AntibioticI -Fattori che dipendono dal paziente
- Gravità dell’infezione: le condizioni cliniche del paziente possono compromettere l’adeguato assorbimento del farmaco; per esempio, in presenza di vomito è opportuno scegliere la somministrazione per iniezione anziché quella per via orale, perché quest’ultima potrebbe impedire il raggiungimento di concentrazioni terapeuticamente valide dell’antibiotico.
- Immunocompetenza: ogni individuo ha un sistema immunitario adibito alla difesa dell’organismo da agenti patogeni (ossia in grado di causare una malattia); tuttavia, esistono condizioni in cui tale sistema di difesa non è adeguato a fronteggiare gli “attacchi” esterni, come accade in presenza di tumori maligni, in corso di trattamento con farmaci cosiddetti immunosoppressori (in grado cioè di ridurre le difese immunitarie), in caso di malattie che attaccano specificamente il sistema immunitario (AIDS), negli stati di deperimento e di malnutrizione e infine nell’età avanzata. In questi casi, di fronte a un’infezione, i medici preferiscono scegliere una strategia terapeutica ad azione battericida e non batteriostatica, in modo da agevolare l’azione del sistema immunitario deficitario.
- Fattori farmacocinetici individuali: le caratteristiche di azione di un farmaco sono diverse da soggetto a soggetto già in condizioni normali; esistono tuttavia condizioni particolari, come l’età pediatrica e quella molto avanzata o la presenza di malattie epatiche e renali, che richiedono opportuni “aggiustamenti” dello schema di somministrazione del farmaco (tempi e quantità), al fine di evitare di assumere dosi di farmaco che l’organismo, o per la presenza di certe malattie, o per una non completa efficienza dei meccanismi di ”eliminazione”, non è poi in grado di smaltire, rischiando così di essere esposto a livelli potenzialmente tossici del farmaco stesso.
- Fattori farmacogenetici: alcune persone possono presentare particolari caratteristiche congenite che li espongono, in caso di assunzione di alcuni tipi di farmaci, a eventi avversi clinicamente rilevanti; per quanto riguarda gli antibiotici, per esempio, i sulfamidici non devono essere assunti da pazienti affetti da porfiria.
La salvaguardia degli antibiotici Gli antibiotici rappresentano una grande scoperta della medicina, perché grazie ad essi è stato possibile sconfiggere malattie (oggi erroneamente ritenute banali, ma solo perché adesso facilmente curabili) che nei secoli passati hanno mietuto milioni di vittime o comunque hanno causato danni anche gravi e permanenti in chi riusciva a sopravvivere.
L’imprescindibile importanza di questi farmaci è però minata da un uso spesso indiscriminato, con ricorso agli antibiotici anche in quelle situazioni in cui non sono necessari. Basti pensare che molte infezioni comuni (per esempio il raffreddore e l’influenza) sono causate da virus: in questi casi non è necessaria l’assunzione di antibiotici, in quanto essi non esplicano alcuna attività sui virus. L’uso inappropriato può anche derivare, oltre che dall’assunzione del farmaco sbagliato per la malattia sbagliata, dalla mancata osservanza del regime terapeutico prescritto (il paziente dimentica di assumere alcune dosi o ne prende di più oppure non esegue la terapia per tutti i giorni per i quali è stata prescritta) o dall’assunzione concomitante di altri farmaci. Conseguenze di questo comportamento errato possono essere l’inefficacia terapeutica, l’insorgenza di effetti avversi, la resistenza batterica.
L’uso indiscriminato degli antibiotici può infatti portare alla naturale selezione di ceppi batterici resistenti alle molecole in uso, che di conseguenza non potranno più essere efficaci nell’eradicare le infezioni, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica, oltre che sulla spesa sanitaria. Nella salvaguardia di questi preziosi strumenti per la difesa della salute, gli attori principali sono i professionisti sanitari e i pazienti. Infatti, se i medici devono cercare di redigere prescrizioni che siano quanto più adeguate sia alla malattia sia al malato, i pazienti devono essere consapevoli che un cattivo uso dei farmaci è sempre controproducente. Quindi, è bene che il paziente segua una terapia antibiotica solo dietro prescrizione del medico, che, qualora ritenga tale terapia necessaria, gli indicherà come, quanto e per quanto tempo assumere il farmaco, magari ricorrendo in alcuni casi a specifici accertamenti diagnostici (antibiogramma, esame colturale delle urine, tampone faringeo e così via). Infatti, l’aver assunto in passato un antibiotico “che ha fatto bene”, non autorizza il paziente a riassumerlo di sua spontanea volontà se sta di nuovo male, perché non è detto che si tratti del medesimo tipo di infezione (anche se apparentemente sembra la stessa malattia avuta in precedenza), e non è detto che il farmaco assunto una volta vada bene anche in una successiva occasione.
La prescrizione deve essere eseguita correttamente, senza dimenticare le dosi e senza interrompere la terapia se ci si sente meglio: la terapia sta agendo, ma non ha ancora terminato il suo lavoro.
Inoltre, è opportuno che il paziente ricordi al medico se sta assumendo altri farmaci e gli riferisca se sta facendo uso di medicine complementari (rimedi erboristici, prodotti omeopatici ecc.), in modo da evitare l’interazione tra i medicinali, chiedendo inoltre informazioni di tipo comportamentale, come l’assunzione dell’antibiotico in relazione ai pasti, l’eventuale esclusione dalla dieta di qualche alimento o bevanda che possa interferire con l’antibiotico, l’assunzione in relazione agli altri farmaci e così via.
Di fronte a qualsiasi dubbio, anche il più banale, è sempre il caso di chiedere consiglio al medico o al farmacista, perché una maggiore informazione è alla base di un uso più consapevole e responsabile dei farmaci.
[M.A.C., A.C.]
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