Intelligenza emotiva
Nel 1983 Howard Gardner, uno psicologo della Harvard School of Education (USA), osservò che esistono almeno cinque tipi fondamentali di intelligenza: scolastica, spaziale, cinestesica, musicale e personale. Questa specie di “suddivisione” dell’intelligenza rappresentò una sostanziale novità, poiché fino ad allora si riteneva che l’intelligenza di un individuo fosse unica e che fosse possibile valutarla essenzialmente attraverso una serie di test, dai quali veniva ricavato il cosiddetto QI (Quoziente Intellettivo). D’altra parte, il QI stesso presentava numerosi limiti quando veniva utilizzato per prevedere il successo che un individuo sarebbe riuscito a ottenere nella vita, professionale e privata. In altre parole, era evidente che il successo di un individuo non dipendeva soltanto dal QI (che di per sé valuta soltanto alcuni tipi di intelligenza, per esempio quella logico-matematica e quella verbale), ma anche da diversi altri fattori (emotivi, relazionali e sociali) che globalmente rappresentano un tipo differente di intelligenza, definita appunto intelligenza emotiva (QE, Quoziente Emotivo).
Il concetto di intelligenza emotiva fu coniato nel 1990 da Peter Salovey e John Mayer, due psicologi della Yale University (USA), e successivamente divenne molto popolare grazie a Daniel Goleman e al suo best-seller Emotional Intelligence, pubblicato nel 1995.
Secondo Salovey l’intelligenza emotiva riguarda cinque ambiti principali dell'esistenza di un individuo:
1. la conoscenza delle proprie emozioni;
2. l’autocontrollo delle emozioni;
3. l’automotivazione;
4. il riconoscimento delle emozioni degli altri;
5. la capacità di gestire le relazioni.
Questi cinque aspetti sono stati riassunti nella definizione di intelligenza emotiva fornita da Goleman: “L’Intelligenza Emotiva è la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali”.
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