La narcolessia è un problema di salute caratterizzato da un’eccessiva sonnolenza diurna, associata a cataplessia e talora a paralisi del sonno (detta anche paralisi ipnagogica, disturbo che provoca per un tempo brevissimo, prima di addormentarsi o, più spesso, al risveglio l’impossibilità di muoversi) o ad allucinazioni ipnagogiche (esperienze visive o uditive o tattili, intense e molto “verosimili”, che si verificano nella fase di addormentamento e possono durare da qualche secondo a diversi minuti, a volte anche con un contenuto terrificante). Questa eccessiva sonnolenza diurna viene sovente riferita dalle persone al loro medico come “stanchezza” e come “insolita tendenza ad addormentarsi”.
Segni e sintomi
La narcolessia si manifesta con irresistibili attacchi di sonno che avvengono più volte al giorno, non solo in circostanze noiose e monotone, ma anche durante una conversazione, un pasto o mentre si sta lavorando o guidando. Nella maggior parte dei soggetti gli attacchi di sonno diurni compaiono in media ogni cento minuti e, spesso, dopo un sonnellino della durata di pochi minuti il soggetto si sveglia riposato e riferisce di aver sognato; questi episodi sono indipendenti dal numero di ore di sonno notturno. La cataplessia è caratterizzata da una rapida perdita del tono muscolare; essa è provocata da emozioni collegate a manifestazioni di riso o di collera. La gravità di un attacco cataplettico è variabile e può manifestarsi con una breve e parziale debolezza o con una quasi completa perdita della funzione muscolare che perdura per alcuni minuti. Le conseguenze di un simile attacco possono essere l’impossibilità a muoversi, a parlare o un’improvvisa caduta. Le allucinazioni ipnagogiche sono esperienze percettive intense e vivide che generalmente si verificano all’inizio di un attacco di sonno. Le paralisi di sonno consistono in una transitoria, generalizzata incapacità a muoversi che si manifesta al risveglio o durante l’addormentamento. La narcolessia non è una patologia molto frequente, con una frequenza pari nei maschi e nelle femmine. Insorge in modo graduale tra i 20 e i 30 anni in alcuni soggetti come conseguenza di eventi quali stress psicologici, traumi cranici, infezioni ecc. Può essere idiopatica (sono i casi in cui non si riesce a identificarne una causa scatenante) o secondaria se causata da altre patologie, tra le quali vanno ricordate la sclerosi multipla, la distrofia miotonica, i tumori primari o secondari dell’ipotalamo, le encefaliti, gli stroke che coinvolgono il diencefalo, i traumi cranici ecc. Tale sindrome va differenziata da altri disturbi del sonno quali la sindrome delle apnee ostruttive notturne, l’insufficienza di sonno cronica, l’ipersonnia ricorrente.
Percorso diagnostico
In genere il medico ipotizza l’esistenza di una narcolessia già sulla base dei disturbi riferiti a lui dal paziente, specie nei casi in cui compaiono i sintomi della cataplessia, tuttavia la diagnosi di certezza è possibile solo mediante uno studio neurofisiologico.
L’aspetto neurofisiologico caratteristico della narcolessia è la rapida insorgenza del sonno REM entro pochi minuti dall’addormentamento. Per la diagnosi è quindi indispensabile lo studio polisonnografico seguito dal test delle latenze multiple di sonno.
La polisonnografia viene effettuata nei pazienti che non hanno cataplessia al fine di escludere che i disturbi siano dovuti ad altre patologie. Tale tecnica è capace di dimostrare l’insorgenza del sonno REM entro 15 minuti dall’addormentamento, la presenza di un sonno frazionato e di frequenti risvegli. Un’altra indagine utile è il test di latenza multipla del sonno, che consiste in 4-5 registrazioni di elettroencefalogramma poligrafico eseguite 2-3 ore dopo il risveglio del paziente e distanziate di 2 ore circa l’una dall’altra. È importante che nei sette giorni precedenti l’esame il paziente non abbia assunto farmaci psicoattivi né stimolanti quali caffeina o nicotina. Tale esame diagnostico è utile per valutare quante volte comparire il sonno REM e per misurare obiettivamente la presenza di eccessiva sonnolenza. Per una corretta interpretazione del test di latenza multipla del sonno, nella notte precedente dovrebbe essere effettuata la polisonnografia notturna. Il test di mantenimento della veglia è un utile strumento per verificare la risposta al trattamento e il rischio dovuto alla sonnolenza dopo trattamento. Il paziente deve stare sveglio in quanto il test misura proprio la sua capacità di rimanere sveglio. Il test è utilizzato sia per escludere la narcolessia sia per diagnosticarla. Nell’insieme, gli strumenti neurofisiologici fin qui descritti consentono non solo di fare diagnosi ma anche di controllare nel tempo l’evoluzione della malattia e di valutare la risposta alla terapia.
Il test genetico può essere utile nei casi dubbi o come supporto alla consulenza genetica in casi familiari. È stata scoperta infatti una diminuzione dei livelli di ipocretina (Hcrt-1) nel liquor cefalorachidiano ed è stato anche definito un valore-soglia per la diagnosi di narcolessia (110 pg/ml), mentre pazienti con altri disturbi del sonno presentano valori di Hcrt-1 nella norma. Questo test, tuttavia, è per ora limitato ai casi che restano di difficile interpretazione, quando la diagnosi di narcolessia è incerta.
Prevenzione e trattamento
Per quanto concerne la prevenzione, non sono noti metodi efficaci per prevenire l’insorgenza della sintomatologia né esistono trattamenti realmente risolutivi di questa patologia. I sintomi della narcolessia possono però essere meglio controllati sia mantenendo corrette abitudini di vita sia seguendo il trattamento farmacologico. Per controllare l’eccessiva sonnolenza diurna, la terapia medica si avvale di farmaci “stimolanti” il sistema nervoso centrale: il prodotto stimolante di prima scelta è il modafenil. Contro la cataplessia si prediligono invece farmaci come gli antidepressivi, che svolgono un effetto inibitorio sul sonno REM. [M.R., G.G.]