EVOLUZIONE E DISTURBI NEL BAMBINOLINGUAGGIO -I ritardi di linguaggio
La classificazione dei disturbi del linguaggio è andata modificandosi negli anni, soprattutto in relazione all’estrazione culturale dei vari studiosi (neuropsichiatri, foniatri, psicologi) e va comunque ricordato che il linguaggio è una funzione geneticamente determinata e che il suo sviluppo, condizionato da fattori ambientali, può presentare notevole variabilità da un bambino a un altro.
A 2 anni e mezzo il linguaggio espressivo (vale a dire le parole o i brevi enunciati) deve essere comunque presente e deve fare riferimento a un adeguato sviluppo cognitivo (uso di diverse strategie per esprimere le proprie intenzioni comunicative: gesti e prosodia).
Quando si parla di ritardi di linguaggio si fa riferimento a bambini che acquisiscono con ritardo i suoni e le strutture della lingua, avendo peraltro un udito normale e un normale sviluppo psico-fisico ed affettivo .
Secondo la classificazione dell’Unione Foniatri Europei si distinguono disturbi “primari” e “secondari”
I disturbi primari (ritardo del linguaggio, disturbo specifico del linguaggio e altri disturbi particolari quali agnosia uditiva, aprassia ecc.) sono più frequenti nei maschi, nei gemelli e in condizioni familiari e sociali di disagio. La frequenza di questi problemi nei bambini in età prescolare non è ancora del tutto identificata e varia a seconda delle esperienze riferite (dal 3 al 15%); si sa poi che oltre la metà dei bambini con ritardo del linguaggio tra i 3 e i 5 anni presenta problemi dell’apprendimento scolastico, che possono provocare ricadute importanti anche sullo sviluppo affettivo e sociale.
Sono compresi nell’ambito dei disturbi primari del linguaggio disturbi diversi e caratterizzati, per esempio, da ritardata comparsa del linguaggio, vocabolario espressivo di molto inferiore alla media a 24 mesi (meno di 50 parole), assenza di frasi o lunghezza media delle frasi inferiore a 3 parole a 36 mesi. I bambini con livelli cognitivi, percettivi e neurologici normali che entro il terzo anno di età presentino un ritardo fonologico e lessicale, possedendo soltanto consonanti nasali, labiali e alveolari ([m], [n]) e aspirate ([h]), sono detti “late talkers”.
Possono connotarsi condizioni con diversa gravità, descritte di seguito.
- Ritardo fonologico lieve: c’è la persistenza di alcuni processi di semplificazione della pronuncia tipici di un bambino di 2-3 anni, per esempio il dire “kaddo” per “caldo”.
- Ritardo fonologico di grado severo: ci sono delle “semplificazioni” che non si riscontrano in un normale sviluppo e vi sono parole che il piccolo non riesce proprio a pronunciare (parole idiosincratiche). Si riscontrano atipie e processi insoliti.
- Ritardo fonologico grave: il piccolo ha un repertorio di consonanti estremamente ristretto e mostra una costante preferenza per un suono, con conseguente scarsa comprensibilità del suo linguaggio. Per esempio la frase “il topo mangia il formaggio” viene pronunciata “topoattaatto”. Questi bambini possono, verso i 3 anni, recuperare velocemente il ritardo ( si parla in questo caso di late bloomers), recuperarlo tardivamente (late talkers) o procedere verso un disturbo specifico del linguaggio, evento questo che sembra più frequente nei soggetti late talkers che acquisiscono le prime combinazioni di parole a 30 mesi realizzando, rispetto ai late bloomers, oltre ad un alterato sviluppo lessicale anche un alterato sviluppo sintattico fra i 4 e i 5 anni di età.
I disturbi specifici del linguaggio vengono classificati in base all’ICD10 in:
- disturbo specifico dell’articolazione dell’eloquio (ritardo fonologico);
- disturbo del linguaggio espressivo (fonologico, lessicale-semantico e morfo-sintattico);
- disturbo del linguaggio recettivo (decodifica alterata a diversi livelli);
- afasia acquisita con epilessia (sindrome di Landau-Kleffner).
Queste condizioni risultano più frequenti nel maschio (3:1), in presenza di familiarità, in gemelli monozigoti rispetto ai dizigoti. Un disturbo specifico di linguaggio si caratterizza per l’assenza di deficit cognitivi, sensoriali, motori, affettivi o di importanti carenze socio-ambientali; per la presenza di difficoltà di vario grado nella comprensione, produzione e uso del linguaggio; per un’evoluzione variabile per quanto riguarda gravità e persistenza del problema.
I disturbi secondari sono legati ad altre condizioni patologiche quali i deficit dell’udito (ipoacusia), un ritardo mentale, psicosi, paralisi cerebrale infantile o danno cerebrale insorto dopo l’acquisizione del linguaggio.
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