Attacchi di panico

Il disturbo di panico (o disturbo da attacchi di panico, in sigla DAP) si può manifestare in varie forme e può essere inizialmente confuso con patologie tipiche della medicina interna. Ha un’incidenza tra lo 0,4 e l’1,5% nella popolazione generale, è più frequente nelle donne (rapporto di 2,5 a 1 rispetto agli uomini) ed esordisce […]



Il disturbo di panico (o disturbo da attacchi di panico, in sigla DAP) si può manifestare in varie forme e può essere inizialmente confuso con patologie tipiche della medicina interna. Ha un’incidenza tra lo 0,4 e l’1,5% nella popolazione generale, è più frequente nelle donne (rapporto di 2,5 a 1 rispetto agli uomini) ed esordisce generalmente tra i 15 e i 35 anni.

Gli attacchi di panico sono episodi parossistici di ansia che insorgono improvvisamente; caratterizzati da un profondo malessere e da intensa paura, spesso si verificano in situazioni di nomale routine (guidando, durante il lavoro, nel sonno), raggiungono l’intensità massima in pochi minuti e in genere si esauriscono con altrettanta rapidità. Se sono ricorrenti, si manifestano con quattro o più sintomi; quando se ne registrano quanto meno due e almeno uno di essi è seguito da un periodo di minimo un mese caratterizzato dalla costante paura di un’altra crisi (ansia anticipatoria) si parla di disturbo da attacchi di panico.


Le cause del DAP

Molti studi sugli animali e sugli esseri umani hanno evidenziato specifiche aree e circuiti del cervello coinvolti nei meccanismi della paura e dell’ansia. Queste risposte sono legate a una piccola struttura cerebrale che si chiama amigdala. Gli studi sui gemelli hanno dimostrato che, oltre ai fattori genetici, vi sono anche condizioni ambientali che contribuiscono allo sviluppo del DAP. Altri studi hanno documentato il coinvolgimento di alcune aree del cervello, quali l’ippocampo e il locus ceruleus, e del sistema nervoso adrenergico che regola temperatura, frequenza cardiaca e altre funzioni fisiologiche dell’organismo. Accanto a fattori genetici e biologici alterati e a cause ambientali (uso di cannabis, cocaina, sostanze eccitanti o farmaci utilizzati nella terapia dell’asma) incidono sull’insorgenza della patologia anche i fattori cognitivi, quali problemi psicologici irrisolti, stress lavorativi, conflitti affettivi importanti, la nascita di un figlio, la presenza di una grave malattia. È importante, inoltre, il meccanismo del pensiero; un’anormale reazione alle sensazioni fisiche sembrerebbe, infatti, correlata a cause biologiche intrinseche, ma anche a una specifica modalità di pensiero e di reazione appresa.


Quali sono i sintomi del DAP

I sintomi che caratterizzano l’attacco comprendono le manifestazioni somatiche, soggettive, psicosensoriali, comportamentali, riportate nell’elenco che segue insieme alle frasi che spesso riferiscono i pazienti.


Manifestazioni somatiche

  • Sensazioni di caldo e di freddo: «Ho una strana sensazione che inizia da una parte e si irradia a tutto il corpo.»
  • Senso di oppressione toracica: «Ho un dolore sul petto, come se avessi una lastra che me lo comprime.»
  • Sbandamenti:«Mi sembra di camminare sulla gommapiuma, come se mi vacillasse il terreno sotto i piedi.»
  • Testa confusa, in certi casi i pazienti riferiscono di sentirsi come ubriachi: «Ho la nebbia nel cervello, mi sento come se fossi brillo.»
  • Malessere diffuso: «Ho una morsa allo stomaco» oppure «Ho una sensazione di nausea
  • Formicolii agli arti localizzati a una parte del corpo, per esempio alle braccia o alle gambe o anche più ampiamente diffuse, in certi casi i soggetti riferiscono di sentirsi braccia o gambe molli oppure come di legno.
  • Palpitazioni: «Mi sembra di avere il cuore in gola.»
  • Sudorazioni.
  • Cefalea; i pazienti riferiscono dolori alla testa, spesso estesi anche a collo, braccia e schiena.
  • Sensazione di nodo alla gola, difficoltà a deglutire: «Quando mangio o bevo ho paura di rimanere soffocato.»
  • Difficoltà a respirare: «Faccio respiri lunghi come se non mi arrivasse l’aria ai polmoni.»


