Tomografia a emissione di positroni
Tecnica di imaging medico basata sulla rilevazione, con un apposito apparecchio, delle radiazioni associate ai positroni (particelle elementari leggere di massa uguale all’elettrone, ma con carica elettrica positiva) emessi da una sostanza radioattiva introdotta nell’organismo. Detta anche PET (Positrons Emission Tomography), permette di ottenere immagini in sezione (tomografie) di determinati organi.
Principio e cenni storici
La tomografia a emissione di positroni consiste nel misurare la concentrazione di un elemento radioattivo (che emette positroni) in ciascun volume elementare (detto voxel) dell’organismo. Integrando l’elemento in una molecola che presenta specifiche proprietà biochimiche, è possibile visualizzare la distribuzione della molecola nell’organismo ed effettuare sezioni dette tomografie, grazie alle quali il computer ricostruisce una rappresentazione in tre dimensioni.
Questa metodica permette di ottenere immagini molto più precise di quelle fornite dalle altre tecniche di imaging; inoltre utilizza marcatori (gli emettitori di positroni) che, contrariamente ai traccianti utilizzati in altre tecniche, sono isotopi di atomi costituenti le molecole organiche (carbonio 11, azoto 13 o ossigeno 15) e permettono quindi di marcare le molecole senza modificarne le proprietà biologiche. I tomografi, che consentono di ottenere in qualche secondo un’immagine in sezione, sono particolarmente adatti all’osservazione di fenomeni fisiologici come la portata o il volume sanguigni, la ripartizione dell’acqua o dell’ossigeno nei tessuti, la sintesi delle proteine ecc.
Gran parte delle sostanze che emettono positroni è però molto instabile e deve essere utilizzata entro pochi minuti. La PET è stata perciò a lungo impiegata solo per le ricerche in ambito medico, dato che sia l’apparecchio necessario alla produzione dei radioelementi (ciclotrone) sia quello che ne permetteva la rilevazione nell’organismo erano estremamente costosi.
La messa a punto di rivelatori di costo inferiore e di un radioelemento più stabile, il fluoro 18 (utilizzabile in particolare per marcare un analogo del glucosio, il fluorodesossiglucosio, metabolizzato dal cuore e dal cervello), ha permesso di estendere le applicazioni della PET all’ambito clinico. Queste tecniche sfruttano la recente scoperta che ha rivelato come numerosi tipi di cellule neoplastiche siano in grado di accumulare il glucosio.
Indicazioni e controindicazioni
La PET è sempre più utilizzata nei centri di ricerca clinica per studi sulla fisiologia di cuore, ossa, reni, polmoni e soprattutto cervello. Questa tecnica ha reso possibili grandissimi progressi nella conoscenza dei neurotrasmettitori e dei meccanismi di attivazione delle zone della corteccia cerebrale.
Parallelamente, una più ampia disponibilità di fluorodesossiglucosio 18 (18FDG) ha permesso di indagare in modo più approfondito diversi tumori maligni.
La principale controindicazione di questo tipo di esame è la gravidanza. La tomografia con 18FDG, inoltre, è controindicata in caso di diabete, a meno che questo non sia compensato.
Svolgimento
Il tracciante radioattivo viene iniettato per via endovenosa o fatto inalare al paziente. Quindi il soggetto si distende su un lettino scorrevole collocato nell’apertura cilindrica di un apparecchio, nel quale viene scansionato un determinato piano anatomico e registrata la radioattività emessa. Un esame neurologico o cardiaco dura dai 10 ai 30 minuti, una scansione del corpo intero (con 18FDG) dai 30 ai 50 minuti.
Prospettive
Oltre a essere molto importante in numerosi settori di ricerca, la PET costituisce un potente mezzo di indagine clinica in oncologia, cardiologia (ricerca di tessuto miocardico ancora vitale dopo un infarto), neurologia (epilessia, morbo di Parkinson) e neuropsichiatria (demenza senile, morbo di Alzheimer). L’impiego di apparecchi (in particolare ciclotroni) più piccoli e meno costosi, dedicati a specifiche applicazioni mediche, dovrebbe contribuire a espandere l’impiego della tecnica e a renderla più accessibile.
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