L’artrosi è la malattia più frequente dell’apparato muscoloscheletrico e costituisce la causa principale di invalidità cronica nei soggetti anziani. Ne esistono varie forme cliniche (vedi box in questa pagina) che, pur potendo avere differenti cause, determinano disturbi simili e mostrano analoghi quadri radiologici, biologici e di alterazioni strutturali.
Ritenuta in passato una malattia degenerativa, conseguenza di un trauma o del normale processo di invecchiamento, l’artrosi viene attualmente considerata come il risultato dell’alterazione del normale ciclo di ricambio e di riparazione della cartilagine. In un’articolazione normale le due superfici ossee contrapposte, rivestite da cartilagine articolare ialina, sono mantenute in sede e tra loro stabilizzate da un sistema di contenimento che circonda l’articolazione stessa periarticolare (capsula, tendini, muscoli). La cartilagine ialina articolare normale è priva di vasi sanguigni e si nutre essenzialmente grazie agli scambi con il liquido sinoviale e con l’osso sottostante. La sua funzione principale è assicurare lo scorrimento dei capi articolari e ammortizzare le forze di carico, grazie alla sua struttura relativamente compressibile ed elastica. È costituita da una matrice extracellulare fatta da fibre di collagene che formano un reticolo a grosse maglie, molto ricca di acqua e nella quale sono contenuti i condrociti, un particolare tipo di cellule responsabile dell’attività di tutta questa struttura. I condrociti, infatti, sono in grado sia di produrre le grosse molecole che costituiscono la cartilagine, sia di degradarla attraverso l’azione bilanciata di apposite sostanze (enzimi, metalloproteinasi e altre proteasi) e dei loro inibitori. Il perfetto equilibrio tra le funzioni costruttive (dette anaboliche) e demolitive (dette cataboliche) dei condrociti, mantenuto mediante un sofisticato meccanismo biochimico, è alla base della conservazione dell’integrità della cartilagine e quindi del buon funzionamento delle articolazioni. Qualsiasi condizione che modifichi le funzioni dei condrociti, rendendoli inadeguati a tollerare anche i normali stress, porta a uno sbilanciamento a favore dei fattori demolitivi, con la conseguente comparsa di alterazioni della matrice cartilaginea, e quindi all’artrosi e alla sua progressione. Quando la patologia si instaura, la cartilagine inizia a manifestare microfissurazioni della sua superficie che col tempo possono progredire fino a raggiungere il sottostante osso. Questa perdita di integrità porta gradualmente al suo progressivo assottigliamento, fino a denudare l’osso sottostante il quale, a sua volta, reagisce con una proliferazione di un tipo particolare di cellule (gli osteoblasti) e con la deposizione di nuove trabecole ossee. A questo punto, l’osso va incontro a profonde variazioni e, col tempo, alla perdita della sua normale costituzione, a microscopiche fratture, ad alterazioni anche su base circolatoria (aree ischemiche) e alla formazione di tipiche strutture quali i geodi e gli osteofiti marginali, ben evidenti alle radiografie. Anche la membrana che circonda l’articolazione (membrana sinoviale) partecipa al processo, divenendo più spessa e andando incontro a fenomeni infiammatori che contribuiscono ulteriormente a minare l’integrità della cartilagine.
Cosa favorisce l’artrosi Esistono alcune condizioni di rischio, che si possono distinguere in fattori di suscettibilità generale (età, sesso, predisposizione genetica, obesità, ipertensione, malattie del metabolismo, lassità legamentosa) e fattori meccanici locali (traumi, tipologia dell’attività lavorativa, sport, malformazioni articolari). La frequenza della patologia aumenta con l’età tanto da essere presente in oltre il 70% dei soggetti sopra i 70 anni. Nella popolazione tra i 40 e i 50 anni i più colpiti sono gli uomini, mentre nelle fasce di età superiori la patologia interessa soprattutto le donne. È nota da tempo la maggiore frequenza dell’artrosi primaria nell’ambito della stessa famiglia, per predisposizione genetica all’insorgenza sia di alterazioni biologiche a carico di uno o più componenti dei tessuti articolari, sia di alterazioni della biomeccanica articolare (per esempio malformazioni articolari).
