Malattie infettive inGravidanza -AIDS in gravidanza e rischio neonatale
Il virus responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) è in grado di integrarsi nel patrimonio genetico (cromosomi) della cellula ospite e, moltiplicandosi in essa, di distruggerla. Poiché nell’essere umano colpisce selettivamente i linfociti (globuli bianchi), cellule deputate alla difesa immunitaria, il virus crea una condizione di progressiva immunodepressione, con la comparsa di infezioni gravi e tumori. La trasmissione dell’infezione avviene attraverso i liquidi biologici (sangue, sperma, secrezioni vaginali e latte materno). La ricerca sistematica del virus ha reso pressoché impossibile la trasmissione del virus nelle donazioni (sangue, sperma, organi) mentre rimane alta la sua diffusione nei tossicomani, nelle prostitute e tra gli omosessuali. Oltre che con siringa infetta, la donna può essere contagiata con il rapporto sessuale, soprattutto in casi di rapporti anali od oro-genitali, poiché le mucose rettali e buccali sono più fragili e delicate di quella vaginale. Non esistono prove di contagio attraverso il bacio o semplici atti di vita quotidiana. Il virus HIV può essere trasmesso dalla madre al bambino nel corso della gravidanza, durante il parto o con l’allattamento al seno. Il virus può essere isolato da tessuti fetali già alla dodicesima settimana di gestazione, ma i due terzi delle infezioni nei bambini di madri sieropositive (affette da HIV e con anticorpi specifici) vengono trasmessi nell’ultima parte della gravidanza, durante il travaglio o il parto. Il periodo intrapartum è certamente cruciale per la trasmissione verticale dell’HIV, che può avvenire con modalità diverse (contatto diretto con le secrezioni vaginali infette o con sangue durante il passaggio per il canale del parto). È bene ricordare che non sempre l’infezione viene trasmessa in maniera certa dalla madre al feto; infatti alcuni studi recenti hanno messo in evidenza che taluni individui, tra cui alcuni neonati, pur essendo stati esposti al virus HIV non si sono infettati o sono stati capaci di eliminarlo spontaneamente grazie alle caratteristiche del loro sistema immunitario. Nella trasmissione verticale (madre-feto) dell’infezione da HIV, oltre a fattori relativi al rapporto virus/ospite, sono dunque determinanti condizioni propriamente ostetriche. La presenza di altre infezioni in corso di gravidanza (in particolare toxoplasmosi, CMV, HCV), oltre a comportare un rischio maggiore e specifico per il feto e il neonato, sembra aumentare la probabilità di passaggio verticale dell’HIV. Anche variabili legati al parto sembrano dunque rivestire grande importanza, sia per la possibilità di contatti tra il sangue materno e quello fetale nel corso del travaglio (in particolare se prolungato), sia per le possibilità di risalita del virus o esposizione prolungata, come nel caso di una rottura prematura delle membrane. Anche l’allattamento al seno costituisce un fattore di rischio importante per la trasmissione dell’HIV nel neonato: è stata infatti dimostrata l’infezione in bambini allattati al seno le cui madri avevano contratto l’HIV dopo il parto, per esempio a causa di una trasfusione. Tale pratica è pertanto assolutamente da proscrivere nei Paesi industrializzati, nei quali la disponibilità e la sicurezza di impiego dei latti adattati superano qualsiasi vantaggio dell’allattamento materno; ovviamente diversa è la condizione dei Paesi in via di sviluppo, dove non esistono alternative sicure al latte materno e dove è alta la mortalità infantile per diarrea.
Le strategie di terapia e prevenzione della trasmissione dell’HIV materna si basano sulla somministrazione di farmaci in corso di gravidanza e, inoltre, sull’adozione di procedure mediche che riducano al minimo il rischio di infettare il feto durante il parto. Quando è possibile, al momento del parto è consigliabile ricorrere al taglio cesareo, procedura che consente di ridurre il tempo di contatto tra sangue materno e sangue fetale. Inoltre, così facendo, si diminuisce la percentuale di complicanze materne che possono conseguire allo stato immunodepressivo che accompagna la malattia stessa.
Il cardine su cui si basa invece la cura farmacologica dell’HIV è la riduzione della carica virale (quantità di virus nel sangue del soggetto affetto). Questa si avvale della somministrazione di diversi tipi di farmaci antivirali, i quali agiscono principalmente nell’ostacolare la replicazione del virus nei globuli bianchi. Il primo farmaco utilizzato a questo scopo è la zidovudina (AZT), che può essere impiegato anche in gravidanza in quanto non è teratogenico, ha scarsi effetti collaterali nel lattante e nel bambino ed è caratterizzato da un elevato passaggio transplacentare che permette il raggiungimento di livelli terapeutici anche nei tessuti fetali: questo farmaco è infatti in grado di ridurre la trasmissione verticale del virus tra madre e figlio.
Nei Paesi in via di sviluppo, dove peraltro per diffusione dell’infezione e rischio di trasmissione perinatale si concentra la maggioranza dei casi di AIDS pediatrico, ci sono purtroppo gravi perplessità sulla reale possibilità di adottare lo schema proposto in ragione dei suoi costi e delle caratteristiche della popolazione locale. In alternativa, è possibile somministrare nel corso della gravidanza e al momento del parto un siero di immunoglobuline (anticorpi) anti-HIV, in modo da impedire il passaggio transplacentare del virus. Attualmente, però, a causa degli elevati costi e delle difficoltà nella realizzazione, questo siero non viene ancora inserito nei protocolli di cura.
Alla luce delle attuali conoscenze e delle possibilità terapeutiche, oggi in Italia bisogna operare uno sforzo perché il test sia offerto a tutte le donne gravide, per garantire, a loro e al nascituro, i benefici derivanti dalle possibili strategie preventive e dalla conoscenza della propria malattia in epoca presintomatica. Il test andrebbe proposto nel corso di un colloquio che ne spieghi il significato e la necessità per la salute della donna e del bambino, avendo già ben chiaro in mente ciò che andrà detto e come andrà gestita la situazione nella malaugurata ipotesi di un test positivo.
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