Tumori della prostata -Trattamento
Ci sono diverse possibilità di trattare il carcinoma prostatico. Prima di scegliere un trattamento, il medico deve prendere in considerazione l’età, lo stato di salute, lo stadio della malattia (cioè il TNM), il punteggio di Gleason, il valore di PSA e la presenza di eventuali malattie concomitanti nel paziente.
Le più comuni opzioni terapeutiche per il carcinoma prostatico sono:
- la cosiddetta vigile attesa;
- la chirurgia;
- la radioterapia;
- la terapia ormonale;
- la chemioterapia.
Molto spesso è possibile che sia necessario combinare più di un tipo di trattamento, cioè attuare quella che viene definita una “terapia di combinazione” al fine di ottenere un risultato migliore.
Vigile attesa Con questa espressione si indica l’astensione da qualsiasi tipo di terapia con il mantenimento del paziente sotto stretta osservazione, fino a quando non compaiano sintomi oppure si documenti un peggioramento della malattia. Si tratta di un tipo di scelta raccomandabile in pazienti anziani o affetti da gravi malattie, che potrebbero non tollerare bene le terapie, in particolare se affetti da un tumore che dimostri caratteristiche di scarsa aggressività e che sia ancora confinato nella prostata. Per fare un esempio, un paziente di 80 anni con un carcinoma prostatico di stadio T1 o T2, valori di PSA inferiori a 10 ng/ml e un punteggio di Gleason inferiore o uguale a 7 può tranquillamente non effettuare alcun tipo di terapia, poiché è quasi certo che la sua malattia alla prostata avrà uno sviluppo così lento da non costituire un problema per il suo stato di salute.
In alcuni paesi del Nord Europa la vigile attesa viene proposta come scelta anche a pazienti più giovani, purché affetti da una malattia prostatica con caratteristiche di scarsa aggressività.
La vigile attesa non è invece consigliata nei pazienti che presentino un carcinoma prostatico di stadio avanzato.
Terapia chirurgica La terapia chirurgica si propone di rimuovere tutta la prostata mediante un intervento chiamato prostatectomia radicale: l’obiettivo è quello di “guarire” in modo definitivo il cancro prostatico. Per questo motivo l’intervento non si fa a tutti i pazienti indiscriminatamente, ma solo a quelli in possesso di due requisiti:
- un cancro prostatico che si presume si sia sviluppato solo all’interno della prostata e quindi non abbia messo radici al di fuori;
- l’assenza di malattie concomitanti, che renderebbero troppo rischioso l’intervento, e una prospettiva di vita di almeno 10 anni; come già accennato infatti, il cancro della prostata può avere uno sviluppo così lento oltre una certa età (cioè dopo i 70 anni) da permettere la sopravvivenza del paziente per molti anni anche in assenza di trattamento.
Ai pazienti cui sia stato riscontrato un carcinoma che abbia già messo radici fuori della prostata, vengono di solito consigliate cure diverse dalla chirurgia, basate sugli ormoni o la radioterapia. Va tuttavia ricordato che alcuni urologi oggi suggeriscono di operare anche i cancri alla prostata che sono in una fase più avanzata. Si è visto infatti che l’asportazione chirurgica di un cancro di prostata già esteso al di fuori della ghiandola, anche se non riesce a essere completa, permette comunque una maggiore sopravvivenza del paziente.
Potenziali effetti collaterali della chirurgia per un carcinoma prostatico sono l’incontinenza urinaria e l’impotenza sessuale, che possono essere temporanei oppure permanenti in base al paziente, alla malattia e al tipo di intervento effettuato. Poiché la prostata è un organo riproduttivo, la sua asportazione comporta l’infertilità (dovuta all’incapacità di emettere lo sperma).
Radioterapia Vi sono 2 forme di radioterapia che possono essere utilizzate per distruggere le cellule tumorali nella prostata. La radioterapia esterna utilizza alte dosi di raggi X, somministrati alla prostata da una sorgente che si trova al di fuori del corpo, nel corso di brevi sessioni giornaliere ripetute per diverse settimane. In casi selezionati di tumori piccoli e localizzati alla prostata è possibile utilizzare una forma di radioterapia “interna”, nota con il termine di brachiterapia, che consiste nel posizionamento di “semi” radioattivi all’interno della prostata.