Manifestazioni soggettive

  • Il paziente avverte sensazioni di impotenza, di catastrofe imminente, spesso associate alla paura di morire, di perdere coscienza, di impazzire o di perdere il controllo. «Mi trovavo sull’autobus quando improvvisamente mi è sembrato di morire e di non avere più il controllo su niente» oppure «all’improvviso mi sono sentito come se si fosse rotto qualcosa nel cervello, ho temuto di impazzire»; «mi è sembrato di perdere coscienza, ho provato una sensazione di mancamento».


Manifestazioni psicosensoriali

  • Esperienze di derealizzazione e depersonalizzazione: «Mi vedevo distaccato, come se guardassi il mio corpo da lontano» oppure «vedevo le persone come se fossero in un film e le osservavo come uno spettatore esterno; rivedevo la mia vita passata come alla moviola»; «all’improvviso si era fermato il tempo»; «i pensieri correvano nella mente e non riuscivo a controllarli» oppure «il mio cervello era come bloccato».
  • Ipersensibilità alla luce e ai colori: «Mi davano fastidio e mi procuravano un forte disagio i suoni di tutti i giorni, quelli delle macchine, lo sbattere di una porta, l’urlo di un bambino; mi rimbombavano nel cervello e anche la luce era intollerabile.»


Manifestazioni comportamentali

  • Arresto improvviso delle attività in corso: «Fui costretto a lasciare ciò che stavo facendo e a correre via»; «urlai e provai un desiderio irrefrenabile di scappare e andare verso casa».

In molti casi, invece, il paziente mantiene l’autocontrollo e vive in una dimensione privata le emozioni che prova.


Qual è il decorso del disturbo?

Gli attacchi possono manifestarsi all’improvviso o essere situazionali, cioè comparire in un contesto in cui il soggetto presenta elevati livelli di ansia e/o in circostanze che determinano forte disagio. In un paziente su due compaiono durante il sonno, in alcuni casi si verificano in condizioni di pericolo o in concomitanza con l’assunzione di sostanze stupefacenti quali, per esempio, cannabis (marijuana). In genere, la prima crisi è ricordata in maniera particolare (di seguito sono riportate alcune frasi tipiche con le quali i pazienti raccontano il primo episodio):

  • «mi svegliai all’improvviso nel bel mezzo della notte; mi sembrava di morire, il cuore andava a mille»;
  • «stavo guidando tranquillamente sull’autostrada per andare in vacanza, quando improvvisamente una sensazione terrificante di morte mi fece accostare al lato della strada»;
  • «ero impegnato in una riunione quando mi prese un forte capogiro, un senso di soffocamento, temevo che stessi per impazzire e lasciai la stanza quasi di corsa»;
  • «stavo sull’ascensore quando mi sentii soffocare e provai il desiderio impellente di fuggire»;
  • «ero al supermercato e, all’improvviso, mi sentii la testa girare. Avevo le gambe molli e mi prese il timore di poter perdere il controllo, mi dovetti allontanare il più velocemente possibile dal posto in cui ero».

Gli episodi possono comparire con frequenza variabile da due a quattro per settimana, nella fase iniziale possono essere numerosi e diminuire poi nel periodo successivo; in alcuni casi, invece, possono diventare talmente frequenti da definire un vero e proprio stato di malessere. Ben presto gli attacchi vengono preceduti dalla cosiddetta ansia anticipatoria, cioè dalla paura di avere una crisi.

In un 30% dei casi compare una polarizzazione ipocondriaca, cioè il soggetto si convince di avere una malattia fisica, per esempio di essere a rischio di infarto o di ictus, e si sottopone a numerosi accertamenti diagnostici; di volta in volta vengono interpellati, a seconda dei sintomi, i vari specialisti: il cardiologo (tachicardia, oppressione toracica, palpitazioni, cuore in gola), il neurologo, lo pneumologo (senso di soffocamento, difficoltà a respirare), il reumatologo (sintomatologia dolorosa diffusa) e così via.

Spesso alla paura delle malattie si accompagna quella relativa agli effetti collaterali dei farmaci (farmacofobia). Quest’ultima è tipica di chi soffre di attacchi di panico e gli psichiatri, che hanno il compito di iniziare un trattamento farmacologico per il DAP, spesso si trovano in difficoltà, soprattutto all’inizio; l’ipersensibilità di questi pazienti ai farmaci è ormai nota e costituisce uno dei principali problemi nella cura del disturbo, anche se può essere gestita iniziando molto gradualmente la terapia, spiegando che alcuni effetti sono normali e usando contemporaneamente farmaci tipo benzodiazepine per ottenere un effetto ansiolitico immediato.

