Craniosacrale
Craniosacrale
Il termine craniosacrale deriva dall’unione di cranio e sacro, mediante la quale si evoca una relazione tra la testa e la coda: tale relazione, però, non è soltanto quella che tiene insieme i segmenti ossei delle vertebre della colonna, ma rappresenta qualcosa di più centrale e profondo: la continuità del sistema nervoso centrale tra cervello e midollo spinale e la relazione con le meningi, che rivestono l’interno del cranio e scorrono dentro il canale vertebrale, arrivando a terminare proprio nell’osso sacro.
Le origini
La disciplina del craniosacrale deve la sua ideazione e le proprie radici a William Garner Sutherland (1873-1954), giornalista che abbandonò la professione a 25 anni per diventare studente della prima scuola di osteopatia, quella di Kirksville nel Missouri. Sutherland era allievo di Andrew Still, il padre dell’osteopatia, e durante i suoi studi ebbe l’intuizione che lo portò poi a scoprire i principi e la struttura del sistema craniosacrale: vide un cranio smontato (in termini anatomici esploso) e, concentrando l’attenzione sulle ossa temporali, arrivò a considerarle come le branchie del pesce, che si aprono e si chiudono favorendo una respirazione del cervello. Sutherland iniziò da questo momento un’intensa attività di sperimentazione, che condusse prima su di sé e quindi sui propri pazienti: costruì una sorta di cappello partendo da un pallone da football americano, cui aggiunse viti, molle e cinghie di ogni genere, e se ne servì per studiare le singole ossa craniche e i loro movimenti. Un giorno fermò saldamente tutte le ossa del cranio e si rese conto che l’osso sacro si muoveva tantissimo: ciò confermava che i movimenti percepiti chiaramente sul cranio avevano una stretta correlazione con l’osso sacro. Nei sette anni successivi Sutherland studiò e sperimentò nuove vie di approccio e metodo nell’ambito osteopatico, peraltro senza mai condividere con nessuno il suo lavoro: accudiva i propri pazienti e, tra una sessione e l’altra, indossava il suo cappello craniosacrale per verificare e analizzare ciò che aveva precedentemente sentito sotto le proprie mani; sembra addirittura che, durante un’intensa giornata di lavoro con numerose sedute individuali, uscendo dallo studio per ricevere il paziente successivo si dimenticò lo strano cappello in testa, con grande stupore di chi era seduto in sala d’attesa. Forse anche in seguito a tale episodio, Sutherland decise di rendere pubbliche le proprie teorie tra i colleghi osteopati, che vennero accolte con parecchio scetticismo (una situazione del resto comune a chiunque introduca nuove teorie contrarie al credo della maggioranza).
L’idea che le ossa craniche, una volta sviluppate, continuino a muoversi sebbene saldate attraverso le suture e che ciò derivi da una forza vitale che coinvolge anche il sacro, venne sistematicamente rigettata per diversi anni dai contemporanei di Sutherland. Con il passare del tempo, però, le teorie da lui espresse vennero lentamente accettate e riconosciute da tutte le scuole di osteopatia.
Sutherland dedicò il resto della sua vita a sperimentare ed esplorare: definì come parte di un “meccanismo respiratorio primario” i movimenti delle ossa e delle meningi, animate da quello che chiamò il respiro della vita (con riferimento all’immagine biblica del soffio divino che crea la vita): tale impulso dà origine a lenti ritmi biologici, che interagiscono con i principali sistemi del nostro organismo e lo governano.
William Sutherland è stato un grande pioniere, con una straordinaria capacità di percezione e visualizzazione; attento e sensibile osservatore dei fenomeni naturali, tentò sempre di aiutare il prossimo a prendersi cura della propria salute, come si evince da queste sue parole: “il compito professionale del terapista è delegato in gran parte alle nostre dita, che devono cercare di localizzare i profondi fattori eziologici che si estendono a tutti i tessuti corporei. Essendo ciò problematico come un ago in un pagliaio, abbiamo bisogno di usare dita con cellule cerebrali sulla loro punta [...] dita capaci di sentire, vedere, pensare. Le nostre dita devono essere come detective, abili nell’arte di trovare cose nascoste.”