Un grande nemico: l’obesità Il ruolo deleterio dell’obesità si esplica soprattutto sulle articolazioni portanti e in particolare sulle ginocchia ma, curiosamente, la correlazione tra artrosi e obesità si osserva anche per le mani, dove evidentemente entrano in gioco non cause di tipo “meccanico” ma quei fattori di natura metabolica o genetica responsabili dell’obesità stessa. L’ipertensione, il diabete, l’iperuricemia e il colesterolo determinano l’insorgenza dell’artrosi indipendentemente dalla presenza dell’obesità.
Tra i fattori di rischio vengono considerate numerose patologie che possono alterare la biomeccanica articolare e l’integrità dei costituenti articolari: eccessiva lassità dei legamenti, condrocalcinosi articolare, malattia da deposito di idrossiapatite, ocronosi, condrodisplasie e displasie epifisarie multiple.
Traumi e artrosi Tra i fattori meccanici locali sono importanti l’attività occupazionale, lo sport, le malformazioni articolari e i traumi. Questi ultimi sono frequentemente causa della malattia: è nota l’associazione tra le lesioni dei legamenti crociati e dei menischi e l’artrosi del ginocchio, mentre le fratture delle ossa, alterando la normale funzionalità delle articolazioni, possono predisporre quelle contigue all’insorgenza della patologia.
Altrettanto confermata è la stretta correlazione con particolari attività lavorative, come quelle che prevedono il ripetuto movimento di una determinata articolazione o che comportano traumi anche minimi, ripetuti nel tempo. Basti ricordare, per esempio, l’artrosi del gomito e del polso nei lavoratori che utilizzano a lungo strumenti vibranti. Analogamente, l’attività sportiva agonistica – in particolare quella che prevede un movimento articolare ripetitivo o quella che comporta frequenti traumi (baseball, football) – può predisporre alla malattia.
Sintomi e segni
Uno dei sintomi più importanti di artrosi è il dolore, che in genere si presenta con le caratteristiche di quello cosiddetto meccanico, diverso da quello infiammatorio tipico delle artriti. Generalmente, questo sintomo compare quando le articolazioni sono sottoposte a un carico e scompare a riposo. Il dolore è molto variabile per intensità e durata a seconda dello stadio della malattia, dell’articolazione colpita e delle caratteristiche individuali; non raramente, all’inizio è legato solo a sforzi fisici importanti e si accentua con il freddo. In seguito l’evoluzione è molto variabile; in alcuni la progressione è estremamente lenta, la sintomatologia si manifesta dopo attività fisiche sempre meno pesanti e la limitazione dei movimenti compare solo dopo molto tempo; in altri il sintomo, sempre più intenso per carico articolare anche lieve, si accompagna velocemente a limitazione dei movimenti. Negli stadi più avanzati tale limitazione funzionale può essere anche grave e il dolore può diventare molto invalidante, specie se vengono interessate le articolazioni portanti come anche e ginocchia. Si può manifestare anche una certa rigidità articolare di breve durata ai primi movimenti, specie al mattino al risveglio, e rumori (detti scrosci) come se le componenti ossee dell’articolazione sfregassero tra loro, che lo stesso paziente potrà apprezzare. In alcuni soggetti, le articolazioni colpite dall’artrosi presentano episodi di riacutizzazione improvvisa per l’insorgenza di fenomeni infiammatori, con comparsa di dolore che non recede con il riposo e si accompagna a rigidità articolare più prolungata. Una siffatta sintomatologia è relativamente frequente in coloro che presentano, alle mani, una particolare forma di artrosi detta erosiva.
Cosa evidenzia la visita medica Inizialmente, all’esame del paziente artrosico, il medico può anche non rilevare alcuna alterazione delle articolazioni, oppure avere la necessità di ricorrere a particolari e specifiche manovre atte a risvegliare il dolore.
L’articolazione colpita generalmente non presenta i classici segni infiammatori (calore, rossore) e anche la pelle sovrastante appare normale; con il passare del tempo, può presentare un grado più o meno spiccato di limitazione dei movimenti, tumefazioni “dure” dovute alla comparsa delle alterazioni ossee precedentemente descritte (gli osteofiti) e, talvolta, ingrossamenti di consistenza molle dovuti all’aumento della quantità del liquido sinoviale contenuto all’interno dell’articolazione (cosiddetti versamenti articolari). Negli stadi più avanzati della patologia si potranno apprezzare, a livello delle varie articolazioni, vere e proprie deformazioni della normale posizione delle ossa che appariranno deviate e non più posizionate come nel soggetto normale (deformazioni in varismo, valgismo, sublussazioni).
