PARTO -Patologie del parto
Normalmente il travaglio insorge al termine della gravidanza, mediamente tra la 38a e la 40a settimana di gestazione; se questo insorge prima della 38a settimana o dopo la 42a è considerato patologico e nel primo caso si parla di parto prematuro, nel secondo di gravidanza protratta. A causa del rischio di scarsa ossigenazione del feto per effetto dell’invecchiamento della placenta, solitamente non si attende lo scadere della 42a settimana di gestazione; in questi casi si induce farmacologicamente il parto, con applicazione di prostaglandine per via vaginale, associata a rottura delle membrane, seguita eventualmente da ossitocina endovena. Un’indicazione all’induzione del parto è la rottura prematura delle membrane; questa si manifesta con perdita di liquido chiaro (amniotico) dalla vagina, associata talvolta alla comparsa di contrazioni irregolari. Generalmente il travaglio prosegue autonomamente nell’arco di 12-24 ore, ma se ciò non avviene è opportuno intervenire con farmaci per stimolarlo. La rottura prematura infatti è associata a un maggior rischio di risalita verso l’utero di batteri vaginali, che possono compromettere il buon esito del parto. Se la rottura avviene troppo precocemente (prima che siano trascorse 36 settimane di gestazione), la donna viene ricoverata per aspettare la completa maturazione polmonare del feto. Può capitare, invece, che durante la fase cervicale del travaglio le contrazioni non diventino più intense e regolari, ostacolando in questo modo la maturazione del collo cervicale; in tal caso si parla di discinesia spastica del collo uterino: il collo dell’utero è eccessivamente rigido e impedisce la corretta discesa della testa del feto. Altre volte, invece, l’utero non si contrae con sufficiente vigore e quindi non riesce a spingere la testa verso il basso, con scarso impegno da parte del feto. In tutte le situazioni appena esposte si procede all’induzione del travaglio per via farmacologica, e se ciò non è sufficiente si ricorre al taglio cesareo. Molto importante è l’ipossia fetale, ossia la scarsa ossigenazione del feto. Questa patologia può insorgere in qualsiasi momento del travaglio, ma con maggior frequenza all’inizio e alla fine del parto. Va distinta dalle normali decelerazioni (rallentamenti) del battito cardiaco fetale che compaiono durante le contrazioni per effetto della “spremitura” dell’utero sul feto. In caso di ipossia vera, il rallentamento del battito cardiaco fetale è accentuato, prolungato e persistente. Possono talvolta scomparire anche le contrazioni. Le cause che portano alla scarsa ossigenazione del feto sono legate ad anomalie del cordone ombelicale (giri intorno al collo, nodi veri o prolasso del cordone). Durante la discesa della testa può capitare che il funicolo (cordone) ombelicale sia stirato o si schiacci su se stesso, riducendo o interrompendo completamente il flusso di sangue che arriva al feto. In questi casi ovviamente si procede a una estrazione immediata del feto, o per via vaginale (anche con l’aiuto della ventosa) oppure tramite un taglio cesareo d’urgenza. Può capitare anche che, dopo un travaglio di parto molto protratto, si abbia un esaurimento della forza contrattile dell’utero; sia le contrazioni uterine sia la spinta della donna divengono poco efficaci e non promuovono l’uscita del feto. Anche in questi casi si ricorre alla ventosa, che viene inserita in vagina e applicata sulla testa del feto, senza ovviamente creare danni al bambino oppure al taglio cesareo.Molto più rare sono la rottura dell’utero e la rottura di una pregressa cicatrice uterina (in seguito a taglio cesareo). In questi casi si procede con urgenza immediata al taglio cesareo. Talvolta la difficoltà al parto vaginale (naturale) è dovuta al malposizionamento del feto. Se questo è troppo grosso oppure si presenta con la spalla (distocia di spalla) o con le natiche, può capitare che si abbia un arresto del travaglio, perché la parte più grossa del corpo non riesce a uscire. In passato si eseguivano delle manovre endouterine per riposizionare il feto e farlo uscire manualmente per via vaginale, mentre attualmente si preferisce, in questi casi, eseguire un taglio cesareo, in quanto le suddette manovre non sono esenti da rischi. Anche la placenta può staccarsi in maniera anomala e incompleta durante la fase di secondamento. Nei casi in cui ciò si verifica, si assiste alla mancata contrazione dell’utero, con abbondante emorragia, perché i vasi sanguigni sono beanti, cioè restano aperti. In questi casi si rende indispensabile un secondamento manuale associato a induzione della contrattura uterina per via farmacologica. Nei casi più gravi di emorragia inarrestabile si deve purtroppo ricorrere all’asportazione dell’utero per salvare la donna (isterectomia).
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