La storia
Nel 1932 alcuni ricercatori sovvenzionati dal governo statunitense negarono, ingannandoli e a scopo di ricerca medica, le opportune cure a pazienti portatori di sifilide, afroamericani poveri e senza cultura, cui non vennero riferite né la diagnosi né la prognosi della malattia.
Quella ricerca, nota come sperimentazione di Tuskegee dal nome della cittadina dell’Alabama in cui si svolse, rappresenta uno dei più infamanti esempi di ricerca biomedica nella storia degli Stati Uniti d’America.
Contemporaneamente, nello stesso contesto americano, si andava lentamente formando un cambiamento culturale contraddistinto da una maggiore attenzione ai diritti individuali.
Si cominciava a parlare di parità dei diritti civili per le popolazioni afroamericane e di riconoscimento, per le donne, della libertà di esercitare la propria volontà in materia sessuale e la propria autonomia decisionale.
Si stava assistendo alla condivisione culturale di alcuni valori per cui ogni soggetto, a prescindere da diversità di genere o di etnia, guadagnava il diritto di scegliere il “meglio” per la propria vita, in diversi settori, compreso quello della salute.
Un’eccezionale coincidenza si verificava negli stessi anni in campo biomedico, grazie allo sviluppo tecnico-scientifico, e si concretizzava con la “rivoluzione terapeutica” (scoperta di sulfamidici e penicillina), la “rivoluzione tecnologica” (produzione delle prime macchine per la dialisi, la circolazione extracorporea, il cuore e il polmone artificiale) e infine la “rivoluzione biologica”; tutti questi progressi conferivano all’uomo nuovi poteri di intervento sulla riproduzione, la genetica e il sistema nervoso.
Afferma Carlo Casonato, docente di diritto all’Università di Trento: «la medicina, insomma, interviene sempre più in modo massivo sulla vita, sulla morte e sulle rispettive origini e riesce a spostarne in termini qualitativi il confine, prima maggiormente riconoscibile in termini “naturali”. Si impone così una nuova riflessione sul significato delle stesse (vita e morte) e in particolare sui concetti di sacralità e di qualità della vita, sui poteri del medico, sul ruolo della volontà del paziente e sul riconoscimento dell’autodeterminazione del soggetto (consenso informato)».
Da ultimo prese il via la consapevolezza dei rischi nei confronti dell’ambiente (non solo riguardo a ciò che “vive”), rispetto al quale lo sviluppo economico e industriale senza regole né limiti può determinare grave danno e precluderne alle generazioni future la fruibilità.
La bioetica nasce, quindi, come profonda esigenza da un humus culturale e giuridico favorevole e trova la forza per affermarsi ed espandersi nella necessità di porre limiti a ciò che l’uomo può fare, per impedire la sua autodistruzione e/o la distruzione dell’ambiente in cui vive. Le differenze di pensiero, che danno vita al dibattito bioetico, sono determinate in massima parte dai diversi criteri scelti per definire ciò che realizza, o ciò che distrugge, l’uomo e il suo ambiente.
Che cos’è la bioetica
Nell’autunno del 1970 un oncologo americano, Van Rensselaer Potter, pubblicava nella prestigiosa rivista Science, il saggio dal titolo “Bioethics: the Science of Survival”, considerato il testo di riferimento della bioetica. Potter così motiva la scelta del nuovo termine: «ho scelto la radice bio per rappresentare la conoscenza biologica, la scienza dei sistemi viventi ed ethics per rappresentare la conoscenza del sistema dei valori umani».
Nel 1971 Potter sentì la necessità di scrivere un libro (Bioethics: a Bridge To The Future), e nella prefazione chiarì gli obiettivi del suo lavoro: «il proposito di questo libro è di contribuire al futuro della specie umana, promuovendo la formazione di una nuova disciplina, la disciplina della bioetica».