A seguito dei vari disturbi e del vissuto compare una forma di evitamento, cioè i soggetti fanno in modo di non rimanere da soli, di non allontanarsi da casa e rifuggono situazioni in cui è difficile raggiungere un ospedale. Il termine usato è agorafobia e in genere i luoghi evitati sono posti pieni di gente, piazze, chiese e così via; in questi luoghi temono di avere una crisi e di non poter essere soccorsi, sviluppano cioè la paura di avere paura, ovvero la fobofobia; alcune persone arrivano a non uscire mai di casa se non accompagnate.

Spesso gli episodi si riducono nel tempo, mentre le condotte di evitamento si strutturano in un vero e proprio stile di vita. Un 30% dei casi sviluppa una demoralizzazione secondaria, con sensi di colpa e inadeguatezza per l’impossibilità di condurre una vita normale. In altri casi insorge il timore di avere una crisi in pubblico e si finisce con l’isolarsi. In un terzo dei casi, infine, si manifesta una sintomatologia depressiva dovuta alle limitazioni causate dal disturbo d’ansia. Talvolta, la depressione può precedere o seguire gli attacchi a distanza anche di molto tempo diventando, così, un fenomeno autonomo rispetto al DAP. Quando la depressione e i sintomi degli attacchi di panico sono molto ravvicinati, si possono configurare quadri clinici in cui l’apatia e l’umore depresso si accompagnano a elevati livelli di agitazione e di tensione interiore; in questi casi la depressione si associa a un elevato rischio di suicidio (20%).

La dipendenza da benzodiazepine o alcol è frequente, i soggetti infatti per ridurre l’ansia anticipatoria spesso abusano di queste sostanze.


Gli attacchi minori

Il DAP può presentarsi anche con le cosiddette manifestazioni minori, cioè tutte quelle condizioni con sintomi isolati, sfumati o atipici.

La sintomatologia del paziente può essere simile a quella descritta per gli attacchi maggiori (tachicardia, sudorazione improvvisa, tremore, senso di soffocamento, difficoltà nella respirazione, sensazione di mancamento, senso di irrealtà e di estraneità dal mondo circostante, paura di perdere il controllo o di essere sul punto di morire, formicolii diffusi e improvvisi, confusione o stordimento, percezione di avere le gambe molli o “di legno”, nervosismo, disagio per rumori forti o luci, agorafobia, sensazione che si sia rotto qualcosa nel cervello ecc.), ma tende a comparire più di rado e in maniera meno intensa.

In alcuni soggetti, percezioni come quelle appena elencate tra parentesi si manifestano dopo aver assunto , caffè, farmaci antidepressivi o sostanze tipo cocaina, amfetamine o cannabinoidi.

Anche nel contesto degli attacchi di panico minori, i soggetti colpiti possono talvolta sviluppare comportamenti “protettivi” come cercare rassicurazione e compagnia costante, circondarsi di amici medici, sedersi vicino all’uscita quando si va a teatro o al cinema, portarsi in tasca tranquillanti o portafortuna, avere sempre a disposizione un telefono o il proprio cellulare, indossare occhiali scuri anche in ambienti poco illuminati e così via.


La terapia

Il trattamento del DAP in genere non richiede ricovero. Quando il paziente giunge al Pronto soccorso o in altra sede deve essere esclusa qualunque causa organica. Poiché il DAP è spesso associato alla depressione, quando si manifesta nel corso di questa patologia il rischio di suicidio è elevato; in questo caso è necessario ospedalizzare il paziente.

Il disturbo da panico associato ad abuso di sostanze è di difficile gestione. Gli studi dimostrano che una buona percentuale di successo nel trattamento del disturbo si ottiene con la psicoterapia, combinata con l’uso di medicinali. La terapia cognitiva insegna ai pazienti a ridurre l’ansia, usando tecniche di respirazione e volte a migliorare l’attenzione; anche l’impiego di farmaci è finalizzato a ridurre l’ansia, oltre che l’intensità e la frequenza degli episodi.

