Cure palliative -L’hospice
Nel nostro Paese, questo termine viene frequentemente utilizzato per indicare una struttura di degenza costruita appositamente per accogliere malati nella fase terminale della loro vita. Tuttavia, dal già citato esempio del St. Christopher’s Hospice (negli anni Sessanta del Novecento) fino a oggi, si è diffusa una specifica filosofia assistenziale che mette in risalto non solo la presa in carico totale del malato, ma anche alcuni aspetti precedentemente non riconosciuti, quali l’approccio scientifico alla terapia del dolore e dei sintomi, la necessità di sviluppare la ricerca scientifica, l’importanza della formazione specifica degli operatori.
Si è così progressivamente ampliato il concetto di hospice che, pur con modelli organizzativi diversificati, offre servizi integrati quali le strutture di degenza, le unità di cure palliative di assistenza domiciliare, i team di cure palliative all’interno degli ospedali, i day-hospice. In Italia, il primo hospice è nato a Brescia nel 1987 per opera dalla Casa di cura della Congregazione della ancelle della carità: si chiamava Domus salutis.
Nel 1991 è seguito quello dell’Istituto geriatrico pio albergo Trivulzio di Milano. Progressivamente si sono rese operative fino al 2007 105 strutture, con diversi livelli di organizzazione, e altre si prevede vengano avviate per raggiungere, a regime, in Italia, circa 2500 posti letto.
Il programma di cure in un hospice si articola attorno a tre punti fondamentali:
- viene garantita una valutazione multidimensionale finalizzata a soddisfare i bisogni del malato e della sua famiglia;
- l’organizzazione dell’assistenza è centrata sul paziente ed è finalizzata a ottenere interventi efficaci;
- l’assistenza è erogata da una équipe composta da diverse figure professionali, non solo di ambito sanitario, ma anche provenienti dalle scienze umane, sociali, comportamentali.
Lo sviluppo futuro di questo tipo di sistema può essere ipotizzato in una duplice via. Da un lato, strutture che dispongono di una limitata capacità di “medicalizzazione”, da utilizzarsi nei casi di temporanee necessità da parte di malati che sostanzialmente possono essere curati a domicilio (bassa complessità assistenziale). Dall’altro, strutture che invece possono risolvere i problemi dei soggetti ad alta complessità, dotate quindi di strumenti diagnostici e terapeutici avanzati e destinate a un numero decisamente minore di pazienti (10-15% dei malati oncologici).
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