Diagnosi prenatale -La diagnosi prenatale delle anomalie cromosomiche
È noto che ogni cellula del nostro corpo contiene, nel suo nucleo, 46 molecole di DNA dette cromosomi. La specie umana possiede due coppie di ciascun cromosoma (numerati dall’1 al 22, i cosiddetti autosomi) e due cromosomi “del sesso”: XX nel sesso femminile e XY nel sesso maschile.
Un corredo cromosomico normale (il cosiddetto cariotipo) viene quindi descritto come 46, XX (soggetto di sesso femminile) oppure 46, XY (soggetto maschile).
Dei 46 cromosomi presenti in ciascuna delle nostre cellule, 23 sono di origine materna (dal numero 1 al 22 + un cromosoma X) e 23 sono di origine paterna (dal numero 1 al 22 + un cromosoma X oppure un cromosoma Y).
Durante la produzione delle cellule uovo e degli spermatozoi (cosiddetti gameti) avviene quindi un delicato processo detto meiosi, grazie al quale ogni cellula germinale matura possiede metà del patrimonio genetico di un individuo, quindi soltanto 23 cromosomi: in questo modo, unendosi a un’altra cellula germinale, tale cellula forma il “normale” patrimonio genetico di 46 cromosomi.
La sindrome di Down È stato dimostrato che, con l’aumentare dell’età materna, aumenta la frequenza di “errori” che possono avvenire durante il delicato processo della meiosi, con conseguente aumento del rischio che il cromosoma 21 sia costituito non da 2 ma da 3 elementi (la cosiddetta trisomia 21). Ne consegue la possibilità che nasca un bimbo affetto da sindrome di Down (portatore di 47 cromosomi, avendo un cromosoma 21 in più di origine materna). È noto che il rischio di avere un figlio con sindrome di Down è di circa 1 ogni 900 nati da madri di 30 anni e sale a 1 ogni 385 nati da madri di 35 anni, 1 ogni 100 nati da madri di 40 anni e fino a 1 ogni 25 nati da madri di 45 anni e oltre.
Sulla base di questi dati è stato stabilito che qualsiasi donna di età superiore ai 35 anni al momento del concepimento possa richiedere un esame del DNA del feto (cariotipo fetale) da effettuare sulle cellule prelevate mediante amniocentesi o villocentesi.
Poiché queste metodiche di prelievo comportano un rischio di aborto che è dello 0,5% per l’amniocentesi e dell’1% circa per la villocentesi, ne deriva che per una donna più giovane di 35 anni il rischio di avere un bimbo affetto da sindrome di Down sia inferiore al rischio di aborto legato alla procedura di prelievo delle cellule del feto.
Per madri di età più giovane, invece, il rischio di avere un bimbo affetto da sindrome di Down è minore del rischio di abortire in conseguenza del prelievo: per questo motivo si procede non alle suddette metodiche di prelievo diretto dal feto, ma a metodiche di tipo indiretto, con esami effettuati sul sangue materno (tri-test o test di Wald) o con il ricorso dell’ecografia fetale (misurazione della plica nucale nel test integrato).
Le altre anomalie cromosomiche Per quanto riguarda il rischio che un bimbo nasca con altre anomalie cromosomiche diverse dalla trisomia 21, va segnalato che questa probabilità tra i nati vivi è molto più bassa rispetto a quella della sindrome di Down, poiché la maggior parte dei concepimenti che porta a generare un feto con anomalie dei cromosomi dall’1 al 22 oppure alla presenza di un cromosoma X costituito da 1 solo elemento invece di due (monosomia X, quindi cariotipo 45, X) portano naturalmente a un aborto spontaneo entro il primo trimestre di gravidanza. È per questo che, per esempio, la trisomia 18 compare solo in 1 ogni 7500 nati e la trisomia 13 solo in 1 ogni 20.000-25.000 nati vivi.
Per quanto riguarda le anomalie dei cromosomi del sesso (X e Y), va segnalato che la maggior parte di esse non comportano stati di malattia o si associano a condizioni patologiche lievi (per esempio i cariotipi 47, XXX oppure 47, XYY); per questi motivi la necessità di una loro identificazione durante la vita fetale è oggetto di discussione tra gli studiosi di questa materia e può porre la coppia di fronte a seri problemi decisionali.
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