Diagnosi
Si basa fondamentalmente sulla presenza dei disturbi sopra descritti e di caratteristiche alterazioni ossee apprezzabili all’esame radiologico: riduzione asimmetrica dello spazio presente tra i capi ossei di un’articolazione (la cosiddetta rima articolare), alterazione della densità dell’osso sottostante la cartilagine interessata (sclerosi subcondrale), presenza dei caratteristici “beccucci” dei capi articolari (gli osteofiti) e dei geodi subcondrali.
Sono peraltro da sottolineare due elementi:
- meno della metà dei soggetti che presentano alterazioni radiologiche suggestive di artrosi accusano anche i disturbi correlati;
- la definizione della patologia può richiedere in alcuni casi, oltre alla classica radiografia, il ricorso a tecniche specifiche, quali l’ecografia, la TAC, la risonanza magnetica nucleare (RMN). In particolare, il medico può decidere di richiedere una TAC o una RMN allorché la malattia colpisca la colonna vertebrale provocando compressioni sulle radici nervose (per esempio in caso di forme di sciatica).
In alcuni pazienti, infine, la diagnosi si avvale dell’esame del liquido sinoviale, prelevato mediante puntura dell’articolazione (artrocentesi).
La terapia dell’artrosi si basa su trattamenti farmacologici e non farmacologici e deve essere sempre personalizzata sul singolo paziente in funzione della localizzazione della patologia, del grado della lesione, dell’intensità dei disturbi e dell’aspettativa del paziente. Provvedimento indispensabile è sempre correggere i fattori di rischio, con particolare riferimento all’obesità e alle malattie del metabolismo; è anche necessario limitare i fattori meccanici dannosi e modulare l’attività fisica secondo le possibilità di “sopportazione” delle articolazioni sofferenti (economia articolare). È molto utile che il paziente si faccia spiegare dal medico come eseguire un corretto esercizio fisico, quali attività escludere, se sia il caso di utilizzare plantari ortopedici, bastoni, corsetti, tutori e così via.
Il ruolo dei farmaci: una decisione da prendere sempre con il medico Le terapie farmacologiche si basano sull’utilizzo di farmaci che contrastano il dolore e, per la sua efficacia e tollerabilità, il paracetamolo rappresenta quello di prima scelta, riservando solo ai pazienti che non ne traggono giovamento l’impiego – per brevi periodi – di antinfiammatori non steroidei (FANS), da soli o in associazione al paracetamolo.
In alcuni soggetti che presentano un aumentato rischio di insorgenza di effetti collaterali a livello dell’apparato digerente (innanzitutto quelli con storia di gastrite, ulcera, malattia da reflusso, esofagite) potranno essere utilizzati i FANS associati a gastroprotettori, oppure i cosiddetti Coxib. Va comunque ricordato che sia i FANS tradizionali sia i Coxib possono comportare numerosi rischi, in particolare nei soggetti anziani e in quelli affetti da patologie metaboliche, renali e cardiovascolari (o a rischio per tali problemi), nei pazienti che assumono farmaci diversi per altre malattie. Pertanto non è mai consigliabile un loro utilizzo su autoprescrizione. Gli analgesici derivati dall’oppio, da soli o in associazione con il paracetamolo, possono rappresentare una valida alternativa nei pazienti in cui i FANS o i Coxib siano controindicati, inefficaci o scarsamente tollerati. I farmaci quali la glucosamina solfato, il condroitinsolfato, gli estratti di soia e di avocado, l’acido jaluronico presentano effetti collaterali limitati, ma la loro reale efficacia sulla progressione del danno artrosico è ancora tutta da dimostrare. L’iniezione intrarticolare di cortisonici trova indicazione solo nelle crisi dolorose acute, soprattutto se è presente aumento del liquido articolare, e deve essere ovviamente praticata da personale sanitario competente.
Nei pazienti con evidenti alterazioni radiologiche e che presentano disabilità e dolore persistente, non alleviato dalle consuete terapie farmacologiche e non farmacologiche, si può ricorrere alla terapia chirurgica ortopedica per l’impianto di protesi articolari (quelle dell’anca e del ginocchio sono le più comuni) o a interventi finalizzati al riallineamento articolare (osteotomie), al debridement, alla correzione di lesioni tendinee.
L’autoinnesto di cartilagine o di tasselli di cartilagine con osso subcondrale permette di correggere solo perdite limitate della sostanza. [V. M.]