«Se vi sono “due culture” che non sembrano in grado di parlarsi – la scienza e le discipline classiche – e se ciò fa parte del motivo per cui il futuro sembra in dubbio, allora potremmo forse costruire un “ponte verso il futuro” ponendo la disciplina della bioetica come ponte tra le due culture. […] Ciò che noi dobbiamo ora affrontare è il fatto che l’etica umana non può essere separata da una comprensione realistica dell’ecologia in senso più ampio. […] Abbiamo grande bisogno di un’etica della terra, un’etica della flora e della fauna, un’etica della popolazione, un’etica del consumo, un’etica urbana, un’etica internazionale, un’etica geriatrica e così via».
L’Encyclopedia of Bioethics (W.T. Reich, McMillan, New York, 1978) così definisce la bioetica: «lo studio sistematico della condotta umana nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta è esaminata alla luce dei valori e dei principi morali» (vol. I, p. XIX).
Il nodo cruciale è proprio definire quali siano i valori e quali i principi morali da tenere come riferimento per questi ragionamenti e queste valutazioni.
Di che cosa si occupa la bioetica?
Il campo di applicazione della bioetica è molto vasto e non si presta a una suddivisione in capitoli rigidamente distinti.
Tuttavia un indice sommario dei temi, almeno in linea generale, potrebbe essere quello indicato di seguito.
- Rapporti tra uomo e natura.
- Responsabilità dell’uomo verso l’ambiente in cui vive.
- Rispetto e utilizzo degli animali per sperimentazioni e a uso biomedico.
- Manipolazioni genetiche nel regno vegetale (OGM, Organismi Geneticamente Modificati), nel regno animale e nell’uomo (clonazione, eugenismo).
- Problemi riguardanti interventi sulla vita dell’uomo.
- Vita prenatale (interventi sull’embrione, problema delle cellule staminali, aborto, diagnosi prenatale).
- Neonatologia e problemi dei bambini malati (cura, informazione, consenso).
- Salute mentale e problemi etici della pratica psichiatrica.
- Dono e trapianto di organi.
- Sperimentazioni sugli esseri umani.
- Scelte etiche al termine della vita (ostinazione/accanimento terapeutico, eutanasia).
- Problemi inerenti il comportamento dell’uomo.
- Sessualità umana.
- Decisioni in merito alla procreazione (procreazione assistita, regolazione delle nascite, sterilizzazione).
- Problemi inerenti la comunicazione nel processo terapeutico.
- Comunicazione del rischio di malattia.
- Segreto professionale e comunicazione della verità al malato.
- Problemi inerenti la ricerca biomedica e farmacologica.
- Problema del disease mongering (“fabbricazione della malattia”), in altre parole la creazione di “un bisogno” come parte integrante della promozione di un nuovo farmaco, cui fa seguito l’avanzare delle “tecnologie del corpo” o enhancement technologies, rivolte non a curare una malattia, ma a incrementare una funzione fisiologica (per esempio, l’impiego di ormoni per migliore le prestazioni sessuali).
- Problemi inerenti la giustizia nella sanità, quindi le discussioni sulla corretta allocazione delle risorse in tema di cure e di assistenza e sulla scelta del sistema di assistenza (universale, globale, senza discriminazioni).
Che differenza c’è tra bioeticae deontologia?
Molte persone, anche professionisti, spesso confondono i due termini; si rende quindi opportuno chiarire il significato della parola deontologia. Coniato da Benthan nel 1834 per proporre una filosofia morale che derivasse unicamente dalla “convenienza” (dal greco antico déon), oggi il termine ha tutt’altro significato e denota un insieme di “regole” che indicano come è corretto comportarsi. Il più delle volte questo sostantivo è seguito dall’aggettivo “professionale” e viene infatti riferito a una determinata categoria di professionisti (per esempio medici, avvocati o ingegneri). In altri termini, il codice deontologico dei medici non è un insieme di precetti elaborati a partire dall’etica ma una serie di raccomandazioni, vincolanti per ciascun medico (pena la censura o l’espulsione dalla categoria, con divieto di esercitare), che la categoria stessa ha ritenuto di promulgare per meglio svolgere la professione e conseguire i suoi scopi. Ciò è tanto vero se si pensa che le “regole”, nel nostro caso quelle del codice deontologico medico, sono sottoposte a continue revisioni e alcune di esse possono contrastare con il giudizio etico di certi suoi membri (per esempio le norme che disciplinano l’interruzione della gravidanza).
