Profilassi a seguito di violenza sessuale -Rischio di trasmissione di malattie sessualmente trasmesse
La possibilità di trasmissione di MST dal responsabile della violenza alla vittima è un’evento possibile sia nei rapporti eterosessuali sia in quelli omosessuali. Gli interventi di prevenzione dopo violenza sessuale hanno il fine d’individuare o prevenire una MST e trovano una più forte motivazione ad essere applicate quando il “violento” è una persona sconosciuta.
Il rischio complessivo di acquisire una MST, dopo un unico episodio di violenza sessuale, varia dal 5 al 10%. Per la sifilide, l’Aids e l’epatite B il rischio è circa l’1%. Ovviamente, la probabilità di contagio varia a secondo dello stato infettivo dell’aggressore, dal numero degli assalitori, dalla modalità dell’aggressione, della tipologia della violenza sessuale, delle lesioni riportate dalla vittima, e così via. Secondo le linee guida 2006 del CDC (Centers for Desease Control and Prevention) statunitense una profilassi anti-MST deve essere offerta alla vittima nei casi di violenza sessuale e, a maggior ragione, se la vittima presenta segni di verosimile infezione da MST. La strategia che prevede l’aiuto sanitario, mirato alla prevenzione o alla terapia precoce delle MST, alle vittime di violenza sessuale prende in considerazione tre momenti:
- la prima valutazione dopo esposizione all’eventuale contagio;
- il follow-up o controllo dopo violenza;
- la valutazione a distanza degli esiti.
Una delle maggiori criticità della profilassi delle MST dopo violenza sessuale deriva dal differimento nel tempo del ricorso al controllo medico rispetto al momento dell’aggressione; tale comportamento, giustificato dalla tempesta emozionale che coinvolge la vittima e da altre motivazioni, determina un ritardo nella predisposizione di una strategia sanitaria contro le MST. In occasione della prima valutazione viene eseguita una visita medica generale, con particolare valutazione dell’apparato genitale e degli organi oggetto dell’abuso. In questa occasione si verifica lo stato infettivo della vittima e si programmano indagini ed interventi finalizzati alla prevenzione ed alla terapia di eventuali MST. Pertanto, i dati emersi dalla visita medica possono essere integrati con esami sierologici mirati alla ricerca di anticorpi contro alcune MST e con la ricerca culturale di germi responsabili di MST. Ancor prima della dimostrazione della presenza di una MST, quando ci sono incertezze o elementi che possono incrementare il rischio di contagio di MST, è possibile intraprendere un trattamento farmacologico, nella presunzione di una loro possibile presenza, per malattie quali la gonorrea, la sifilide, le infezioni da Chlamydia e da Tricomonas.
L’intervento profilattico è possibile anche contro l’epatite B (Hbv). Se alla prima visita dopo la violenza la vittima non è immunizzata contro l’epatite B può essere subito iniziata la vaccinazione anti-Hbv e, per una maggiore difesa immunitaria, possono essere somministrate immunoglobuline anti-Hbv, quando la violenza è stata subita da meno di 14 giorni e soprattutto da parte di persone tossicodipendenti o con modalità d’aggressione di gruppo.
Le indagini microbiologiche, il trattamento farmacologico e la profilassi immunitaria possono essere diversi in considerazione delle condizioni cliniche della vittima che è sempre chiamata ad esprimere il suo consenso ai percorsi di diagnosi e cura. La conoscenza dello stato infettivo del “violento”, quando è possibile ottenerla, può guidare gli interventi sulla vittima ed evitarle inutili trattamenti.
Considerata la frequenza delle MST, la vittima di una violenza sessuale potrebbe aver contratto una MST prima della violenza e, in tal caso, il primo controllo sanitario si rivela utile alla limitazione della diffusione delle MST.
Il follow-up o controllo dopo violenza è necessario perché alcune MST hanno un periodo d’incubazione lungo prima che si manifestino clinicamente o che diano segni valutabili. Il periodo d’incubazione delle MST può anche allungarsi quando la prima carica microbica infettante è di lieve entità e necessità di maggior tempo per esercitare l’attività patogena. Il follow-up ha il fine di valutare gli organi interessati nell’aggressione, di sorvegliare la comparsa nel tempo di segni di eventuali MST e del controllo degli esiti. È prevista una visita medica, a distanza di 1-2 settimane dalla prima, indagini sierologiche e microbiologiche, l’eventuale terapia farmacologica ed immunitaria.
Le indagini sierologiche e microbiologiche sono eseguite con intervalli temporali diversi a secondo dei periodi d’incubazione e della storia naturale delle singole MST. Se il trattamento profilattico per gonorrea, sifilide, infezioni da Chlamydia e da Tricomonas non è stato eseguito, si pratica, oltre alla ricerca culturale iniziale, un’altra dopo 15 giorni. I test sierologici per la sifilide si ripetono dopo sei settimane, tre e sei mesi.
La vaccinazione anti-Hbv, se è indicata ed è stata iniziata, nel follow-up si prosegue secondo le modalità previste dalla schedula vaccinale.
Sicuramente una delle paure maggiori, per la possibile severità della malattia, è quella di poter contrarre un’infezione da HIV (Aids). Considerato che nelle persone che si infettano con HIV gli anticorpi anti-HIV sono evidenti nel 90% dopo sei mesi dal contagio, è raccomandato il test per l’HIV alla prima visita dopo la violenza e poi a tre, sei e dodici mesi dalla violenza. Da questo deriva che, se lo stato infettivo dell’aggressore non è noto, lo stato d’ansia per l’evoluzione di un’eventuale infezione da HIV dura circa12 mesi e si associa al peso di uno stile di vita obbligato che porta la vittima ad assumere, per tale periodo, un comportamento tale da evitare la trasmissione ad altri dell’eventuale infezione contratta. A secondo dei casi e in una visione generale che deve tener conto del quadro clinico, delle caratteristiche della violenza e del consenso della vittima, è consigliabile iniziare un trattamento antivirale contro l’HIV e mantenerlo per quattro settimane.
Il controllo post-violenza comprende anche la valutazione degli effetti terapeutici e di eventuali effetti avversi del trattamento farmacologico o vaccinale delle MST e il controllo dell’aderenza alla terapia prescritta.
Chi ha subito violenza sessuale deve tenere un comportamento sessuale responsabile, che sostanzialmente si concretizza nell’uso corretto del profilattico, per evitare la diffusione di un’eventuale MST contratta ad altri, sino a quando non ha la sufficiente certezza di non aver contratto una MST o di averla curata. Mentre gli esiti psicologici di una violenza sessuale subita lasciano segni profondi rilevabili anche a distanza di tempo, la gestione del rischio MST può far acquisire nel tempo serenità se la valutazione è stata accurata ed il trattamento ben condotto ed efficace. Ogni MST ha un periodo d’incubazione in un range di tempo noto; se in tale periodo non si è manifestata la malattia e le indagini sono negative, la vittima può avere la consapevolezza e la certezza di non aver contratto una MST. La valutazione degli esiti a distanza dello stato infettivo consente, per il tempo trascorso dalla violenza, per la valutazione clinica e le indagini eseguite, di escludere il contagio di una MST oppure di constatare l’avvenuta guarigione di un’eventuale MST contratta.
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