Test genetici -Test genetici per malattie genomiche e cromosomiche
Analisi del cariotipo I cromosomi, ovvero le 46 molecole di DNA presenti nel nucleo delle nostre cellule, sono visibili al microscopio ottico quando la cellula sta per dividersi (cosiddetta metafase) e quindi ha duplicato e condensato al massimo grado tutto il suo DNA; l’esame del cariotipo ha lo scopo di valutare numero e struttura di tali molecole; viene eseguito su cellule vive che si dividono spontaneamente (cellule del liquido amniotico, dei villi della placenta, del midollo osseo, fibroblasti della cute, cellule tumorali) o che vengono stimolate a dividersi in coltura (linfociti del sangue periferico stimolati dalla fitoemoagglutinina).
Le cellule vengono “bloccate” in metafase con i cromosomi spiralizzati grazie a un veleno del fuso mitotico, la colchicina, quindi trattate con soluzione ipotonica per aumentare il loro volume e separare i cromosomi l’uno dall’altro. Il preparato viene quindi fissato, distribuito su vetrini da microscopio e lasciato asciugare all’aria.
Per un adeguato riconoscimento dei cromosomi e la valutazione della loro struttura, i preparati vengono colorati con sostanze che creano un bandeggio caratteristico lungo l’asse principale dei cromosomi. Il colorante più utilizzato è il Giemsa (bandeggio G), che consente l’analisi del cariotipo al microscopio ottico, o la Quinacrine (bandeggio Q), che richiede l’analisi al microscopio a fluorescenza.
L’analisi del cariotipo viene eseguita su almeno 10-15 cellule e con un grado di spiralizzazione dei cromosomi che consenta di visualizzare non meno di 320 bande: un’analisi più accurata richiede tuttavia cromosomi meno condensati, lungo i quali sia riconoscibile un numero superiore di bande. Le principali indicazioni all’analisi del cariotipo sono:
- sospetto clinico di anomalia cromosomica (bambini affetti da sindrome di Down, di Patau, di Edwards, di Turner, soggetti di sesso maschile con sindrome di Klinefelter);
- casi di ritardo mentale con o senza malformazioni o dimorfismi;
- ambiguità dei genitali;
- coppie con infertilità, aborti ripetuti o precedente concepimento con anomalia cromosomica bilanciata o sbilanciata;
- esame del cariotipo fetale nei concepimenti di madri con età superiore ai 35 anni.
Analisi cromosomica con ibridazione fluorescente in situ (FISH, Fluorescent In Situ Hybridization) Oggi sono disponibili sonde di DNA coniugate con sostanze fluorescenti (chiamate fluorocromi) in grado di legarsi a sequenze specifiche, a esse complementari, del DNA cromosomico.
Grazie all’utilizzo di queste sonde è possibile “colorare” e quindi riconoscere i centromeri o i telomeri dei vari cromosomi e le relative regioni sub-centromeriche e sub-telomeriche, specifici geni o regioni cromosomiche o addirittura un intero cromosoma (cosiddetti painting e multicolor FISH).
Lo sviluppo della citogenetica molecolare (analisi del cariotipo associata alla FISH o ibridazione fluorescente in situ) ha quindi determinato grossi progressi nella diagnostica delle sindromi da microdelezione (malattie genomiche dovute alla perdita di una piccola porzione di cromosoma, contenente diversi geni ma non riconoscibile all’analisi del cariotipo) e nella caratterizzazione di riarrangiamenti cromosomici e cariotipi complessi quali quelli tumorali.
Ibridazione genomica comparativa (CGH Comparative Genomic Hybridization) Questa metodica, sviluppata di recente, consente di identificare regioni del genoma perse (delete) o duplicate nel DNA di un individuo o di alcune sue cellule. La CGH viene eseguita in laboratori di ricerca e utilizzata di solito per analizzare il genoma di individui (per lo più bambini) con ritardo mentale e malformazioni ma con cariotipi normali o presenza di alterazioni complesse.
In questi casi la CGH può dimostrare la presenza di delezioni o duplicazioni di tratti del genoma anche non riconoscibili all’analisi cromosomica convenzionale.
Un altro settore nel quale viene utilizzata la CGH è l’oncologia: in quest’ambito è efficace nel caratterizzare le regioni genomiche perse o amplificate in specifici tumori, e che quindi contengono possibili geni oncosoppressori (regioni delete) o geni oncogeni (regioni duplicate o amplificate). In breve, la CGH consiste nel mescolare uguali quantità di un DNA normale di controllo (marcato con un colorante di solito rosso) e di DNA da analizzare (marcato con un colorante di solito verde).
La miscela così ottenuta viene usata come sonda su un preparato di cromosomi normali, oppure su un filtro o un vetrino sul quale sono state legate centinaia o migliaia di brevi sequenze di DNA rappresentative dell’intero genoma (CGH microarrays).
Le regioni cromosomiche o le sequenze che risulteranno colorate in giallo corrispondono alle parti del genoma presenti in uguale quantità nel DNA di controllo e in quello da analizzare, quindi normali (un’uguale quantità di fluorescenza rossa e di verde determinerà infatti una colorazione gialla). Le regioni cromosomiche o le sequenze che risulteranno colorate in rosso corrispondono invece alle parti del genoma presenti in maggiore quantità nel DNA di controllo rispetto a quello da analizzare, quindi delete (prevalenza della fluorescenza rossa a causa della riduzione di quella verde).
Le regioni cromosomiche o le sequenze che risulteranno colorate in verde corrispondono, infine, alle parti del genoma presenti in maggiore quantità nel DNA da analizzare rispetto a quello di controllo, quindi duplicate o amplificate (prevalenza della fluorescenza verde per aumento del contenuto in DNA rispetto al normale).
[B. P., A. A., G. C. C.]
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