Che differenza c’è tra etica e morale?
Un’altra parola che spesso viene accostata alla bioetica è moralità. Sebbene si utilizzino spesso indifferentemente i termini etica e morale attribuendo loro lo stesso significato, in genere la morale nei paesi latini viene riferita a una “fede”, al problema del bene e del male che sottende a una rivelazione divina. Molto spesso, infatti, al sostantivo morale si accosta l’aggettivo “religiosa”. La parola morale tuttavia non è da confondere con moralismo, che ha la connotazione negativa di chi dà giudizi morali senza alcuna argomentazione. In pratica, sia l’etica sia la morale devono rispondere alla domanda “è giusto o non è giusto?”, ma mentre nel primo caso il criterio di giudizio ha un approccio razionale, nel secondo il credente risponde rinviando a Dio e a ciò che ritiene Egli abbia rivelato. «La morale», afferma il professor Cattorini, «può essere intesa come la giustificazione personale dell’etica».
Bioetica: quali differenze alla base delle varie correnti di pensiero?
Nel 1979 Hans Jonas descrisse un principio fondamentale e universale della bioetica, quello di “responsabilità”, e propose un nuovo comandamento: «non uccidere l’umanità […], agisci in modo tale che le conseguenze del tuo agire siano conciliabili con la sopravvivenza di una vita veramente umana sulla Terra». Tuttavia è necessario specificare che cosa significa essere responsabili, di chi è la responsabilità e verso chi. Il professor Sandro Spinanti ha scritto: «si è aperto un nuovo fronte di domande: antropologiche (quale progetto uomo perseguire?) […] etiche (come trovare il consenso in una società pluralista?) […] il primo compito della riflessione antropologico-etica è quello della fedeltà: deve stabilire le condizioni alle quali l’uomo resta ancora uomo». Vi è consenso in bioetica circa la necessità di prendere come principale valore di riferimento la persona umana e i suoi diritti fondamentali. L’ONU riconosce come cardini i diritti alla salute e alla vita della persona umana, e tutte le carte dei diritti del malato fanno riferimento alla dignità dell’infermo, che deve mantenersi intatta nello stato di malattia. Qualunque sia la cultura o la religione di una persona, il suo grado di sviluppo o la sua intelligenza, essa merita totale rispetto. Di fronte alla domanda su chi sia la “persona umana” si scontrano oggi sostanzialmente due posizioni all’interno della riflessione bioetica. Una pone a fondamento la realtà ontologica, cioè il significato, ciò che la persona è “di per sé” indipendentemente dalle capacità possedute o sviluppate al momento. L’individuo ha una “dignità intrinseca” che mantiene per tutto l’arco della vita. In ragione del fatto che molti cattolici si ritrovano in questa posizione, alcuni, in modo semplicistico, la definiscono “etica cattolica”, anche se non vi sono riferimenti diretti alla fede bensì a un pensiero razionale. L’altra posizione guarda più alle doti possedute e sviluppate al momento: autocoscienza, capacità di sentire dolore, responsabilità ecc. Seppure in modo diversificato, i sostenitori di quest’ultima convergono nel non ritenere opportuno far coincidere sempre la vita umana con la persona umana e tendono a sottolineare la relatività del valore della vita umana, per esempio in ragione della qualità di vita, sostenendo che possono esistere casi in cui la persona perde la dignità. Va da sé che le due posizioni hanno riflessi sulle scelte etiche nettamente distinte e opposte (per esempio su aborto, eutanasia, utilizzo di embrioni).
Paolo Vineis, nel suo libro Equivoci bioetici (Codice Edizioni, Torino 2006), fa riferimento a tre posizioni attualmente dominanti: il pensiero cattolico, quello laico liberale (da lui definito illuminista) e un pensiero radicale che comprende il mondo degli ecologisti, una parte dei pensatori del postmoderno e i critici della globalizzazione. [P. L. A.]