Bioetica -Bioetica: quali differenze alla base delle varie correnti di pensiero?
Nel 1979 Hans Jonas descrisse un principio fondamentale e universale della bioetica, quello di “responsabilità”, e propose un nuovo comandamento: «non uccidere l’umanità […], agisci in modo tale che le conseguenze del tuo agire siano conciliabili con la sopravvivenza di una vita veramente umana sulla Terra». Tuttavia è necessario specificare che cosa significa essere responsabili, di chi è la responsabilità e verso chi. Il professor Sandro Spinanti ha scritto: «si è aperto un nuovo fronte di domande: antropologiche (quale progetto uomo perseguire?) […] etiche (come trovare il consenso in una società pluralista?) […] il primo compito della riflessione antropologico-etica è quello della fedeltà: deve stabilire le condizioni alle quali l’uomo resta ancora uomo». Vi è consenso in bioetica circa la necessità di prendere come principale valore di riferimento la persona umana e i suoi diritti fondamentali. L’ONU riconosce come cardini i diritti alla salute e alla vita della persona umana, e tutte le carte dei diritti del malato fanno riferimento alla dignità dell’infermo, che deve mantenersi intatta nello stato di malattia. Qualunque sia la cultura o la religione di una persona, il suo grado di sviluppo o la sua intelligenza, essa merita totale rispetto. Di fronte alla domanda su chi sia la “persona umana” si scontrano oggi sostanzialmente due posizioni all’interno della riflessione bioetica. Una pone a fondamento la realtà ontologica, cioè il significato, ciò che la persona è “di per sé” indipendentemente dalle capacità possedute o sviluppate al momento. L’individuo ha una “dignità intrinseca” che mantiene per tutto l’arco della vita. In ragione del fatto che molti cattolici si ritrovano in questa posizione, alcuni, in modo semplicistico, la definiscono “etica cattolica”, anche se non vi sono riferimenti diretti alla fede bensì a un pensiero razionale. L’altra posizione guarda più alle doti possedute e sviluppate al momento: autocoscienza, capacità di sentire dolore, responsabilità ecc. Seppure in modo diversificato, i sostenitori di quest’ultima convergono nel non ritenere opportuno far coincidere sempre la vita umana con la persona umana e tendono a sottolineare la relatività del valore della vita umana, per esempio in ragione della qualità di vita, sostenendo che possono esistere casi in cui la persona perde la dignità. Va da sé che le due posizioni hanno riflessi sulle scelte etiche nettamente distinte e opposte (per esempio su aborto, eutanasia, utilizzo di embrioni).
Paolo Vineis, nel suo libro Equivoci bioetici (Codice Edizioni, Torino 2006), fa riferimento a tre posizioni attualmente dominanti: il pensiero cattolico, quello laico liberale (da lui definito illuminista) e un pensiero radicale che comprende il mondo degli ecologisti, una parte dei pensatori del postmoderno e i critici della globalizzazione. [P. L. A.]
Nel 1932 alcuni ricercatori sovvenzionati dal governo statunitense negarono, ingannandoli e a scopo di ricerca medica, le opportune cure a pazienti portatori di sifilide, afroamericani poveri e senza cultura, cui non vennero riferite né la diagnosi né la prognosi della malattia.
Quella ricerca, nota come sperimentazione di Tuskegee dal nome della cittadina dell’Alabama in cui si svolse, rappresenta uno dei più infamanti esempi di ricerca biomedica nella storia degli Stati Uniti d’America.
Contemporaneamente, nello stesso contesto americano, si andava lentamente formando un cambiamento culturale contraddistinto da una maggiore attenzione ai diritti individuali.
Si cominciava a parlare di parità dei diritti civili per le popolazioni afroamericane e di riconoscimento, per le donne, della libertà di esercitare la propria volontà in materia sessuale e la propria autonomia decisionale.
Si stava assistendo alla condivisione culturale di alcuni valori per cui ogni soggetto, a prescindere da diversità di genere o di etnia, guadagnava il diritto di scegliere il “meglio” per la propria vita, in diversi settori, compreso quello della salute.
Un’eccezionale coincidenza si verificava negli stessi anni in campo biomedico, grazie allo sviluppo tecnico-scientifico, e si concretizzava con la “rivoluzione terapeutica” (scoperta di sulfamidici e penicillina), la “rivoluzione tecnologica” (produzione delle prime macchine per la dialisi, la circolazione extracorporea, il cuore e il polmone artificiale) e infine la “rivoluzione biologica”; tutti questi progressi conferivano all’uomo nuovi poteri di intervento sulla riproduzione, la genetica e il sistema nervoso.
Afferma Carlo Casonato, docente di diritto all’Università di Trento: «la medicina, insomma, interviene sempre più in modo massivo sulla vita, sulla morte e sulle rispettive origini e riesce a spostarne in termini qualitativi il confine, prima maggiormente riconoscibile in termini “naturali”. Si impone così una nuova riflessione sul significato delle stesse (vita e morte) e in particolare sui concetti di sacralità e di qualità della vita, sui poteri del medico, sul ruolo della volontà del paziente e sul riconoscimento dell’autodeterminazione del soggetto (consenso informato)».
Da ultimo prese il via la consapevolezza dei rischi nei confronti dell’ambiente (non solo riguardo a ciò che “vive”), rispetto al quale lo sviluppo economico e industriale senza regole né limiti può determinare grave danno e precluderne alle generazioni future la fruibilità.
La bioetica nasce, quindi, come profonda esigenza da un humus culturale e giuridico favorevole e trova la forza per affermarsi ed espandersi nella necessità di porre limiti a ciò che l’uomo può fare, per impedire la sua autodistruzione e/o la distruzione dell’ambiente in cui vive. Le differenze di pensiero, che danno vita al dibattito bioetico, sono determinate in massima parte dai diversi criteri scelti per definire ciò che realizza, o ciò che distrugge, l’uomo e il suo ambiente.
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