Omotossicologia
Omotossicologia
Principi fondamentali dell’omotossicologia
Le ricerche di Reckeweg partono da un presupposto, e cioè che, già in quegli anni, non si potesse più parlare in termini vaghi e generici di energia vitale, miasmi e legge di similitudine, ma occorresse invece spiegare l’azione delle piccole quantità di sostanze farmacologiche in base alle conoscenze immunologiche, microbiologiche, fisiche e chimiche moderne.
Il campo della tossicologia clinica si presta a questo tipo di verifica; del resto molte patologie odierne, spesso anche quelle croniche e degenerative, originano da fenomeni di tipo intossicatorio.
Le tossine, termine con il quale possiamo intendere moltissime sostanze di origine esogena (provenienti quindi da alimentazione o inquinamento atmosferico) endogena, sono indubbiamente una fonte di patologia: infatti tutte le funzioni cellulari, dalla fagocitosi ai processi infiammatori anche minimi, fino alla fosforilasi ossidativa e a tutti i processi ossidativi tissutali, producono radicali liberi.
Questi ultimi sono vere e proprie tossine endogene (oggi anche dosabili) che inducono danno mitocondriale prima e degenerazione cellulare poi, per conseguente crisi energetica della cellula. In particolare alcune sostanze chimiche, specie se hanno struttura fenolica, provocano a livello tissutale danni profondi perché si legano con altri metaboliti, presenti nel corpo come tamponanti o disintossicanti e, in questo modo, formano macromolecole che sono talora escrete con difficoltà dagli emuntori e si depositano con facilità, in questa forma inattiva, a livello del tessuto connettivo, determinando nel tempo danni cronici.
Ogni malattia può essere a sua volta fonte di intossicazione, in quanto i complessi antigene-anticorpo che si formano nell’ambito dei processi infiammatori (anche quelli di difesa) spesso creano delle strutture chimiche anomale che possono depositarsi a livello del tessuto connettivo e determinare problematiche infiammatorie, sintomi dolorosi ma anche vere e proprie patologie croniche di tipo autoimmune, infiammatorio cronico o degenerativo.
Traendo le logiche conseguenze da questi concetti patogenetici di base, l’omotossicologia attribuisce pertanto grande importanza al drenaggio emuntoriale, ovvero allo stimolo della funzione disintossicatoria connettivale ed escretoria di fegato, reni, cute e polmoni, effettuato con farmaci naturali ma anche con le stesse tossine diluite e dinamizzate.
Prove fornite da insigni anatomici tedeschi quali Alfred Pischinger ed Hartmut Heine, con dati suffragati dalla microscopia elettronica, dimostrano l’esistenza di questo accumulo di tossine nel tessuto connettivo, che aumenta con l’età e risulta correlato a tutta una serie di patologie; gli stessi ricercatori evidenziano anche che il trattamento con farmaci omotossicologici di drenaggio e di stimolo comporta un vero e proprio cambiamento morfologico e reattivo a livello connettivale. La ricerca omotossicologica ha inoltre evidenziato come esistano anche diverse fasi di intossicazione nelle quali, per una sorta di iporeattività organica, risulta molto difficile evocare una reazione depurativa: in questi casi, in cui il processo di intossicazione risulta molto avanzato e ha già determinato danni alle strutture organiche, si impiegano le stesse tossine in forma diluita per stimolare la reazione espulsiva dell’organismo.
Un concetto fondamentale dell’omotossicologia quindi, peraltro ormai accettato anche dalla medicina convenzionale, è che la malattia evolve e passa attraverso varie fasi di successivo aggravamento e approfondimento: tali fasi dipendono dal tipo di tossine coinvolte, dalla reattività del paziente ma anche dal trascorrere del tempo. L’evoluzione della patologia non è ovviamente legata al mero passare del tempo, quanto piuttosto alla situazione immunologica del paziente, che deve essere studiata in maniera convenzionale e sostenuta appunto con farmaci omotossicologici: in base ai dettami dell’omotossicologia, la strategia terapeutica dovrà essere adattata alle diverse fasi di evoluzione della malattia, corrispondenti al progressivo deterioramento dell’apparato immunologico. Ciò comporta la necessità di una diagnosi non solo di patologia ma anche di fase reattiva prima del trattamento.
Un altro concetto terapeutico chiave della disciplina è che la malattia inizia a livello cellulare (molto spesso, anzi, a livello mitocondriale): il deficit energetico che consegue alle alterazioni biochimiche variamente indotte a livello del ciclo di Krebs e della fosforilasi ossidativa mitocondriale condiziona l’innescarsi e il mantenersi di patologie gravi e frequenti, quali il cancro e le patologie cardiocircolatorie. L’omotossicologia dà grande importanza allo studio cellulare e introduce rimedi specifici di origine biochimica. Dal livello cellulare la malattia si diffonde poi a quello organico, quindi Hans Heirich Reckeweg ritenne opportuno formulare farmaci omotossicologici singoli e composti deputati in maniera peculiare al sostegno di organi in fase infiammatoria, meiopragica o degenerativa: l’omotossicologia conta perciò su farmaci di fase, la cui prescrizione va fatta tenendo conto della situazione immunologica del paziente, e su farmaci d’organo, per prescrivere i quali si deve individuare appunto l’organo deficitario o alterato funzionalmente o strutturalmente.
La complessità del ragionamento fisiopatologico, da cui parte l’omotossicologia, rende impossibile formulare una terapia standard o un protocollo per una determinata situazione morbosa, ma prevede invece l’elaborazione di una articolata e complessa strategia terapeutica, per attuare la quale è di estrema utilità la DET (tavola dell’evoluzione delle patologie). Si tratta di uno schema, elaborato inizialmente dallo stesso Reckeweg e in seguito aggiornato da Klaus Küstermann, Ivo Bianchi e Arturo O’ Byrne, che mette in relazione i diversi organi (classificati in base al foglietto embrionale di derivazione) con lo stato immunologico e cioè con la fase di patologia del paziente.