’omotossicologia, caratterizzano con la loro presenza sia i farmaci omotossicologici unitari sia quelli composti.
Catalizzatori intermedi Il ciclo di Krebs è la via finale comune attraverso cui vengono ossidati per produrre energia biodisponibile carboidrati, lipidi e aminoacidi. Un blocco di questo complesso meccanismo a catena comporta gravi danni cellulari e determina la necessità, da parte della cellula stessa, di assumere atteggiamenti funzionali anomali, quali per esempio quello della glicolisi anaerobica, tipici della cellula cancerogena o comunque defettiva, molto antieconomici dal punto di vista energetico e che determinano, per la notevolissima produzione di acido lattico, un’acidosi tissutale che, tra le altre cose, blocca il sistema immunitario.
Attualmente si conoscono le implicazioni cliniche dei vari livelli di blocco del ciclo di Krebs, pertanto ogni singolo catalizzatore diluito può avere specifiche indicazioni cliniche.
La stimolazione parziale o totale delle reazioni del ciclo di Krebs, bloccate per fattori tossici o degenerativi, è la premessa fondamentale di qualsiasi terapia biologica profonda e completa; chi non vuole studiare a fondo l’omeopatia biochimica e la materia medica omotossicologica al fine di individuare nei singoli casi il catalizzatore specifico ha comunque a disposizione farmaci omotossicologici complessi , supplemento e stimolo aspecifico del ciclo di Krebs.
Chinoni I chinoni sono sostanze assai diffuse in natura, che hanno in comune il grande tropismo (cioè la capacità di reagire a uno stimolo esterno) per l’ossigeno: sono chinoni alcune molecole atte al trasporto elettronico a livello mitocondriale, che hanno un ruolo chiave nell’utilizzazione dell’ossigeno da parte della cellula. La supplementazione di dosi anche infinitesimali di chinoni è un potente stimolo della funzione mitocondriale, fondamentale per il buon funzionamento della maggior parte dei parenchimi nobili ma in particolare di cuore e rene.
Anche nel caso dei chinoni l’omotossicologia propone una vasta gamma di molecole con diverso potenziale di ossidoriduzione, che si impiegheranno in maniera differenziale a seconda dello stimolo ossidativo ed energetico che vogliamo indurre. Anche in questo caso è prevista una via semplificata a questa terapia, che ha valore fondamentale per quasi tutti i pazienti: ovvero l’impiego di un composto che oltre a vitamine e oligoelementi contiene tutti i chinoni in diluizione fisiologicamente opportuna.
Organoterapici di suino L’organoterapia omotossicologica ha come obiettivo la cura e il riequilibrio dell’organo malato. Il tipo di influsso che si vuole indurre nell’organo è regolato dalla scelta della diluizione, tuttavia anche la scelta dell’animale da cui deriva l’organo riveste una notevole importanza. Studi recenti di anatomia comparata hanno dimostrato come il maiale sia, dal punto di vista endocrino, biochimico e cellulare, l’animale più affine all’uomo.
Questa affinità rende possibili e facili i trasferimenti di virus patogeni alla persona: la carne ricca di istamina e di grassi, irritante e rapidamente deperibile, è quindi quella che si presta maggiormente a divenire farmaco diluito, con funzione non solo di sostegno organico ma anche di stimolo immunologico. Gli organoterapici di suino evocano una reattività difensiva tissutale spesso sopita da soppressioni farmacologiche, intossicazioni, virosi e altre cause, che permette all’organo di arrestare una tendenza alla degenerazione cronica in atto.
Allopatici omeopaticizzati Questo tipo di farmaci è costituito da preparazioni che partono da farmaci convenzionali di uso corrente, costituendo veri e propri rimedi da prescrivere secondo le regole della similitudine. Il quadro in base al quale essi saranno somministrati è quello prodotto dal farmaco in oggetto, secondo le caratteristiche e le modalità sintomatologiche, ematochimiche e anatomiche che emergono dallo studio della tossicologia classica allopatica.