Nel caso di un tumore prostatico allo stadio iniziale, la radioterapia può essere utilizzata in alternativa alla chirurgia, soprattutto nei pazienti che presentino uno stato di salute tale da rendere rischioso l’intervento chirurgico; in alternativa, si può impiegare per distruggere cellule tumorali residuate dopo la chirurgia.
La radioterapia, in associazione alla terapia ormonale, costituisce il tipo di terapia più utilizzato nei casi di tumori prostatici più avanzati, che si siano già estesi al di fuori della prostata.
Le alte dosi di raggi X somministrate per uccidere le cellule tumorali possono danneggiare anche quelle normali provocando così diarrea (talvolta con presenza di sangue nelle feci), infiammazioni della vescica con fastidiosi sintomi alla minzione ed emissione di sangue con le urine. L’impotenza è una complicanza che può verificarsi dopo alcuni mesi o anni dalla radioterapia.
Terapia ormonale Il testosterone, il principale ormone sessuale del maschio, costituisce una fonte essenziale per la crescita del tumore alla prostata. L’osservazione che uomini sottoposti a castrazione in età precoce raramente sviluppano un tumore alla prostata nell’età adulta, ha portato a utilizzare, in passato, il metodo dell’asportazione chirurgica dei testicoli e, più di recente, farmaci in grado di bloccare la produzione del testosterone come terapia del carcinoma prostatico. L’obiettivo delle terapie ormonali è quello di rimpicciolire il tumore alla prostata o di rallentarne la crescita riducendo o eliminando del tutto il testosterone presente nel corpo umano. Pertanto queste terapie non hanno il potere di “guarire” dal carcinoma alla prostata ma riescono a tenerlo sotto controllo. Purtroppo l’effetto delle terapie ormonali è limitato nel tempo: dopo alcuni anni le cellule tumorali acquisiscono la capacità di svilupparsi anche in assenza di testosterone. Per questo motivo le terapie ormonali devono essere riservate ai casi in cui sia fallita la terapia chirurgica o la radioterapia oppure alle forme di tumore alla prostata avanzato, che ha già dato metastasi ad altri organi e dove chirurgia e radioterapia risulterebbero inefficaci. Le terapie ormonali possono essere somministrate sotto forma di compresse da assumere tutti i giorni oppure di iniezioni da effettuarsi una volta ogni 1 o 3 mesi. L’abbassamento del testosterone provoca, nell’uomo, una situazione assimilabile per certi versi alla “menopausa” della donna. Gli effetti collaterali più frequenti delle terapie ormonali sono le vampate di calore e la riduzione del desiderio sessuale.
Chemioterapia La chemioterapia rappresenta l’“ultima spiaggia” nella terapia del carcinoma prostatico e viene riservata di solito alle forme avanzate, nel caso in cui sia fallita la terapia ormonale. Può essere somministrata sotto forma di compresse oppure per via endovenosa. Occorre ricordare che, per fortuna, solo una piccola percentuale di carcinomi prostatici necessiterà di chemioterapia.
Il tumore (ma il termine più esatto è carcinoma) alla prostata si sviluppa nel momento in cui cellule tumorali a partenza dalle numerose piccole ghiandole di cui si compone questa struttura incominciano a crescere al suo interno. Il carcinoma è un tumore maligno e non deve essere confuso con l’adenoma, cioè l’aumento di volume della prostata, una condizione benigna dovuta alla crescita di cellule prostatiche assolutamente normali che si verifica nella maggior parte degli uomini dopo i 50 anni.
Alcuni carcinomi della prostata crescono così lentamente da non essere pericolosi per la vita del paziente. Altri invece, se non scoperti e curati in tempo, si sviluppano in modo rapido e possono dare metastasi soprattutto ai linfonodi e alle ossa.
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