ARTROSI -Diagnosi
Si basa fondamentalmente sulla presenza dei disturbi sopra descritti e di caratteristiche alterazioni ossee apprezzabili all’esame radiologico: riduzione asimmetrica dello spazio presente tra i capi ossei di un’articolazione (la cosiddetta rima articolare), alterazione della densità dell’osso sottostante la cartilagine interessata (sclerosi subcondrale), presenza dei caratteristici “beccucci” dei capi articolari (gli osteofiti) e dei geodi subcondrali.
Sono peraltro da sottolineare due elementi:
- meno della metà dei soggetti che presentano alterazioni radiologiche suggestive di artrosi accusano anche i disturbi correlati;
- la definizione della patologia può richiedere in alcuni casi, oltre alla classica radiografia, il ricorso a tecniche specifiche, quali l’ecografia, la TAC, la risonanza magnetica nucleare (RMN). In particolare, il medico può decidere di richiedere una TAC o una RMN allorché la malattia colpisca la colonna vertebrale provocando compressioni sulle radici nervose (per esempio in caso di forme di sciatica).
In alcuni pazienti, infine, la diagnosi si avvale dell’esame del liquido sinoviale, prelevato mediante puntura dell’articolazione (artrocentesi).
La terapia dell’artrosi si basa su trattamenti farmacologici e non farmacologici e deve essere sempre personalizzata sul singolo paziente in funzione della localizzazione della patologia, del grado della lesione, dell’intensità dei disturbi e dell’aspettativa del paziente. Provvedimento indispensabile è sempre correggere i fattori di rischio, con particolare riferimento all’obesità e alle malattie del metabolismo; è anche necessario limitare i fattori meccanici dannosi e modulare l’attività fisica secondo le possibilità di “sopportazione” delle articolazioni sofferenti (economia articolare). È molto utile che il paziente si faccia spiegare dal medico come eseguire un corretto esercizio fisico, quali attività escludere, se sia il caso di utilizzare plantari ortopedici, bastoni, corsetti, tutori e così via.
Il ruolo dei farmaci: una decisione da prendere sempre con il medico Le terapie farmacologiche si basano sull’utilizzo di farmaci che contrastano il dolore e, per la sua efficacia e tollerabilità, il paracetamolo rappresenta quello di prima scelta, riservando solo ai pazienti che non ne traggono giovamento l’impiego – per brevi periodi – di antinfiammatori non steroidei (FANS), da soli o in associazione al paracetamolo.
In alcuni soggetti che presentano un aumentato rischio di insorgenza di effetti collaterali a livello dell’apparato digerente (innanzitutto quelli con storia di gastrite, ulcera, malattia da reflusso, esofagite) potranno essere utilizzati i FANS associati a gastroprotettori, oppure i cosiddetti Coxib. Va comunque ricordato che sia i FANS tradizionali sia i Coxib possono comportare numerosi rischi, in particolare nei soggetti anziani e in quelli affetti da patologie metaboliche, renali e cardiovascolari (o a rischio per tali problemi), nei pazienti che assumono farmaci diversi per altre malattie. Pertanto non è mai consigliabile un loro utilizzo su autoprescrizione. Gli analgesici derivati dall’oppio, da soli o in associazione con il paracetamolo, possono rappresentare una valida alternativa nei pazienti in cui i FANS o i Coxib siano controindicati, inefficaci o scarsamente tollerati. I farmaci quali la glucosamina solfato, il condroitinsolfato, gli estratti di soia e di avocado, l’acido jaluronico presentano effetti collaterali limitati, ma la loro reale efficacia sulla progressione del danno artrosico è ancora tutta da dimostrare. L’iniezione intrarticolare di cortisonici trova indicazione solo nelle crisi dolorose acute, soprattutto se è presente aumento del liquido articolare, e deve essere ovviamente praticata da personale sanitario competente.
Nei pazienti con evidenti alterazioni radiologiche e che presentano disabilità e dolore persistente, non alleviato dalle consuete terapie farmacologiche e non farmacologiche, si può ricorrere alla terapia chirurgica ortopedica per l’impianto di protesi articolari (quelle dell’anca e del ginocchio sono le più comuni) o a interventi finalizzati al riallineamento articolare (osteotomie), al debridement, alla correzione di lesioni tendinee.
L’autoinnesto di cartilagine o di tasselli di cartilagine con osso subcondrale permette di correggere solo perdite limitate della sostanza. [V. M.]
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