Le benzodiazepine e gli antidepressivi sono le sostanze più efficaci anche se i pazienti spesso ne hanno timore, in alcuni casi perché non è stata fatta una precisa diagnosi del disturbo, in altri perchè non considerano la patologia così grave da richiedere un intervento farmacologico oppure perché si sentono in imbarazzo all’idea di aver bisogno di queste medicine.

Altre terapie molto usate sono quella espositiva e quella cognitivo-comportamentale: quest’ultima insegna a prepararsi alle situazioni e ai sintomi fisici che possono scatenare l’attacco. Si impara a identificare i circuiti del pensiero che conducono a interpretare male le sensazioni, a respirare, a prevenire l’iperventilazione e a diventare meno sensibile ai sintomi fisici e ai sentimenti di paura.

La parte “comportamentale” comprende tecniche di rilassamento, con le quali il paziente apprende come ridurre l’ansia generalizzata e lo stress che spesso precedono l’attacco di panico, come regolare il proprio respiro ed evitare l’iperventilazione.

Un altro importante aspetto è l’esposizione alle sensazioni fisiche interne, durante la quale il paziente impara a provocare i fenomeni fisici associati agli attacchi di panico (per esempio incrementare il respiro o il battito cardiaco) per ridurre la paura che circonda questi sintomi.

La terapia farmacologica I farmaci servono a prevenire gli attacchi e l’ansia anticipatoria. Le terapie comunemente usate si avvalgono di inibitori del reuptake della serotonina (SSRI), antidepressivi triciclici, benzodiazepine ad alta potenza e inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO). Gli SSRI sono efficaci e considerati di prima scelta.

Gli effetti collaterali nelle prime settimane di trattamento sono quelli più fastidiosi per il paziente: ansia, nausea, agitazione, insonnia, che in genere si attenuano iniziando con bassi dosaggi. I problemi di riduzione del desiderio sessuale sono quelli più comuni nel trattamento a lungo termine e spesso conducono a una sospensione prematura della terapia.

Gli antidepressivi triciclici sono stati i primi farmaci impiegati. Si parte da dosaggi bassi che vengono poi aumentati lentamente fino alla dose terapeutica (per ridurre gli effetti collaterali, in particolare stitichezza, visione offuscata, bocca secca, ipotensione, tachicardia, sedazione ma anche l’agitazione che si verifica all’inizio) e l’efficacia non è quantificabile prima di 2-4 settimane. Uno degli effetti indesiderati, che nel tempo può condurre a una sospensione prematura, è l’aumento di peso.

Gli effetti collaterali in genere scompaiono dopo qualche settimana, mentre il trattamento dura solitamente un minimo di sei mesi. Una terapia più breve è possibile ma predispone a ricadute, mentre, al contrario, una più lunga sembra essere associata a minore probabilità di ricomparsa della sintomatologia.

Altri farmaci studiati comprendono venlafaxina, reboxetina, buspirone, bupropione (utilizzato per alleviare gli effetti collaterali sessuali), betabloccanti come propanololo, nefazodone e mirtazapina.

In alcuni studi, in cui il DAP non rispondeva o rispondeva parzialmente, sono stati osservati gli effetti di alcuni antiepilettici: il pregabalin nella fobia sociale e nell’ansia generalizzata, il gabapentin nella fobia sociale, la lamotrigina nel disturbo posttrauamtico da stress e l’acido valproico nel DAP.

Le benzodiazepine ad alta potenza (alprazolam, clonazepam, lorazepam) hanno un effetto rapido e sono ben tollerate dalla maggior parte dei pazienti, ma alcuni possono abusarne; queste sostanze riducono gli effetti collaterali iniziali degli altri farmaci, per questo motivo vengono continuate per almeno sei mesi e successivamente interrotte. è possibile osservare fenomeni da sospensione. Tra gli inibitori delle monoaminoossidasi il più comune è la fenelzina. Il loro utilizzo obbliga il paziente a seguire alcune restrizioni dietetiche, poiché esistono sostanze presenti in certi cibi che possono interagire con il farmaco e determinare innalzamenti di pressione.

I trattamenti combinati sono quelli che danno i migliori risultati in termini di rapidità, efficacia e tassi di ricaduta.

Esistono poi terapie psicodinamiche che si focalizzano su problemi irrisolti da cui possono essere scaturiti gli attacchi.

Anche i gruppi di autoaiuto sono importanti nel dare sostegno e comprensione a chi soffre del disturbo.

[E.D.N., C.M., J.S.]