Profilassi a seguito di violenza sessuale -Rischio di una gravidanza indesiderata
Il concepimento e la gravidanza costituiscono due dei “misteri” che da sempre hanno affascinato ed incantato l’uomo. Ancor oggi, l’uomo razionale del terzo millennio, pur conoscendo molto della fecondazione, dell’embriogenesi e del divenire del feto sino alla nascita, vede in tutto il processo un mistero, avviluppato da un’aura di magico e d’incredibilmente perfetto, che accompagna questo divenire della Natura. Il concepimento, nella sua accezione più bella e completa, è il risultato di un atto d’amore reciproco finalizzato alla procreazione.
Nella violenza sessuale manca l’atto d’amore, incompatibile con la violenza, e la consensuale volontà alla procreazione.
Anche se oggettivamente il nascituro non ha alcuna colpa ed è sempre l’esito di quel magico e perfetto divenire della Natura, un’eventuale gravidanza dopo violenza viene percepita dalla donna come testimonianza e quasi l’ “imposizione” del ricordo di un evento che la vittima vorrebbe cancellare. Nella donna fertile sottoposta a violenza coesistono sensazioni e sentimenti spesso contrastanti e che nel loro turbinio determinano, quasi sempre, il rifiuto di un’eventuale gravidanza.
Si stima che, dopo violenza sessuale, il rischio di gravidanza nelle donne in età fertile varia dall’1 al 5% e dipende dal periodo del ciclo mestruale in cui si trovava la donna, dall’uso di contraccezione, dalla fertilità, ecc. La possibilità di poter interrompere la gravidanza indesiderata è nella facoltà di una donna il cui concepimento è avvenuto in seguito a violenza ed è uno degli argomenti che il sanitario tratta con la vittima nel corso della prima visita dopo l’aggressione.
L’interruzione di gravidanza (aborto) è stata oggetto in Italia di intervento legislativo (Legge 22 maggio 1978, n. 194. Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) e di un coinvolgimento sociale nel dibattito etico sulla sua liceità.
Di seguito, sarà esposto quanto oggi è possibile fare in Italia, nel rispetto delle norme di legge, per interrompere una gravidanza indesiderata dopo una violenza sessuale. Per quanto riguarda gli aspetti etici della problematica, il singolo individuo ha la facoltà di decidere in sintonia con le proprie credenze religiose, con la propria coscienza e con quei sentimenti e quelle sensazioni che alcuni accadimenti possono determinare.
Nelle donne in età fertile che hanno subito una violenza sessuale, il trattamento farmacologico per evitare la gravidanza prevede la somministrazione di un farmaco progestinico, registrato in Italia come contraccettivo d’emergenza e noto anche come “pillola del giorno dopo”. La probabilità di successo nel diminuire il rischio di una gravidanza indesiderata è massima (circa il 89%) se il trattamento è eseguito entro le prime 12 ore e in ogni caso entro i primi tre giorni dalla violenza. Un altro sistema contraccettivo d’emergenza è l’impianto provvisorio di un dispositivo intrauterino (Iud post-coitale). Tale impianto, normalmente usato come metodo contraccettivo per evitare l’impianto nell’utero di un eventuale ovulo fecondato, è meno accettato dalle donne, per la sua invasività, rispetto alla pillola del giorno dopo.
Se, nonostante questi tentativi, l’ovulo fecondato s’impianta lo stesso nell’utero e la gravidanza procede, la donna può richiedere, entro novanta giorni dall’inizio della gravidanza, l’interruzione volontaria di gravidanza secondo la legge 194/1978.
La violenza sessuale lascia un solco profondo nella percezione interiore del proprio essere e la vittima di una violenza, condividendo una gestione sanitaria appropriata della sua condizione, può evitare di rendere quel solco ancor più doloroso. [S.C.]
Cerca in Medicina A-Z